mercoledì 30 agosto 2006

Corsera 25/8/2006

Storie dal mondo del lavoro
«Al call center per 20 anni. Ora mi assumono?»
Massimo Ornaghi, 42 anni, è ancora lì che cerca di capire come «il sistema della flessibilità» l’abbia trasformato in «precario cronico»

Ricomincia da capo, ogni tre mesi. E ormai sono vent’anni di precario al call center, di scadenze, di progetti dal fiato corto. Dietro la pagina d’agosto, mese di ferie mancate, c’è già l’appunto a matita sul calendario: il 9 settembre «scadenza del contratto». Finisce l’ennesima stagione da collaboratore a progetto. Breve come l’acronimo che liquida il ruolo: co.co.pro. Massimo Ornaghi, 42 anni, è ancora lì che cerca di capire come «il sistema della flessibilità» l’abbia trasformato in «precario cronico». Ripercorre le scelte. Torna al 1987, primo impiego in un call center di via Farini, 150 mila lire per accontentare la curiosità delle tivù commerciali, università sacrificata dopo 13 esami a Scienze politiche. «Pensavo di farcela con la mia testa, con le mie speranze».
Invece, passano vent’anni di telefonate a inseguire clienti e contratti, «e sempre nello stesso settore, perché le offerte non mancano e forse ho avuto paura di cambiare». E ora che il governo si mette a fare ordine, Massimo prova almeno a sorridere: «Mi assumeranno? Ho molti dubbi, forse non ho più l’età». Appartamento signorile di Lissone, venticinque chilometri da Milano. Massimo rientra dopo sei ore di turno a sei euro l’una in una società d’indagine. Lo aspettano i genitori. E non serve ricordargli che «è ora di metter su casa e trovare moglie». La trama da fiction, il figlio, la conosce da sé. È che «i soldi per un appartamento non li ho e anche le donne, dopo un po’, chiedono stabilità. Una parola...». Che, chiarisce, «non è pietismo, ma la marginalità a cui spinge un lavoro sempre incerto».
Si lavora duro nel call center per portare a casa la pagnotta. Perché con otto ore al giorno non si arriva a 900 euro puliti e «bisogna essere alienati per arrivare a 1.000». Negli stessi banchi ci sono liceali, laureati «che non trovano di meglio», cinquantenni «che si riciclano dopo un licenziamento», casalinghe, pensionati. Su postazioni «che cambiano titolare ogni settimana», tanto che è «difficile conoscersi». La chiamano flessibilità, «ma è una situazione che ti rovina psicologicamente. Ancora dieci anni così e mi ricoverano. Ma dato che mi voglio bene...». Massimo ha deciso di darci un taglio. Al call center e al calendario dei progetti a scadenza. Una pagina, e il 9 settembre è lì. Ma c’è l’impegno del ministro e un problema di salute sempre più grave: «Ho deciso di chiedere l’invalidità, non l’ho fatto prima solo perché non mi sembrava dignitoso». Poi vent’anni così, a ricominciare ogni volta da capo, e viene da pensare che «forse è questa precarietà a non essere dignitosa».

di Armando Stella

sabato 26 agosto 2006

La Repubblica

Call center, il girone dei nuovi Cipputi
Al telefono per sette euro l'ora
Chi sono e quanto guadagnano i giovani senza posto fisso. Un esercito di 250mila atipici, tutti "schiavi elettronici della new economy"
di BARBARA ARDÙ

ROMA - La fabbrica creava alienati. Quegli uomini alla Charlie Chaplin di Tempi moderni che continuavano a stringere un bullone anche quando era suonata la sirena dell'uscita. Il call center partorisce invece uomini e donne stressati.

Ritmi di lavoro e perenne incertezza sul futuro sono i suoi ingredienti. Che messi insieme o mal miscelati possono diventare esplosivi. Per andare in bagno bisogna attendere che scatti il semaforo verde. Tra una telefonata e l'altra non c'è riposo, neanche un minuto. E ogni volta che si prende in mano la cornetta c'è un contatore che avverte quando è ora di chiudere la comunicazione. Un controllore "anonimo", ma infallibile, che forse fa rimpiangere il vecchio ufficio tempi e metodi di tayloriana memoria che misurava, cronometro alla mano, l'efficienza di Cipputi alla catena di montaggio.

I nuovi Cipputi sono loro, gli operatori di call center, 250mila persone in tutta Italia (80mila occupati con contratto a progetto secondo Assocontact, l'associazione di categoria). Molti lavorano al Sud, perché è lì che le aziende, in tutto 700, trovano conveniente installare i call center. Rispondono al telefono in media per cinque ore al giorno, secondo un'indagine di Rifondazione comunista. Guadagnano tra i 5 e i 7 euro l'ora. All'azienda ne costano 9-10 euro se la lavorano a progetto, 16 se hanno un contratto a tempo indeterminato.

Sono per lo più giovani, venti, trent'anni, ma anche quaranta e quasi tutti hanno un titolo di scuola media superiore, qualcuno ha in tasca anche la laurea. Sono assillati, secondo l'indagine di Rifondazione, da mobbing, ripetitività delle mansioni, mancanza di prospettive e condizioni ambientali di lavoro. Subiscono pressioni di ogni genere. Dalle ferie negate, al consiglio di non ammalarsi, perché rischiano di non essere riconfermati, alle chiamate per Pasqua, Natale, i mesi estivi.
Fanno tutti la stessa cosa, parlano al telefono. Ma c'è una sottile distinzione. Ci sono gli inbound, cioè coloro che rispondono alle domande delle persone che telefonano e gli otbound, quelli che invece alzano la cornetta per chiamare persone cui sottoporre domande per indagini di mercato. I primi, secondo l'ultima circolare del ministero del Lavoro, possono aspirare a un contratto a tempo indeterminato. Gli altri, invece, potrebbero essere inquadrati anche come lavoratori a "progetto". Una distinzione che fa una certa differenza. Di sicuro sono tutti scontenti.

Francesco, il nome è di fantasia, è impiegato da dieci anni alla Atesia, l'azienda obbligata dagli ispettori del lavoro di Roma, ad assumere a tempo indeterminato 3200 lavoratori attualmente a progetto. Ha 40 anni, è sposato e lavorando per 5 ore al giorno guadagna intorno ai 600 euro al mese. Viene pagato in base al numero di telefonate fatte. Talmente tante che alla fine la concentrazione sparisce. "Dopo aver risposto a 120 chiamate in quattro ore spesso esco dall'ufficio salgo in macchina e ho delle difficoltà a guidare", ha raccontato Margherita alla Cgil che ha intervistato dodici lavoratori dei call center di Genova.

Tutti "schiavi elettronici della new economy", come li definisce Claudio Cugusi, nel suo libro Call center, indagine impietosa su una categoria con contratti di lavoro dove a un certo punto compare un comma che recita: "gravidanza, malattia e infortunio sono causa di sospensione del rapporto di lavoro".

