sabato 13 ottobre 2007

L'isola che non c'è?

Una multinazionale florida leader nel settore delle Telecomunicazioni, capace di vantare un utile di oltre 4 miliardi e una serie di attività in tutto il mondo. Un'azienda dunque ricca, in attivo, in crescita, che però si dimostra anche pronta a sacrificare personale e diritti nascondendosi dietro vuote formule industriali: cessioni di rami d'azienda o esternalizzazioni, che nella pratica si traducono in vite umane sospese per la fine della sicurezza di un lavoro ma anche di un progetto futuro. Questa è Vodafone, quella della celebre campagna pubblicitaria del "tutto intorno a te", un abbraccio simbolico attorno a un cliente che si vuole coccolare, lisciare, abbindolare sulle spalle però del sacrificio di centinaia di lavoratori. La società delle TLC ha infatti scelto di procedere alla cessione di un ramo d'azienda esternalizzando 914 impiegati del suo call center, i quali saranno dal 1 novembre ceduti alla Comdata, società che offre diversi servizi fra i quali i centralini informativi. Tanto per rendere l'idea, si sta parlando del 20% dei lavoratori del call center e del 10% della forza lavoro nazionale. Una decisione che preoccupa i lavoratori coinvolti perché spesso questo passaggio a terzi finisce per trasformarsi nel sacrificio degli impiegati ceduti, che vedono interrotto il loro contratto o vengono costretti a condizioni di lavoro notevolmente peggiori. Di questa prossima "decapitazione del personale" abbiamo parlato con Roberto Di Palma, Rsu-Cgil della Vodafone di Roma, in prima fila nella battaglia per la difesa dei lavoratori del call center a rischio cessione.
Come ci spiega, il passaggio a Comdata, che collabora per altro da tempo con Vodafone, è un processo assolutamente rischioso perché "sebbene la società abbia sostenuto che lascerà invariati lo stipendio e i diritti dei lavoratori soggetti a questa procedura, noi sappiamo perfettamente che potrebbe avvenire il contrario visto che nel corso degli anni la Comdata certo non si è distinta per la tutela dei diritti dei lavoratori". "Il rischio -ci dice - è che questa cessione di ramo d'azienda possa tradursi molto presto nella trasformazione in un ramo secco, come troppe volte è successo nella storia dell'Italia recente". Cosa potrebbe accadere è abbastanza chiaro del resto: "Vodafone consegna questi 914 lavoratori a Comdata per farle fare il cosiddetto 'lavoro sporco', cioè si offrono i lavoratori ad una società terza e poi, nel giro di due-tre anni, la stessa commessa ti avverte che Vodafone ha trovato un'altra società dove il lavoro costa meno, per cui se vuoi mantenere il tuo posto devi essere licenziato e riassunto la mattina dopo, con il 20% della retribuzione in meno e una decurtazione dei diritti". A rendere ingiustificata l'azione industriale, sottolinea il rappresentante sindacale, è la stessa condizione economica vissuta dalla Vodafone", (si potrebbe ben dire di TIM, nota watchdog) la quale ha ottenuto 4 miliardi e 300 milioni di utili annuali e ha visto trasformato in utile il 50% di quello che ha introitato". Rendendosi conto della debolezza delle proprie argomentazioni, soprattutto se riferite alle condizioni economiche vissute, la Vodafone ha comunque sostenuto che la decisione di esternalizzare i suoi impiegati nascerebbe da una necessità di rispondere, con un contenimento dei costi, alla diminuzione dei margini sul minuto telefonico che si starebbe assottigliando progressivamente. Una motivazione senza fondamento però, perché "nello stesso giorno in cui l'azienda dichiarava l'esternalizzazione di 914 persone con la scusa del dover far cassa, al contempo esponeva un piano industriale che prevede 2500 nuove assunzioni per l'inserimento della società nella rete fissa".
A sostegno della propria scelta, la Vodafone si è appellata alla legge 30 che, come ci spiega Di Palma, "ha consentito una deregolamentazione della cessione di ramo d'azienda. Non a caso si sono avute quattro sentenze della Cassazione che hanno dato ragione ai lavoratori e hanno evidenziato come questa deregolamentazione di cessione cozzerebbe con altre norme. Prima della legge 30 infatti la cessione di ramo d'azienda era maggiormente limitata e vincolata, oggi al contrario per attuarla basta solo il raggiungimento di un accordo tra chi vende e chi compra, il tutto sulla testa degli impiegati".
Ancora una volta, dunque, sono i call center a rappresentare il fanalino di coda nelle condizioni di lavoro, bacino lacunoso e opaco del rispetto dei diritti. Eppure fino ad oggi, pur con tutti i suoi limiti, la Vodafone era stata una piccola isola quasi felice: "negli anni passati - sostiene Di Palma - anche grazie alle nostre lotte sindacali siamo riusciti a strappare condizioni di lavoro superiori rispetto ad altri colleghi impiegati in altri call center. Il panorama legislativo però ci ha impedito di estendere queste nostre conquiste, cosicché oggi siamo noi ad essere assimilati alle condizioni peggiori degli altri lavoratori". Per rispondere a questo, l'unica ricetta secondo Di Palma è che "la lotta dei call center sia globale e coinvolga l'intero settore, non a caso stiamo ricevendo la solidarietà dei lavoratori di altre compagnie, e stiamo ipotizzando uno sciopero del settore delle Tlc". Qualcosa si muove, soprattutto perché "in questi anni si è cominciata a sviluppare una coscienza sindacale (salvo inspiegabili eccezioni, nota watchdog) che ha prodotto risultati importanti: gli scioperi organizzati fino ad oggi hanno avuto un buon esito nel call center. La partecipazione dei colleghi è anche discretamente critica, ma è il sale delle scelte che si prendono. Il problema è che in molti hanno creduto alle lusinghe dell'azienda e quindi questa decisione per loro è stata una vera e propria doccia fredda, che noi speriamo abbia contribuito ad aprire gli occhi rispetto alle condizioni di lavoro vissute da molti impiegati". Molto probabilmente questo velo di maya è già stato lacerato.
da Marzia Bonacci su Aprileonline.info del 24.9.2007

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