sabato 9 settembre 2006

Articolo

Call Center: lavoratori sotto il ricatto, precarietà o a casa

Uno dei fatti che in questi mesi estivi hanno causato maggiori discussioni è stato il verdetto dell’Ispettorato del Lavoro sulla situazione contrattuale dei lavoratori di Atesia: gli oltre tremila operatori di call center, per lo più assunti con forme contrattuali a progetto, sono di fatto lavoratori dipendenti e devono essere assunti come tali dall’azienda.
Com’era prevedibile, Alberto Tripi, il presidente del gruppo Almaviva-Cos (cui fa capo Atesia), ha dichiarato che, piuttosto che assumere a tempo indeterminato, l’azienda è pronta a licenziare e delocalizzare; anche se è più facile delocalizzare in un paese dell’est un mobilificio che non un call center che risponde in italiano...
Il primo effetto di questo pronunciamento è stato purtroppo la sospensione degli accordi sindacali che l’azienda aveva stipulato tempo fa e che prevedevano, almeno a quanto dichiarato dallo stesso Tripi, l'assunzione a tempo indeterminato di 3 mila collaboratori entro la fine del 2006. Atesia lamenta che la sentenza colpirebbe solo la sua azienda, e non le concorrenti, creando uno squilibrio nel mercato. Quello che succede già oggi, comunque, è proprio che le aziende che non trattano lavoratori di fatto subordinati come “autonomi” sono meno competitive di quelle che sfruttano e promuovono il precariato.
Per evitare la parzialità di un solo intervento (sia pur importante) dell’Ispettorato, il ministro del Lavoro Cesare Damiano aveva cercato assieme ad aziende e sindacati di definire alcuni vincoli e limiti per l’estensione del contratto a progetto: se può essere un “progetto” la campagna di promozione di una iniziativa commerciale, promossa attivamente verso il pubblico, non può essere tale il lavoro quotidiano di un operatore che deve rispondere ogni giorno alle chiamate di consumatori che richiedono chiarimenti ed informazioni.
E’ stato francamente fastidioso, a fronte della complessità del problema, il chiacchiericcio di personaggi della destra che hanno rivendicato il valore “sociale” della legge 30, che proteggerebbe davvero i lavoratori, e contemporaneamente denunciato che il pronunciamento dell’Ispettorato nascerebbe da una cattiva interpretazione della legge. Anche il trionfalismo di alcuni esponenti della sinistra “antagonista” e di cobas non sembrano giustificati dai fatti.
Il problema è avere un sistema produttivo che funzioni e sia flessibile, senza che questa flessibilità sia ottenuta a spese dei lavoratori. Non è cosa che si possa ottenere con Ispettorati e tribunali, ma con leggi e misure che riescano a fornire garanzie, promuovere le aziende sane che fanno buona occupazione, sfavorendo lo sfruttamento del lavoro a tempo determinato, se non altro aumentando il compenso ed i contributi, a parziale risarcimento dell’incertezza del lavoro.
Per il governo questa è una delle sfide più difficili. Sono molti i giovani che si trovano in questa situazione occupazionale e che chiedono al centrosinistra una risposta, un miglioramento delle condizioni di vita, il ripristino di una normale aspettativa di vita stabile, che deve subentrare quando un normale spirito “d’avventura” dei primi impieghi lascia con gli anni il posto alla necessità di avere qualche sicurezza sociale e garanzia per la famiglia che si va creando.
Le risposte dei nostri tempi non possono essere decreti governativi di assunzione. Il confronto politico, tra maggioranza e opposizione, ma anche nella stessa maggioranza, è ampio e serrato. A fronte delle aperture dei mercati e della masticatissima globalizzazione, la ricchezza di un paese, il benessere, l’occupazione, non si possono ottenere se non con la promozione dello sviluppo e con il ripensamento della vocazione produttiva che il paese ha assunto in altra fase storica.
C’è chi vede questo atteggiamento come un cedimento all’iperliberismo, che oggi va sempre più abbattendo le garanzie costruite in decine d’anni di lotte sindacali e politiche. Occorre fare attenzione, però. L’aumento vertiginoso della concorrenza economica internazionale nasce dal desiderio di riscatto e di miglioramento del livello di vita di miliardi di non occidentali, che stanno affacciandosi oggi al mondo industriale. Occorre allora distinguere: il becero sfruttamento compiuto da aziende che pagano poco e male a fronte di attivi colossali non può essere confuso con le misure di sistema che nascono dalla necessità di minimizzare le diseconomie, aumentando la competitività del paese nel suo complesso.
Lo scopo di un governo deve essere quello di promuovere lo sviluppo e l’allargamento sociale del benessere, ma con politiche lungimiranti e non promulgando per decreto la felicità dei cittadini.

Marco Stirparo
07/09/2006 16.51.42

da http://www.pontediferro.org/articolo.asp?ID=623

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