(25 agosto 2006)

giovedì 24 agosto 2006

Outsourcing 2 il ritorno (altro che trasferimenti all'estero)

SZ: "EUROPA, I CALL CENTER TORNANO DALL'INDIA"

(AGI) - Roma, 23 ago. - I call center fanno retromarcia e 'tornano' dall'India all'Europa. Lo afferma la Sueddeutsche Zeitung che ricorda: da anni le aziende europee e americane spostano posti di lavoro in India dove, per fare un esempio, l'IBM ha 43mila dipendenti e la tedesca Sap (software) ne avra' 3500 entro fine anno. L'economia britannica, si stima, ha gia' perso il 4% dei posti di lavoro a vantaggio dell'India. A rischio sono caduti soprattutto i posti di lavoro nei call center: gli inglesi che telefonano per informarsi su un orario di mezzi di trasporto o sulla situazione del loro conto finiscono spesso col parlare con qualcuno a Bombay o a Bangalore. Ma i salari bassi - spiega il quotidiano tedesco - non garantiscono sempre profitti alti. Percio l'indiana Icici One Source, specializzata in servizi per imprese occidentali, ha fatto un passo in piu', in direzione contraria: continuera', si', a espandersi in India, ma al tempo stesso, ora, ha aperto un call center a Belfast, in Irlanda del Nord. Un altro entrera' in funzione per fine anno: entro il 2008 Icici intende avere oltre mille dipendenti in Irlanda del Nord. I salari sono piu' bassi che a Londra ma molto piu' alti che in India. 'I nostri clienti ci vogliono presenti in tutto il mondo', spiega una portavoce irlandese dell'azienda. L'inglese degli indiani e' pero' difficile da capire, lamentano i britannici; e poi, come fa un dipendente indiano a sapere dove si trova il contatore elettrico nelle tipiche case a schiera inglesi? I britannici sono preoccupati anche per il furto di dati da parte dei fornitori indiani di servizi. Il Sun afferma di aver comprato a Delhi dati bancari segreti al prezzo di 5 euro a informazione. Ma, in fondo - ironizza la Sueddeutsche Zeitung - nemmeno i nordirlandesi parlano l'inglese della Regina.

Ma già da tempo è in corso la controtendenza

(..) Altri e più profondi sono i meriti del call center di Fastweb, che fa storia a sè. "E' il solo operatore che ha avuto il coraggio, nei mesi scorsi, di rivoluzionare il proprio call center per andare incontro alle richieste dei consumatori", spiega Vergari. "Era uno dei peggiori call center, ora è uno dei migliori". "Prima era in outsourcing, da un anno è tutto interno: abbiamo capito che è il solo modo per controllarne l'efficienza", spiega a PI Paolo Fontò, responsabile del customer care di Fastweb (..).

(da Punto Informatico solido, Feb 2005, p.20)

Corsera

Mossa di Damiano sui call center, nuove ispezioni.
Cgil: assumere tutti. Le aziende: andremo all’estero


RIMINI—Scoppia il caso dei call center. Il ministro del Lavoro Cesare Damiano, per la prima volta al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, annuncia che dal 15 settembre ci sarà un «supplemento di indagine», riservandosi comunque «di esaminare i documenti ». Due giorni fa gli ispettori del lavoro inviati a controllare la situazione nel più grande gruppo italiano del settore, la Atesia con 12 mila dipendenti, hanno inviato alla società un verbale intimando l’assunzione anche di tutti i 3.000 dipendenti a progetto (i co.co.pro) oltre la regolarizzazione di tutti i dipendenti con retroattività dal 2001. E’ una interpretazione molto più restrittiva rispetto a quanto stabilito dall’accordo del 14 giugno firmato tra le imprese e lo stesso ministero del Lavoro. In quell’intesa si faceva differenza tra i lavoratori che ricevono telefonate (in-bound e quindi da assumere) e quelli che fanno telefonate e ricerche (out-bound e quindi a progetto). Il ministro, in ogni caso, precisa che al più presto tutto il settore dei call center — diverse centinaia di aziende con circa 250 mila lavoratori (di cui 80 mila, secondo l’associazione di categoria, potrebbero ora essere a rischio)— dovrà essere regolarizzato. E ieri ha ribadito la differenza sostanziale tra chi telefona e chi riceve le telefonate. Dunque, ora si tratterà di verificare il lavoro degli ispettori sul gruppo Atesia. «Mi sono accorto che nel mio ministero c’erano 15 addetti al call center gestito dalle Poste — ha raccontato — e ho invitato l’azienda ad assumerli ». Al dibattito su «libertà nelle liberalizzazioni, il lavoro atipico», si è parlato di flessibilità e di "parasubordinato". E su questi punti il ministro — al quale piace la «flessibilità buona» — ha intanto anticipato incassando forti applausi dalla platea ciellina che nella Finanziaria arriveranno contributi più salati per i parasubordinati che, insieme al cuneo fiscale solo per i dipendenti, dovrebbero rallentare la corsa del precariato in genere. Ma la grana dei call center ha messo in luce quanto sia difficile mettere le mani in un mondo del lavoro cresciuto enormemente e ora dal futuro incerto. Alberto Tripi, responsabile del terziario per Confindustria nonché titolare di Atesia ha precisato che l’accordo del 14 giugno gli sarebbe costato dai 20 ai 30 milioni di euro ma il verbale degli ispettori — contro il quale ricorrerà al Tar — se passa «costringerà il mio gruppo a prendere decisioni drastiche». Cioè chiudere in Italia e trasferire l’attività in altri Paesi «dove si parla italiano». Il modello dei call center, un fenomeno sparso ormai in tutto il Paese con una forte concentrazione al Sud dove è più facile trovare manodopera istruita, è così entrato ufficialmente in crisi. Ed è oggetto di forte contrapposizione politica. Il sottosegretario al Lavoro Rosa Rinaldi ha già fatto sapere che è «irrispettoso criticare il lavoro degli ispettori perché un conto è la circolare del ministro, altro i risultati di un sopralluogo sul posto». Daniele Capezzone, Rosa nel pugno e presidente della Commissione attività produttive della Camera, ha confermato la sua anima liberista accusando l’ispettorato di Roma di «aver agito in modo ideologico nei confronti di Atesia» e preannunciato un’interrogazione al ministro Damiano. Anche il sindacato è diviso. La Fiom di Giorgio Cremaschi si schiera con gli ispettori definendo una «truffa i contratti da lavoro autonomo per i call center» mentre per il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni — anche lui al Meeting — «non saranno gli ispettori a decidere tutto, occorre un supplemento di accordo». Altri sindacati incalzano e il Nidil Cgil, quello degli atipici, chiede un confronto sull'intero settore. Damiano, per il momento, si è limitato a illustrare la griglia dei suoi prossimi impegni: il 30 agosto primo confronto con le parti sociali per contrastare il lavoro nero, poi modifica della legge Biagi, di quella sugli appalti e del lavoro interinale, reintroduzione del credito di imposta.

Roberto Bagnoli
24 agosto 2006

Il Sole24ore

Il ministro Damiano: «Regolarizzare senza abolire la flessibilità»
Al.An.

Legge Biagi e futuro di 250mila lavoratori dei call center sono al centro delle polemiche scoppiate dopo che gli ispettori del lavoro hanno messo in dubbio la regolarità di 3.200 contratti a progetto di Atesia, società romana rilevata da Telecom che fa capo all'imprenditore Alberto Tripi ed è la principale realtà del settore.

«Il problema di questa azienda - ha commentato dal Meeting di Comunione e Liberazione, a Rimini, il ministro per il Lavoro, Cesare Damiano - è un problema antico. Le prime ispezioni risalgono a molti anni fa. Quest'ultima è precedente alla circolare emanata dal mio ministero (il 14 giugno, ndr) e mi riservo di esaminare questi documenti anche per ciò che concerne i call center che impiegano 250mila persone in 700 aziende». Quanto alle linee guida del governo, ha ricordato Damiano, «il criterio fondamentale per distinguere è che bisogna avere contratti di lavoro subordinato per l'inbound e contratti di lavoro parasubordinato per l'outbound (rispettivamente i servizi al cliente in cui è molto difficile che l'operatore possa gestire in proprio il lavoro e quelli come le ricerche di mercato o, in generale, le promozioni commerciali). Vogliamo regolarizzare il lavoro in tutto il settore», ha concluso Damiano. A proposito della vicenda Atesia generalmente positivi i commenti del sindacato. Nidil-Cgil, sindacato dei lavoratori atipici, «accoglie con favore l'indicazione che finalmente è stata data dagli ispettori Inps circa la trasformazione in lavoro subordinato a tempo indeterminato delle migliaia di contratti di collaborazione a progetto nel call center».

