mercoledì 18 luglio 2007

Un omaggio che non è un insulto

Un’altra sentenza su cui discutere
Il «vaffa...» non è insulto. Lo dice la Cassazione

VIA LIBERA a frasi come «me ne fotto», oppure «è un gran casino» e il più classico «vaffa...». «È l'uso troppo frequente, quasi inflazionato, delle suddette parole che ha modificato in senso connotativo la loro carica». Lo dice la Cassazione, che vi si sofferma - nella sentenza 27996, con cui assolve un consigliere comunale di Giulianova (Teramo) - con un'analisi non solo linguistica, ma anche sociale. Il politico abruzzese era accusato di ingiuria perché aveva mandato a quel paese il vicesindaco durante un consiglio comunale. Ma la V Sezione Penale della Cassazione ha ribaltato la sentenza del Tribunale d'Appello de l'Aquila affermando che vi sono «talune parole ed anche frasi che, pur rappresentative di concetti osceni o a carattere sessuale, sono diventate di uso comune ed hanno perso il loro carattere offensivo». Pronti i commenti: «Non è più un reato? E allora sai che consumo, d'ora in poi...», ha detto l'allenatore Carletto Mazzone che nel 2001 si rese protagonista di un alterco con la curva dei tifosi dell'Atalanta, dal quale scaturì una delle più famose mandate a «quel paese» del pallone. Cauto, invece, il linguista Tullio De Mauro: «Bisognerebbe provare con gli stessi giudici di cassazione, e, incontrandoli, apostrofarli appunto con un bel, cordialissimo vaffanculo. Non credo proprio che gradirebbero. Fuori contesto è assurdo affermare che certe espressioni siano diventate di uso comune e abbiano perso il loro carattere offensivo». Per i Supremi giudici, comunque, a causa «certamente di un impoverimento del linguaggio», mandare a quel paese una persona non è più un'offesa; piuttosto è traducibile in una frase del tipo «non voglio prenderti in considerazione» oppure «lasciami in pace». Così come anche la più scurrile «me ne fotto» corrisponderebbe, in realtà, ad un meno colloquiale «non mi cale». Occorre, però fare una precisazione, dicono i giudici della V sezione penale: «quanto esposto è senza dubbio condizionato dal contesto in cui si inseriscono le parole citate. È evidente che se queste vengono pronunciate dall'interessato nei confronti di un insegnante che fa un'osservazione o di un vigile che dà una multa, esse assumono carattere di spregio; diversa è la situazione se esse si collocano nel discorso che si svolge tra soggetti in posizione di parità ed in risposta a frasi che non postulano manifestazione di specifico rispetto». Nel caso specifico il consigliere comunale alle parole del vicesindaco «ci si deve vergognare di essere comunisti» aveva semplicemente espresso «in modo volgare» la sua insofferenza. La giurisprudenza, a proposito di parolacce, ha già espresso pareri favorevoli: risale al 1995 il primo via libera del «vaffa», da parte di un pretore di Biella che aveva archiviato un litigio tra vicini. Le frasi di oggi si aggiungono così al vocabolario di «non offese» che la Cassazione si è trovata a dover stilare negli anni. Dalla parola «coglione» nell'aprile del 1999 (I sezione penale), alla più recente sentenza sulla frase «sporco negro» (dicembre 2005). Non sono più reato anche le parolacce tra automobilisti adirati (giugno 2002) e ormai dal febbraio 2005 anche una ex moglie può dire al suo ex marito, senza conseguenze, «fatti i c... tuoi».
fonte iltempo.it

Ai gentili e raffinati ma quantomai scaltri:"un insulto non è un insulto"… ma ecco che in questa esperienza carnevalesca sfoggio finalmente le mie tradizioni di cartapesta lagunare, quindi dedico (sia chiaro, artigianalmente – in tutte le lingue -) "questo mio omaggio" direttamente dal CUore, alle care ormai compiante mascherine preferite.. anche la cartapesta a volte tossisce (o erano le pulci?!?!?!?) ma questa è un’altra storia…
(.. ricordavo una frase infantile... roba tipo... specchio riflesso... aimè, il tempo impietoso annuvola i ricordi però nutre la maturità… ma le maschere non hanno età, quindi: non (Ti) resta che il ricorso in cassazione! Enjoy)

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