giovedì 12 ottobre 2006

Spazi aperti...individuo rinchiuso

Noi ne facciamo esperienza, che ne dite?

Ultimamente ho avuto occasione di visitare gli edifici di nuove imprese, banche, università, progettati da famosi architetti. Alcuni sono veri e propri grattacieli, altri hanno 10-12 piani, tutti comunque costruiti in vetro-cemento. Quasi dovunque è stato adottato l’open space. I dipendenti lavorano tutti insieme seduti a scrivanie collocate in immensi spazi senza pareti. È questa la vera differenza fra l’impiegato del passato e quello di oggi. L’impiegato del passato aveva una propria stanza con pareti, mobili, quadri in cui riceveva in modo riservato i suoi interlocutori. Era un individuo, con una propria identità, che riceveva in modo privato altre persone. Quello di oggi invece si trova in uno sterminato stanzone dove tutti possono guardarlo: non è più un individuo, ma un punto in una folla, in una massa in cui tutti sono uguali, tutti sostituibili, esattamente come lo erano i contadini nei campi o gli operai nella fabbrica del secolo scorso. Nel tentativo di crearsi una identità nell’open space, gli impiegati si trincerano fra libri, fotografie, vasetti di fiori, ricordi personali, ma è uno sforzo patetico. Perché la nuova architettura non fa altro che rivelare il loro vero ruolo, di operai dell’immensa industria dell’informazione dove non conta il sapere, lo studio, il pensiero, l’originalità, ma il prodotto standardizzato.

(Francesco Alberoni, rubrica "Luci e ombre" su Panorama, 15 dicembre 2005).

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