In arrivo l'aumento dei contributi previdenziali. Resta da capire che cosa il governo Prodi intenda davvero fare della legge Biagi. Secondo Damiano non va abrogata, ma corretta nelle sue forme più penalizzanti per il lavoratore. «Il programma dell'Unione è preciso - ha osservato il ministro - la legge Biagi va modificata. Ci sono delle forme di lavoro precarizzanti che vanno cancellate. L'obiettivo è di regolarizzare il lavoro, non di negare la buona flessibilità che è a disposizione delle imprese». L'obiettivo vero del governo, allora, sarebbe quello di «creare dei percorsi di stabilizzazione: ricordo che già nel Dpef, il taglio del cuneo fiscale è collegato a un criterio, cioè vale solo per il lavoro a tempo indeterminato». In cambio «aumenteremo i contributi previdenziali per il lavoro para-subordinato, quindi lavoro a progetto, lavoro associato in partecipazione, la variante fiscale delle partite Iva», opzione «già contenuta come previsione, nel Dpef, accanto alla proposta di sconto fiscale per le imprese collegato al lavoro a tempo indeterminato, quindi, è evidente che l'argomento sarà affrontato già nella legge Finanziaria».

Pubblico impiego e atipici, sciopero in vista. Intanto, anche alla luce dei dati Censis, dai quali risulta che oltre il 10% dei lavoratori pubblici ha contratti atipici e a termine, «percentuale sicuramente superiore a quella del settore privato» il sindacato RdB-Cub ha confermato lo sciopero nazionale del 6 ottobre con manifestazione nazionale a Roma, per l’abolizione sia del pacchetto Treu che della legge 30 e per l’avvio in tempi stretti di una sanatoria programmata e generalizzata del precariato. «Numeri ormai noti e più volte denunciati - ha sottolineato Carmela Bonvino, responsabile nazionale del settore precari delle RdB-Cub - il punto è cosa il governo deciderà di fare per intervenire realmente e complessivamente sul problema a partire proprio dal Pubblico impiego, dove è lo Stato a essere datore di lavoro precario. Sarebbe invece necessario procedere con urgenti provvedimenti normativi per convertire in contratti di lavoro stabile e a tempo indeterminato gli oltre 350mila contratti atipici e a termine delle Pubbliche amministrazioni».


fonte: Il Sole24Ore, 23/8/2006

ACLI

CALL CENTER: ACLI, DISTINGUERE IL VERO LAVORO A PROGETTO DA QUELLO SUBORDINATO

ROMA, 24 ago - Distinguere il vero lavoro a progetto da quello subordinato: questo, secondo le Acli, e' il criterio che dovrebbe orientare l'azione del Ministero del Lavoro in merito alla regolarizzazione delle attivita' lavorative nei call center.
'La prima forma di rispetto verso un lavoratore e' il riconoscimento del suo lavoro effettivo - afferma il presidente delle Acli, Andrea Olivero - i contratti di co.co.pro non possono essere usati indiscriminatamente come coperte per nascondere forme di lavoro di tipo subordinato. Questo non puo' e non deve significare, dall'altra parte, l'abolizione del modello di contratto a progetto previsto dalla Legge 30. Ne' sono ipotizzabili o accettabili atteggiamenti pregiudizialmente punitivi nei confronti delle aziende, che sarebbero ingiusti oltre che controproducenti'.
Le Acli ritengono, dunque, che vada data piena attuazione alle indicazioni esposte nella circolare emanata dal Ministero del lavoro lo scorso mese di giugno. Il testo ministeriale, infatti - sottolineano - allo scopo di accertare dove siano effettivamente sussistenti i requisiti riconducibili alla caratteristica progettuale dei contratti, e dove invece i contratti a progetto mascherino condizioni di lavoro dipendente, distingue all'interno dei call center tra lavoratori outbound (addetti a promuovere campagne telefoniche 'mirate') e lavoratori inbound (addetti alla mera ricezione di telefonate), riconoscendo solo per i primi i requisiti del lavoro a progetto.
'Le ispezioni - spiega Olivero riprendendo l'espressione usata dal ministro Damiano - devono essere finalizzate ad accompagnare le aziende nell'applicazione delle norme, evitando cosi' impostazioni punitive e ottenendo al contempo il riconoscimento della corretta natura delle attivita' lavorative'. 'Non va poi mai trascurato - aggiunge il presidente delle Acli - che per creare nel Paese condizioni di stabilita' lavorativa occorre non solo favorire tutte le azioni volte alla riduzione del lavoro precario, ma anche sostenere gli impegni finalizzati all'abbattimento del lavoro nero, che impedisce a tanti giovani di costruirsi un futuro sereno'.

Dal Collettivo Precari Atesia

In data 22 agosto 2006 l’ispettorato provinciale del lavoro ha terminato l’indagine in Atesia, il call center più grande d’Italia e laboratorio padronale di precarietà, riconoscendo la natura subordinata del rapporto di lavoro. Da anni l’azienda utilizza contratti di collaborazione a progetto (prima ancora coordinata e continuativa e con partita i.v.a.) per mascherare la natura subordinata del rapporto di lavoro grazie anche alla compiacenza dei sindacati confederali che, siglando accordi vergognosi (come quello a seguito della precedente ispezione, datata 1998, che raggiunse le stesse conclusioni dell’attuale ma venne sminuita dall’intesa sindacati-azienda che non riconobbe la subordinazione del rapporto di lavoro), hanno finora favorito il perdurare di tale situazione. Dopo anni di precarietà, che hanno naturalmente fatto montare la rabbia di lavoratori e lavoratrici, nel marzo del 2005 si è autorganizzato il collettivo Precariatesia per rivendicare quei diritti dati per scontati fino a pochi anni fa: malattia, ferie, contributi previdenziali, permessi, maternità, garanzia sulla continuità del rapporto di lavoro. Lavoratori e lavoratrici in diverse occasioni hanno scioperato e hanno sfilato in corteo per protestare contro gli accordi-bidone dei sindacati (firmati senza alcun mandato dei lavoratori) che volevano sostituire i contratti a progetto con contratti di Apprendistato ed Inserimento, o che prevedono l’esubero di circa 1000 unità, per ottenere finalmente un contratto a tempo indeterminato. Un percorso di lotta che è costato 5 licenziamenti in tronco e vari licenziamenti perpetrati tramite mancato rinnovo contrattuale: è chiaro che fra questi sono presenti i firmatari dell’esposto in questione presentato all’ispettorato provinciale del lavoro nel luglio del 2005 dal Collettivo Precariatesia. Le conclusioni raggiunte sono indubbiamente positive per il lavoratore, anche se, dal punto di vista vertenziale, l’ultima parola spetterà al tribunale del lavoro, presso il quale si terranno le prossime udienze sui ricorsi di centinaia di lavoratori e lavoratrici del call center. Alla luce delle recenti novità, ed in vista delle prossime scadenze contrattuali previste per il 30 settembre c. a., siamo pronti a continuare la lotta finché non verranno ritirati tutti i licenziamenti politici, ricontrattualizzati i circa 400 mancati rinnovi del 1 giugno scorso e venga avviato un reale percorso di stabilizzazione tramite l’apertura di un tavolo delle trattative che dovrà vedere la reale partecipazione dei lavoratori, finalizzato al contratto a tempo indeterminato per tutti e tutte. Inutile specificare come le minacce padronali riguardo un’eventuale chiusura dell’azienda ci sembrano un vero e proprio atto di terrorismo psicologico nei confronti di lavoratori che hanno “osato” alzare la testa, visti gli alti profitti dell’ultimo anno vantati da Atesia e le dichiarazioni di Alberto Tripi sulle sue intenzioni di quotare in borsa il gruppo ALMAVIVA (ex Gruppo COS), per non parlare della continua crescita del settore. Ci teniamo a precisare che non riconosciamo come stabilizzanti i contratti di Apprendistato ed Inserimento (a termine e senza alcuna garanzia sulla continuità del rapporto di lavoro), esattamente come i contratti di collaborazione a progetto e che non potremo mai condividere la politica di chi pensa subordinazione uguale stabilizzazione.

