
vi giro una sintetica ma puntuale analisi, che spero serva in particolar modo a quei colleghi che ho sentito esprimere propri giudizi troppo inclini a pre-giudizi.
Proviene da un grande studioso della LUISS, apprezzato da tutte le forze politiche, già ministro, coraggiosamente contro corrente anche nel suo stesso schieramento, che vedeva la presenza di punte di intransigentismo razzista come quello della Lega.
NON SOLO CLANDESTINI MA GENTE CHE LAVORA
di Antonio Martino
Senza entrare nel merito delle proposte avanzate da Berlusconi e da Bossi in tema di immigrazione clandestina, vorrei cogliere l'occasione del dibattito da esse suscitato per ribadire alcune considerazioni, che a me appaiono fondamentali. L'afflusso apparentemente inarrestabile di immigrati clandestini spinge moltissima gente a guardare all'immigrazione in negativo, come problema di ordine pubblico, quando non causa di potenziali conflitti sociali. E' questa forse la conseguenza più dannosa di quanto sta accadendo: l'opinione pubblica, inconsapevolmente, finisce con l'identificare tuttal'immigrazione con l'afflusso di clandestini e con gli sciagurati che sopravvivono ai margini della nostra società, spesso procurandosi da vivere violando le leggi. La generalizzazione è sbagliata e pericolosa; cerchiamo di non confondere l'afflusso di disperati con quello di coloro che cercano un lavoro e sono in condizione di svolgerlo. Lasciando il primo, problema di ordine pubblico, ai responsabili, vorrei dire qualcosa sul secondo, cioè sull'immigrazione di lavoro in senso stretto, ribadendo considerazioni che non mi stanco di ripetere da molti anni.
L'immigrazione presenta vantaggi economici notevoli per tutte le parti in causa. Nel 1870 l'Australia aveva il più alto reddito pro capite al mondo. Se confrontiamo lo sviluppo economico dell'Australia, che ha seguito una politica di immigrazione rigorosamente vincolata, con quello degli Stati Uniti, che fino alla metà degli anni Venti hanno adottato una politica di immigrazione illimitata, ci rendiamo subito conto dei vantaggi dell'immigrazione: mentre la libertà di immigrazone ha trasformato gli Stati Uniti nella più importante potenza economica mondiale, l'Australia è rimasta, anche a motivo delle restrizioni all'immigrazione, un continente vuoto. E' evidente che l'immigrazione avvantaggia il paese ospitante.
Quanto all'interesse degli immigrati, non viene certo tutelato dalla dilagante retorica terzomondista, invocata a giustificare di "aiuti" ai governi di paesi sottosviluppati dati a condizione che si tengano a casa i loro connazionali! Questa carità pelosa danneggia due volte i cittadini dei paesi poveri, chiudendo loro da un lato l'opportunità di un'occupazione nel nostro paese, e rafforzando dall'altro governi che, con la loro invadenza, inefficienza e corruzione, sono causa non secondaria dei problemi del paese "beneficiario". Né li avvantaggiano quanti sostengono che possano essere ammessi a lavorare in Italia soltanto alle stesse condizioni di lavoro che valgono per gli italiani: per quanto poco possano essere remunerati, si tratterà sempre di redditi enormemente maggiori di quelli che possono guadagnare nel loro Paese.
E non dimentichiamo che, date le nostre tendenze demografiche, l'immigrazione rappresenta l'unica alternativa alla decadenza. L'Italia ha il dubbio privilegio di essere il paese con la più bassa fertilità al mondo e, a partire dal 1992, il numero di nati per anno è sistematicamente inferiore al numero di morti. E' solo per via della - peraltro assai modesta - immigrazione che la popolazione non è ancora diminuita. Se a questo aggiungiamo il rapidissimo invecchiamento della popolazione, ci rendiamo conto che, in assenza di immigrazione, l'Italia sarebbe condannata alla decadenza se non ad una lunga agonia. Tuttavia se vogliamo davvero realizzare i vantaggi dell'immigrazione, dobbiamo impedire che l'apertura delle frontiere ai lavoratori stranieri diventi un elemento sovversivo dell'ordine pubblico. Il che anzitutto impone che quella apertura riguardi i lavoratori stranieri, ma non i tanti sbandati che bivaccano nelle nostre città attratti dal miraggio di una ricchezza ottenuta senza fatica, quando non grazie ad attività criminali. Questo richiede politiche di intransigente difesa della legalità che, garantendo il rispetto delle regole inderogabili della coesistenza civile, rassicurino quanti, non del tutto infondatamente, vedono nella presenza di stranieri non un apporto alla produzione di reddito e di ricchezza ma un elemento di disgregazione sociale ed un pericolo alla sicurezza.
Non ci libereremo dall'incubo della diffusione del razzismo e non riusciremo a realizzare i vantaggi economici della libera circolazione dei lavoratori se non riusciremo a sfatare nei fatti la diffusa e non immotivata sensazione che la presenza di extra comunitari sia in molti casi sinonimo di criminalità. Tanto per cambiare, ci serve uno Stato che sappia davvero assolvere ai suoi compiti istituzionali, garantendo la nostra sicurezza. Altrimenti, finiremo col diventare un paese xenofobo, il che sarebbe a dir poco ironico, essendo stati per oltre un secolo della nostra storia unitaria un paese di emigranti.
da editoriale de "La Nazione" (19/5/2000)
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