giovedì 6 luglio 2006

Una miniera di risorse umane

Il presidente della Camera dei deputati in Belgio. A proposito.

Bertinotti tra la gente di Marcinelle Ieri la miniera, oggi i call center


MARCINELLE - «Mai più il carbone, una merce, una macchina, valgano più degli uomini; mai più in Europa si ripeta una tragedia come quella di Marcinelle; mai più la morte intervenga sui lavoratori!». Siamo al Bois du Cazier, la vecchia miniera dismessa, dove, 50 anni fa, morirono intrappolati a mille metri di profondità 262 minatori, di cui 136 italiani. Fausto Bertinotti è venuto a portare una corona di fiori, a parlare a chi è rimasto, agli ultimi superstiti di quell' epoca, ai parenti, alla comunità tricolore di Charleroi. Facce antiche di gente che ha conosciuto la fame, che ha patito la fatica di un lavoro sporco e pericoloso nelle viscere della terra, che ha sofferto umiliazioni e prevaricazioni, ascoltano in silenzio il presidente della Camera. Parte un timido Bandiera Rossa che si spegne quasi subito per bon ton, c' è l' ambasciatore, ci sono i giornalisti. E' una giornata di sole, di luce e il sito della tragedia, ora museo permanente, è il luogo ideale, con i suoi cancelli, con i suoi castelletti di estrazione perfettamente restaurati, con quella sala piena di fotografie in bianco e nero le immagini dei morti dell' agosto 1956 per parlare di lavoro, di diritti, di dignità. E' stata la Cgil, il patronato IncaCgil, a organizzare qui la cerimonia del cinquantenario, a invitare Bertinotti che, assieme a Gugliemo Epifani, ora si aggira all' interno del comprensorio, circondato da emozionatissime delegazioni di anziani minatori, arrivati anche da altre zone del Belgio e della Francia, la tuta da lavoro addosso. Portano due lanterne a olio, di quelle che servivano là sotto a illuminare i cunicoli. Un regalo per gli ospiti. Dunque, Marcinelle. «Quel che è successo qui, il dolore, la sofferenza, la perdita della vita sul lavoro, che è un carico umanamente e socialmente insopportabile dice Bertinotti ci deve far riflettere. Pensate alla situazione dei migranti di oggi, gente che viene in cerca di occupazione e che certo non vive condizioni pari agli italiani degli Anni Cinquanta, però le tragedie ci sono lo stesso, gli infortuni, gli omicidi bianchi e questo è intollerabile». Hanno un sapore diverso le parole pronunciate in un luogo della memoria, così fortemente evocativo. «Eravamo schiavi», dice Vittorio Dal Gal, presidente dell' Associazione ex minatori. Lui ha scavato gallerie dal 1948 al 1975, «fiero di essere minatore, lo sei un giorno, lo sei per sempre». Schiavi che vivevano ammassati nelle baracche, «musi neri» che si ammalavano di silicosi, tossivano, sputavano i polmoni, ma continuavano ad andare giù, «costretti dalla miseria, dalla voglia di garantire un futuro diverso ai figli». Italiani arrivati a Charleroi/Marcinelle con il famoso accordo italobelga del 1946: il Belgio in cambio delle nostre braccia ci dava carbone. «Ecco perché son successe le tragedie, la nostra vita valeva meno del carbone», dice un ex minatore a Bertinotti. E adesso? E adesso c' è ancora molto da fare, in Italia ogni giorno muoiono nei cantieri, nelle fabbriche, nei luoghi di produzione, quattro persone. Il presidente della Camera sogna «un' Europa che sia davvero di tutti», sollecita a sottoscrivere «un nuovo patto tra paesi, istituzioni e organizzazioni popolari per dare dignità al lavoro». Nulla è scontato, avverte Gugliemo Epifani: «Le conquiste di questi anni vanno difese giorno dopo giorno e mai possono ritenersi un bene acquisito per sempre». Battaglie aperte come quelle contro la precarietà o la difesa dei redditi da lavoro e da pensione. Se si abbassa la guardia, «se qualcuno diventa l' anello debole della catena, poi toccherà a tutti», avverte Bertinotti. Ieri la miniera, oggi i call center... Il presidente della Camera si ferma a guardare le facce e le storie dei lavoratori morti 50 anni fa: Rocco Vita, Marco Zinni, Armando Zanelli, Filippo Sicari... C' è anche l' avvocato che allora difese le famiglie. Si chiama Jacques Moins, andò in tribunale a scontrarsi con le potenti lobby del carbone. Sono le otto del mattino dell' 8 agosto 1956 quando un carrello male agganciato sbatte contro le pareti della miniera e trancia un cavo elettrico. L' incendio raggiunge il pozzo d' uscita dell' aria e lo blocca. In 262 conoscono una lenta agonia. Il 22 agosto, i soccorritori spengono ogni speranza: «Tutti cadaveri a Bois du Cazier». Sul «Corriere» Dino Buzzati scrive: «Questo lontano posto che non si era mai sentito nominare, diventa Italia. L' incendio del pozzo straniero inaspettatamente diventa affare nostro personale, e nostra angoscia».
 

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