Collettivo PrecariAtesia

Il Manifesto

«Atesia, vanno assunti tutti»
Le conclusioni dell'Ispettorato sui 3200 cocoprò del call center romano. Rimborsare i contributi fino al 2001. L'azienda: faremo ricorso. Il ministero: «L'ispezione è valida»
di Antonio Sciotto

Storica sentenza nel campo dei call center e del precariato: l'Ispettorato del lavoro, dopo gli accertamenti svolti nei mesi scorsi, ha ingiunto ad Atesia - call center del gruppo Cos - di assumere a tempo indeterminato tutti gli attuali 3200 lavoratori a progetto. E non basta: la società dovrà anche versare i contributi arretrati a circa 8-10 mila lavoratori transitati sulle sue postazioni negli anni passati, a partire dal 2001. In pratica, si riconosce agli operatori del call center (attuali e passati) lo status di lavoratori subordinati, pur essendo contrattualizzati come cocoprò (e, prima della legge 30, come cococò). Il gruppo Cos, dal canto suo, definisce «sconcertanti e contraddittorie» le disposizioni dell'Ispettorato, e annuncia ricorso. «Contraddittorie - spiega - perché in antitesi con la linea adottata dal ministero del Lavoro: non considerano infatti la distinzione contenuta nella Circolare del 14 giugno scorso tra attività inbound e attività outbound, oltre a non rispettare il principio della gradualità della sua applicazione insito nella previsione di un periodo di informativa alle aziende».
Il gruppo Cos è il vero big del settore di call center in Italia: conta circa 15 mila lavoratori, registra un fatturato annuo di 250 milioni di euro, tra partecipazioni e controllo diretto ha in mano i call center dei principali gruppi aziendali italiani, senza contare numerosi appalti dalla pubblica amministrazione. Il call center romano Atesia lavora principalmente per la compagnia Telecom e per la Tim, ma le cuffiette della Cos, in tutta Italia, servono big privati e pubblici come Alitalia, Wind, Barilla, Sky, l'Istat, l'Inpdap, varie province, regioni e ministeri. Il gruppo si difende affermando che ha già assunto «oltre 4 mila dipendenti negli ultimi anni e che si apprestava ad assumerne altri 3 mila. Con tali cifre - continua - la Cos avrebbe avuto di gran lunga il più alto numero di lavoratori subordinati di tutto il settore: chiediamo al ministero del Lavoro di garantire uguali condizioni a tutti i soggetti che operano in questo mercato a partire dalle istituzioni stesse, dalle amministrazioni e dalle aziende pubbliche che per prime hanno offerto e utilizzato il lavoro a progetto. Se si ritiene che la forma corretta di lavoro per tutti gli operatori impegnati nei call center sia quella del lavoro a tempo indeterminato, allora è necessario che questo principio sia applicato ovunque, e noi ci adegueremo».
Interessante, a questo punto, è il fronte che si apre con il ministero del Lavoro: Cos, infatti, respingendo le conclusioni dell'ispettorato e annunciando ricorso, chiama in causa proprio la circolare emessa il 14 giugno dal ministro Cesare Damiano, che distingue tra lavoro inbound (di ricezione, dunque subordinato perché legato passivamente alle telefonate in arrivo) e outbound (chiamate in uscita, fatte per proporre un servizio, e dunque, a parere del ministero, configurabili nel lavoro a progetto perché il lavoratore potrebbe gestirsi autonomamente i tempi).
Una prima risposta del ministero arriva dal sottosegretario al Lavoro Rosa Rinaldi: «Il lavoro dell'Ispettorato è fatto in piena autonomia e applica le regole in vigore, dunque non è assolutamente contrattabile - spiega - D'altra parte, la circolare non agisce sul pregresso: l'ispettorato si è mosso su richiesta dei lavoratori ed evidentemente ha rilevato delle irregolarità. Noi avevamo tentato un tavolo, ma l'azienda ha preferito attendere le conclusioni delle ispezioni. Per quanto ci riguarda, prendiamo atto dei risultati dell'ispezione e anzi ci convinciamo di aver agito nella giusta direzione quando abbiamo emesso la circolare, che non parla di un call center in particolare ed è fatta per formare i nostri ispettori e dare un indirizzo alle aziende. A questo proposito - conclude il sottosegretario Rinaldi - dal 15 settembre partirà il lavoro di informazione, che a fine anno sarà seguito dalle vere e proprie ispezioni».
I lavoratori accolgono con soddisfazione le conclusioni: «E' ovviamente una bella notizia», commenta Pompeo Scopino, delegato Cgil. E ricordano che l'
outbound svolto in Atesia non ha per nulla carattere di proposta commerciale, nella tipologia descritta dalla circolare ministeriale, ma è ad esempio quello di Istat o Unioncamere per ricerche e indagini: dunque è certamente configurabile come lavoro subordinato.


fonte Il Manifesto, 23/8/2006

Blog Governo.net

Call center tra lavoro e bilancia: una nuova dieta.

La circolare n. 17 del 14/06/2006 del Ministero del Welfare ha allertato in questi giorni i datori di lavoro che fanno uso di contratti di collaborazione a progetto per le attività di call center. E le imprese già minacciano i ricorsi.
La circolare contiene dei criteri di controllo per gli Ispettori del lavoro che, qualora rilevassero la non sussitenza dell’autonomia di prestazione, procederanno d’ufficio per la conversione in contratti di lavoro subordinato.
La magistratura rimane ovviamente presente, ma considerando che i lavoratori difficilmente agiscono per convertire un contratto credo sia utile e necessario avere un Ispettorato che funzioni (dandogli gli strumenti e sollecitadolo visto che non mi sembra molto attivo), in tutela non solo dei lavoratori ma anche della legalità in generale.
La questione interessa quelle attività, definite “in bound“, in cui non si può predeterminare contenuto e modaltà della prestazione, cioè per le attività di customer care e assistenza online.
E sono d’accordo! Totalmente d’accordo! Non possiamo conoscere quali e/o quante telefonate arriveranno ad un centralino di questo tipo: quindi non esiste alcuna autonomia del lavoratore che viene assunto con orari fissi per dare un servizio alla clientela. Ci troviamo di fronte a lavoratori subordinati e come tali vanno assunti.
Il contratto di collaborazione a progetto lasciamolo a coloro che debbono dedicarsi, per esempio, a fare telefonate per una determinata campagna, con prevalente (non esclusiva!!) personalità della prestazione e autonomia di gestione. Lì c’è il coordinamento con il datore, non la subordinazione effettiva.
Quindi sono d’accordo con il ministro del Welfare Cesare Damiano che ha chiarito agli Ispettorati del lavoro i requisiti sul controllo dei rapporti di lavoro, affinché possano avviare le pratiche di conversione del contratto qualora ravvisassero la mancanza del progetto (o fase di esso, secondo la normativa) nell’assunzione di un collaboratore.

La riforma Biagi mi piace, ma va rispettata onde evitare di avere frodi simulate con contratti che la riforma prevede.

24 08 06 Contributo di Loud al BlogMinistro al Welfare, Sottosegretario al BlogMinistero della Giustizia

Panorama

Call center, adesso si cambia

Il gruppo italiano leader del settore costretto dall'Ispettorato del Lavoro ad assumere 3200 ex co.co.co. Il ministro del Lavoro Damiano accelera: bisogna regolarizzare. "In questo modo si mina l'intero settore, mettendo a rischio almeno 80mila posti di lavoro": è l'immediata la risposta delle imprese

"Siamo contenti perchè il responso degli ispettori del lavoro è frutto dell'esposto che il collettivo di Atesia ha presentato lo scorso anno".
Ad esultare sono i lavoratori del gruppo Atesia dopo la richiesta dell'Ispettorato del Lavoro alla società, maggiore gestore di call center in Italia, di assumere tutti i lavoratori a progetto, ossia 3.200 persone.

Per il variegato arcipelago dei call center italiani la decisione dell'Ispettorato rappresenta una vera rivoluzione.
In pratica gli ispettori hanno riconosciuto agli operatori di Atesia, attuali e passati, lo status di lavoratori subordinati, pur essendo contrattualizzati come "cocoprò".
Per questo al call center è stato anche richiesto di versare i contributi arretrati degli 8-10 mila lavoratori transitati sulle sue postazioni dal 2001 a oggi.
Una richiesta, quella dell'Ispettorato, che se venisse estesa a tutta Italia, per Umberto Costamagna, presidente di Assocontact - associazione delle società di call center - rischierebbe di "mettere in ginocchio le aziende, obbligandole a fare a meno di 50-60 mila collaboratori e mettendo a rischio al rischio altri 20-30 mila addetti assunti a tempo indeterminato".
Per l'Assocontact, la posizione dell'Ispettorato sarebbe inoltre in conflitto con una recente circolare del ministro del Lavoro Damiano. "Una circolare che aveva messo in piedi - dice Costamagna - un confronto fra il ministero, le aziende e i sindacati.

Insomma, l'ispettorato interrompe e rischia di bloccare un cammino di concertazione avviato. E credo che lo stesso Damiano ora sia in imbarazzo". Un confronto, quello tra le parti sociali, che invece deve essere ripreso al più presto anche per Atesia. "I sindacati non possono non essere sensibili al problema del mantenimento dei livelli occupazionali", ha spiegato ieri l'azienda.

Il gruppo Cos, di cui Atesia fa parte, è uno dei principali call center d'Italia, con circa 15mila dipendenti e un fatturato di 250 milioni di euro. Direttamente o indirettamente gestisce i call center dei principali gruppi aziendali italiani da Tim e Telecom a Wind, Alitalia, Sky.
Il nostro è un settore che impiega 250 mila operatori, di cui circa 1/3, cioè 80 mila, in outsourcing.
È un comparto con un fatturato stimabile in 600 milioni di euro, che negli ultimi anni è cresciuto, ha creato occupazione, soprattutto nel Mezzogiorno e fra le donne. Ma vive di commesse, magari di pochi giorni, settimane o mesi. A volte con contratti di 1 anno. Abbiamo bisogno di sana flessibilità".

Intanto il ministro del lavoro Damiano ha spiegato che "il ministero agirà sulle indicazioni contenute nella circolare emessa il 14 giugno.
Dal 15 settembre partiranno le ispezioni di accompagnamento - ha annunciato - per spiegare alle imprese quali sono i nostri intendimenti. Tutto ciò che è lavoro subordinato va classificato in questo modo: quindi tutto quello che è lavoro a progetto e ricade nella normativa del lavoro subordinato dovrà essere trasformato".
Il ministero stesso ha assunto i 15 lavoratori del suo call center con contratto a tempo indeterminato.

E l'ingiunzione di assumere tutti i dipendenti "cocoprò" rivolta dall'Ispettorato del lavoro all'azienda Atesia divide i sindacati.
Il ministro del Lavoro parla al Meeting di Rimini, nel corso di una tavola rotonda alla quale partecipa anche il segretario generale della Cisl Bonanni.
E proprio il leader della Cisl esprime i primi dubbi sull'operato degli ispettori: "Non tocca a loro decidere sui call center - dice. Fino a due anni fa i lavoratori del call center erano in larga parte "cococo". Abbiamo fatto un accordo difficile, e oggi la grande maggioranza dei lavoratori del settore è in regime di lavoro dipendente".
A questo punto, ha proseguito se serve un altro accordo con le imprese "siamo pronti a farlo, ma non devono essere gli ispettori a decidere".
Se Bonanni non nasconde le sua contrarietà all'azione dell'Ispettorato, di ben altro tono sono le reazioni che arrivano dagli altri sindacati.
"Da tempo la Fiom sostiene che un rapporto di lavoro autonomo, anziché di lavoro subordinato, per i lavoratori dei call center costituisce una vera e propria truffa ai danni degli stessi lavoratori e delle Stato", afferma Giorgio Cremaschi.
Per il segretario nazionale della Fiom-Cgil, "si comincia finalmente a fare chiarezza. E' necessario che il governo assuma ed estenda queste interpretazioni degli ispettori in tutto il settore dei call center, ove non esiste lavoro autonomo".

Il Denaro

Call center, Damiano: E’ impiego subordinato

“Lavoro subordinato per in bound e parasubordinato per out bound”. E’ quanto sostiene Cesare Damiano, ministro del Lavoro, e questa definizione sarà una linea guida per regolarizzare la situazione del gruppo Atesia, che gestisce call center e che conta quindicimila addetti di cui molti a progetto.
In pratica, i servizi al cliente in cui è molto difficile che l’operatore possa gestire in proprio il lavoro e quelli come le ricerche di mercato o, in generale, le promozioni commerciali. Più in generale, il ministro chiarisce la volontà “di regolarizzare il lavoro in tutto il settore”, e ricorda che “il problema di questa azienda è antico. Le prime ispezioni sono state fatte molti anni fa” e la più recente “è precedente alla circolare emanata dal mio ministero”.
Monta, intanto, la polemica sulle ispezioni Inps all’Atesia. Nidil-Cgil, sindacato dei lavoratori atipici, “accoglie con favore l’indicazione che finalmente è stata data dagli ispettori circa la trasformazione in lavoro subordinato a tempo indeterminato delle migliaia di contratti di collaborazione a progetto nel call center Atesia”.
Secondo quanto sostiene la segreteria nazionale del sindacato “l’azienda è stata passata al vaglio dagli ispettori del lavoro, che hanno riscontrato abusi nell’utilizzo dei contratti atipici stabilendo che almeno 3.200 addetti del call center romano vengano assunti come dipendenti”.
“Si tratta di un passo ulteriore verso la cancellazione delle illegittimità - afferma una nota - nell'utilizzo dei contratti di collaborazione che, in nome della flessibilità, ancora troppe aziende usano con l'unico scopo di abbassare il costo del lavoro scaricando sui lavoratori i rischi d’impresa e condannandoli inevitabilmente alla precarietà sociale e professionale”.

http://www.denaro.it/go/a/_articolo.qws?recID=247664

Pino Sgobio

CALL CENTER: SGOBIO (PDCI), STABILITA' TORNI A ESSERE REGOLA

"Il 'caso Atesia' conferma una cosa semplicissima: i diritti dei lavoratori devono ritornare al centro del dibattito politico italiano e devono essere uno dei punti qualificanti dell' azione di governo del centrosinistra". Lo dice Pino Sgobio, capogruppo dei Comunisti Italiani alla Camera, che aggiunge: "Il caso dei 3500 lavoratori del call center di Atesia e' solo uno dei casi emblematici dei disastri operati dalla legge 30, legge che va radicalmente superata. E' inaccettabile la tesi secondo la quale sia preferibile un lavoro precarizzato, pagato poco o male (addirittura ci sono casi di compensi netti di sole 4 euro), altrimenti le aziende chiuderebbero. E' una tesi fortemente ricattatoria che va rigettata con decisione. E' ora, insomma, di voltare pagina lavorando alla messa a punto di una legislazione del lavoro che tuteli il lavoro invece di dequalificarlo".

(AGI) Roma, Red/Cav 24AGO 06 ore 12,15

Agenzia

CALL CENTER: DAMIANO, LAVORO FLESSIBILE SOLO NEI CASI PREVISTI

(AGI) - Rimini, 23 ago - Il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, intende regolarizzare l'occupazione degli oltre 200.000 addetti ai call center e conferma la circolare del 14 giugno che autorizza il ricorso a forme di lavoro parasubordinato solo per i servizi "outbound", che sono quelle campagne con le quali i call center si mettono in contatto con potenziali clienti. E' quanto ha annunciato lo stesso Damiano conversando con i giornalisti durante il meeting di Comunione e Liberazione. Interpellato sul caso Atesia, l'azienda del gruppo Almaviva-Cos alla quale gli ispettori del lavoro hanno imposto l'assunzione di tutti gli addetti, il ministro ha fatto presente che esaminera' il caso. "Il problema di questa azienda - ha detto Damiano - e' antico. Le prime ispezioni risalgono a molti anni fa. Quest'ultima e' precedente alla circolare emanata dal mio ministero. Mi riservo - ha proseguito Damiano - di esaminare questi documenti.".
Per cio' che riguarda i call center e i 250.000 addetti in 700 aziende, il criterio fondamentale - ha ribadito l'ex sindacalista della Cgil - e' che per le attivita' "inbound" (cioe' le risposte alle chiamate, n.d.r.) deve essere utilizzato il lavoro subordinato, mentre per l'outbound si puo' ricorrere al parasubordinato. Comunque, ha concluso il ministro, "vogliamo regolarizzare il lavoro in tutto il settore".

L'Unità

Call center Atesia: tremila devono essere assunti
di
Paola Zanca

A un anno dall´esposto del Collettivo Precari Atesia, l´Ispettorato del Lavoro risponde: il lavoro nel call center più grande d´Italia è lavoro subordinato. E come tale va regolarizzato: oltre tremila operatori del servizio telefonico con contratti "fantasiosi" dovrebbero essere assunti a tempo indeterminato mentre altri diecimila lavoratori – tra gli attuali e gli ex dipendenti – dovrebbero vedere regolarizzati i contributi previdenziali che hanno maturato dal 2001 ad oggi. L´azienda si scaglia contro le decisioni dell´Ispettorato definendole «sconcertanti e contraddittorie», denuncia «l´inaccettabile e insostenibile turbamento del mercato» e minaccia la crisi che «obbligherebbe le aziende a fare a meno di 50/60 mila lavoratori». Come dire: sopravviviamo solo se sfruttiamo. E sì, che da tempo Atesia pubblicizza utili da capogiro (53 milioni di euro solo nel 2004), vanta 300 mila contatti ogni giorno e assapora l´idea di quotarsi in borsa.
Già nel 1998, un´altra ispezione aveva denunciato l´irregolarità delle forme contrattuali del call center di Cinecittà. Ma un accordo tra azienda e sindacati aveva fatto rientrare negli argini la situazione. Ora, il rischio è che i risultati dell´ispezione cadano di nuovo nel nulla, anche se la Nidil, organizzazione dei lavoratori atipici della Cgil, ha già accolto con favore questo «passo ulteriore verso la cancellazione delle illegittimità nell'utilizzo dei contratti di collaborazione». L´esposto, ai precari di Atesia è già costato caro, considerato che in questi anni di lotta, cinque persone sono state licenziate e ad altre 400 non è stato rinnovato il contratto. Guarda caso, la stragrande maggioranza dei mancati rinnovi ha colpito esponenti o simpatizzanti del collettivo.
Ora, con la fine di settembre, si avvicina una nuova scadenza contrattuale, che ha già fatto incrociare le braccia ai lavoratori, delusi dalle ipotesi che l´azienda ha in cantiere: contratti di inserimento – che per antonomasia dovrebbero riguardare nuovi assunti e non dipendenti già impiegati – contratti di apprendistato – che suonano vagamente ridicoli a chi magari lavora in Atesia già da qualche anno – e infine altri co.co.pro. Il tutto condito da una liberatoria che ogni «collaboratore» è costretto a firmare ad ogni rinnovo di contratto in cui dichiara di non aver svolto in passato nessun lavoro subordinato in Atesia ma esclusivamente attività autonome.
Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Cesare Damiano per ora ha evitato di intervenire direttamente sul caso Atesia, riservandosi di leggere i risultati dell´ispezione. Ma si dice già certo che la situazione lavorativa di questi immensi centralini non può restare così com´è. «A partire dal 15 settembre cominceremo con le ispezioni di accompagnamento - ha detto il ministro – per spiegare alle imprese quali sono i nostri intendimenti: tutto ciò che è lavoro subordinato va classificato in questo modo, quindi, tutto quello che è lavoro a progetto e ricade nella normativa del lavoro subordinato dovrà essere trasformato in lavoro subordinato». D´altro canto, già la circolare ministeriale del 14 giugno scorso andava in questa direzione, distinguendo il lavoro nei call center tra chi presta un servizio per grandi aziende – e dunque svolge a tutti gli effetti un lavoro subordinato, con un committente, una postazione di lavoro, dei capi – e chi fa attività di promozione e sondaggi, dunque, in senso lato, segue un "progetto". Ed è proprio a questa distinzione che fa appello Atesia per trovare un vizio nei documenti che la condannano all´assunzione dei suoi dipendenti e che, dicono, renderà «impossibile competere sul mercato e proseguire nel cammino virtuoso che abbiamo intrapreso».
Un cammino iniziato nel 1989 e che ha portato il gruppo Cos – di cui Atesia fa parte – a diventare un´azienda leader nel settore, fino a rappresentare il mercato italiano nelle classifiche internazionali nella gestione dei servizi di contact centre e nella realizzazione di indagini di mercato. In altre parole, è il regno dell´outsourcing, ovvero di quel sistema per cui grandi aziende come Tim, Alitalia, Sky, Pirelli – per citarne solo alcune – appaltano servizi per i clienti e ricerche di mercato a società esterne. Un giro d´affari milionario, che per i lavoratori però finora si è tradotto in una rincorsa forsennata al «contatto utile», l´unità di misura – dai 20 ai 90 centesimi – che separa ogni centralinista dalla fine del mese.

Pubblicato il: 23.08.06

Il Giornale

Call center, a rischio 80mila posti di lavoro - di Redazione -
È polemica dopo la decisione di far assumere ad Atesia 3.200 dipendenti

«Siamo contenti perchè il responso degli ispettori del lavoro è frutto dell'esposto che il collettivo di Atesia ha presentato lo scorso anno». Lo spiegano i lavoratori del gruppo Atesia dopo la richiesta dell'Ispettorato del Lavoro alla società, maggiore gestore di call center in Italia, di assumere tutti i lavoratori a progetto, ossia 3.200 persone. La mossa fa discutere e secondo il presidente dell'associazione di categoria Assocontact Umberto Costamagna se l'iniziativa fosse estesa in tutta Italia «si minerebbe l'intero settore,mettendo in ginocchio le aziende e obbligandole a fare a meno di 50-60 mila collaboratori e mettendo a rischio altri 20-30 mila addetti assunti a tempo indeterminato». Il presidente dell'associazione delle società di call center è preoccupato e non lo nasconde. «La posizione assunta dall'Ispettorato - ha spiegato Costamagna - è in palese controtendenza con la circolare varata tempo fa da ministro del Lavoro Cesare Damiano. Una circolare che aveva messo in piedi un confronto fra il Ministero, le aziende ed i sindacati.Il nostro è un settore che impiega 250 mila operatori, di cui circa 1/3, cioè 80 mila, in outsourcing. È un comparto con un fatturato stimabile in 600 milioni di euro, che negli ultimi anni è cresciuto, ha creato occupazione, soprattutto nel Mezzogiorno e fra le donne. Ma vive di commesse, magari di pochi giorni, settimane o mesi. A volte con contratti di 1 anno. Abbiamo bisogno di sana flessibilità». Intanto il ministro del lavoro Damiano ha spiegato che «il ministero agirà sulle indicazioni contenute nella circolare.
Dal 15 settembre partiranno le ispezioni di accompagnamento - ha annunciato - per spiegare alle imprese quali sono i nostri intendimenti. Tutto ciò che è lavoro subordinato va classificato in questo modo: quindi tutto quello che è lavoro a progetto e ricade nella normativa del lavoro subordinato dovrà essere trasformato». Il ministero stesso ha assunto i 15 lavoratori del suo call center con contratto a tempo indeterminato.
Intanto il Cub, Confederazione Unitaria di Base del Lazio, contesta l'atteggiamento di Cgil, Cisl e Uil perchè «hanno consentito, con i loro accordi, che in tutti questi anni nascesse l'impero dei call-center». Ora si attende la manifestazione del 9 settembre dove si riuniranno tutti i lavoratori della categoria.

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=113566

Alessandra Tibaldi

TIBALDI SUL CALL CENTER ATESIA di Peppe Rossi

"Le conclusioni dell’ispettorato sul call center Atesia rappresentano un atto di giustizia verso dei lavoratori vessati dall’uso spregiudicato della normativa sulla flessibilità. Ora si stabilizzino tutti gli altri lavoratori del settore ”, con queste parole l’Assessora al Lavoro, Pari Opportunità e Politiche Giovanili della Regione Lazio Alessandra Tibaldi commenta la relazione degli ispettori del lavoro sui co.co.pro. dell’azienda romana.

“Nei call center – dice ancora Tibaldi - da tempo il precariato rappresenta un’autentica beffa per i 200.000 addetti del comparto, che ricoprono oggettivamente ruoli da lavoratori dipendenti. Su questi temi mi sono sempre espressa chiaramente, indicando nella regolarizzazione un obiettivo da perseguire in tempi rapidi. Per questo oggi mi rallegro per questo risultato, che va nella direzione del superamento del lavoro precario e che restituisce dignità e diritti a dei lavoratori da sempre ingiustamente discriminati”.

A TE SI (A)...e A ME NO?

Si scaldano i motori, ragazzi! Turbamento del mercato?!
22 ago 17:44 Call Center: Atesia dovra' assumere 3200 lavoratori

ROMA - L'Ispettorato del lavoro ha chiesto alla societa' del gruppo Almaviva, Atesia, che si occupa della gestione di call center, di assumere 3200 lavoratori a progetto. Dall'ispezione emerge anche che la societa' dovra' regolarizzare il pagamento dei contributi per tutti i vecchi lavoratori della societa' per un totale di 8-10 mila lavoratori. Il gruppo Cos di cui Atesia fa parte, gestisce a sua volta i call center di tutti i principali gestori telefonici in Italia come: Alitalia e Meridiana, Sky, Rai, Pirelli e Barilla. Dura la reazione della societa' secondo la quale le richieste dell'ispettorato rappresentano un "grave precedente per l'azienda e per tutte le imprese che operano nel settore che puo' provocare un inaccettabile e insostenibile turbamento del mercato''. (Agr)

22 ago 20:32 Call Center: Atesia su obbligo assunzioni, fara' ricorso

ROMA - "Un grave precedente per l'azienda e per tutte le imprese che operano nel settore": cosi' COS-Atesia definisce la decisione dell'Ispettorato del Lavoro che ha imposto all'azienda l'assunzione di 3200 lavoratori a progetto in call center. Sono state infatti accertate le caratteristiche di lavoro dipendente. Le societa' hanno definito pero' "sconcertanti e contraddittorie" le conclusioni contenute nel verbale di accertamento "contro le quali la societa' si opporra' in tutte le sedi". (Agr)

lunedì 21 agosto 2006

L'espresso 9/6/2006

Self service Telecom
di Peter Gomez e Vittorio Malagutti

Troppo facile violare gli archivi delle telefonate. Senza lasciare tracce. Lo ha accertato il Garante della Privacy. Che impone all'azienda controlli più rigidi
Il Garante della Privacy ha bussato alle porte di Telecom Italia la mattina di martedì 23 maggio. Un'ispezione lampo, meno di due giorni per arrivare a una prima, importante conclusione: la più grande compagnia telefonica italiana non ha protetto a sufficienza i dati sul traffico dei cellulari dei propri clienti. In sostanza, i tecnici del Garante, dopo aver trascorso ore e ore negli uffici di via Torrerossa 66 a Roma, uno dei più importanti centri per la telefonia mobile del gruppo, si sono resi conto che alcuni funzionari di alto livello, chiamati in gergo 'addetti IT' o anche amministratori di sistema (meno di un centinaio in tutta Italia), potevano consultare ed estrarre i tabulati telefonici degli utenti quasi senza lasciare tracce. L'apparato informatico, infatti, era congegnato in modo da segnalare il loro ingresso, ma non le operazioni compiute. In caso di controlli successivi, quindi, era impossibile sapere quali fossero le informazioni richieste. I vertici del gruppo guidato da Marco Tronchetti Provera hanno risposto ai rilievi dell'Authority attribuendoli a problemi di natura strettamente tecnica. E hanno assicurato di essersi già mossi per risolvere la questione nel più breve tempo possibile.

Queste prime spiegazioni di Telecom, però, non hanno soddisfatto il Garante. Ecco perché, secondo quanto 'L'espresso' è in grado di rivelare, il primo giugno è stato emesso un provvedimento ufficiale per richiamare all'ordine il gruppo. Il documento prescrive tre interventi urgenti, da attuare entro sei mesi, per ripristinare una corretta gestione dei dati di traffico telefonico. In primo luogo vanno introdotte soluzioni informatiche che consentano di individuare sempre e comunque l'identità di chi interpella la banca dati. Perché finora, come ha rilevato l'Authority, spesso non si capiva bene chi avesse messo le mani nel database e per fare che cosa. In secondo luogo il Garante ha ordinato che vengano definiti con precisione i cosiddetti 'profili di autorizzazione'. In altre parole, Telecom deve stabilire a quali informazioni sensibili possono accedere i propri funzionari sulla base del ruolo ricoperto. Infine, il documento notificato nei giorni scorsi chiede alla compagnia telefonica di creare una sorta di firma digitale indelebile che permetta, anche a distanza di anni, di risalire a ogni intervento nella banca dati.

La presa di posizione dell'autorità presieduta da Francesco Pizzetti è arrivata in una fase a dir poco delicata. Le vicende di cronaca, ultima della serie quella dello scandalo calcistico, hanno portato alla ribalta il tema dell'uso, e dell'abuso, delle intercettazioni telefoniche. E Telecom Italia è stata anche costretta ad affrontare il contraccolpo causato dalle dimissioni del suo ex responsabile della sicurezza Giuliano Tavaroli, finito sotto inchiesta a Milano perché sospettato di aver messo in piedi una sorta di intelligence parallela approfittando del proprio ruolo. Ma mentre sul fronte penale continuano le indagini affidate ai pm Fabio Napoleone, Stefano Civardi e Letizia Mannella, una nuova tegola è piovuta su Telecom. Già, perché le verifiche interne sollecitate dall'intervento del garante della Privacy hanno portato a un'altra scoperta: l'esistenza di sistemi ad hoc per scaricare tabulati di traffico telefonico a piacimento senza lasciare tracce. Una scoperta inquietante che, almeno sulla carta, avrebbe potuto legittimare i peggiori sospetti. A dar conto di questo problema è stata una relazione preparata dagli uffici sicurezza della telefonia mobile, da anni affidata all'ex poliziotto Adamo Bove. Nel giro di poche ore, dai vertici della multinazionale telefonica è arrivato l'ordine di procedere a una verifica ancora più approfondita. L'indagine è stata affidata all'auditing interna guidata da Armando Focaroli. Il rapporto, redatto a tempo di record, è ormai completato.

A questo punto Tronchetti Provera e i suoi più stretti collaboratori stanno valutando i prossimi passi. È possibile che lo staff legale del gruppo presenti in Procura a Milano un esposto sull'intera vicenda. Sull'argomento non si registrano conferme ufficiali, ma il fatto che non venga escluso il ricorso all'autorità giudiziaria lascia pensare che l'auditing sia riuscita a individuare le tracce di possibili abusi nella gestione dei tabulati. Intanto, la questione è destinata a passare al vaglio anche del comitato di controllo interno di Telecom, composto, come prescrivono le regole sulla governance societaria, da quattro amministratori indipendenti: Guido Ferrarini, che lo presiede, Francesco Denozza, Domenico De Sole e Marco Onado.

Da principio, la riunione sembrava dovesse svolgersi già negli ultimi giorni di maggio. Poi si è preferito attendere che venisse completata l'ispezione coordinata da Focaroli. Del resto non è la prima volta che il comitato di controllo affronta questo argomento scottante. Già alla fine di marzo, ai quattro consiglieri era stata sottoposta una relazione del management aziendale in cui veniva riepilogata la posizione del gruppo sul tema delle intercettazioni. In pratica si riaffermava che l'unica attività in questo campo era quella prestata a favore della magistratura. E che gli unici ipotetici abusi erano da ricondurre a interventi esterni sulle strutture periferiche. Secondo Telecom, insomma, erano possibili solo intercettazioni di tipo artigianale mediante l'installazione di apparecchiature di ascolto nelle migliaia di centraline disseminate su tutta la rete telefonica. Il comitato presieduto da Ferrarini era anche stato informato dei nuovi incarichi affidati a Tavaroli dopo il suo coinvolgimento (maggio 2005) nell'inchiesta giudiziaria milanese. L'ex capo della security era stato formalmente dirottato a occuparsi della Pirelli Romania. Allo stesso tempo, come venne spiegato ai componenti del comitato di controllo, Tronchetti Provera, con la "disposizione organizzativa numero 213", aveva disposto che Tavaroli avrebbe curato per il gruppo "l'analisi e l'implementazione delle più opportune iniziative per la prevenzione e la gestione delle eventuali crisi collegate ai rischi di terrorismo internazionale". Quindi, il manager ha continuato a essere il punto di riferimento dei servizi segreti all'interno del gruppo Telecom.

Adesso, rispetto a quell'ultima riunione del comitato di controllo, lo scenario appare profondamente cambiato. A Milano, la Procura è riuscita a decrittare l'archivio informatico di Emanuele Cipriani, l'investigatore privato fiorentino, amico d'infanzia di Tavaroli, a cui per anni Pirelli e la controllata Telecom hanno affidato un gran numero di incarichi nell'ambito della sicurezza del gruppo. Cipriani, titolare dell'agenzia Polis d'Istinto, conservava nel suo computer decine di migliaia di file. Una sorta di enorme schedario in cui sono state raccolte informazioni di ogni tipo, comprese quelle patrimoniali e sul traffico telefonico, riguardanti una fetta importante della classe dirigente del Paese. Lo 007, finito anch'egli sotto inchiesta per associazione a delinquere finalizzata alla violazione della privacy e alla corruzione di pubblici ufficiali, è legato da stretti rapporti d'amicizia non solo a Tavaroli, ma anche a Marco Mancini, il direttore della prima divisione del Sismi, quella che si occupa di controspionaggio e antiterrorismo.

Venerdì 2 giugno, in un'intervista a 'Repubblica', Cipriani ha negato di aver mai ricevuto o passato informazioni a Tavaroli o a Mancini. "Mi rendo conto", ha detto, "che è difficile crederlo, ma è così". Proprio questo è uno degli interrogativi fondamentali attorno a cui ruota l'inchiesta dei pm di Milano. Il sospetto è che negli anni si fosse consolidata una stretta collaborazione tra i tre amici. A tal punto da poter condividere notizie e dati utili alle loro attività. In altre parole, questa l'ipotesi degli investigatori, una parte dell'immenso archivio di Cipriani potrebbe essere stato alimentato dagli uffici della security di Telecom. Come pure un altro flusso di informazioni avrebbe preso la strada del Sismi di Mancini. Di certo il fondatore della Polis d'Istinto ha svolto una gran mole di lavoro per il gruppo guidato da Tronchetti Provera. Un'attività che data sin dal 1997 e avrebbe fruttato almeno 14 milioni di euro, di cui 11 accreditati su un conto lussemburghese. Anche su queste fatturazioni la compagnia telefonica ha condotto un audit interno per verificare l'emissione di regolari fatture.

Nell'intervista a 'Repubblica', Cipriani ha affermato che i compensi non sarebbero stati versati alla Polis d'Istinto, ma a due società con base a Londra: la Worldwide consultant security ltd (in sigla Wcs) e la Security research advisor ltd (Sra). Da un controllo presso il registro societario londinese emerge però che solo la seconda azienda citata risulta effettivamente iscritta e attiva. Della Worldwide consultant security invece non c'è traccia. Neppure tra le ditte cancellate negli anni scorsi. Peraltro, secondo i dati depositati, la Security research advisor presenta un bilancio ridotto ai minimi termini, con attività per poche sterline almeno fino alla fine del 2004, ultimo bilancio disponibile. In questa società non compare il nome di Cipriani. Né tra gli amministratori, che sono due fiduciari con base all'isola di Man, né tra gli azionisti. La proprietà infatti risulta intestata a una finanziaria schermo del Liechtenstein. È possibile, in teoria, che Cipriani facesse riferimento a società registrate altrove, ma con conti bancari e uffici a Londra. Non sarebbe la prima volta. Dalle indagini infatti è emerso che all'investigatore privato fiorentino era riconducibile anche un'altra sigla con sede nel paradiso fiscale delle Isole Vergini britanniche, la Plus Venture Management. Comunque, per capire punti di partenza e di arrivo del denaro, la Procura di Milano, dopo le segnalazioni delle strutture antiriciclaggio dell'Ufficio italiano cambi, ha già avviato una serie di rogatorie.

Società off shore, paradisi finanziari, conti esteri. Ne ha fatta di strada l'indagine sulla Polis d'Istinto di Cipriani cominciata a Milano quasi due anni fa con una semplice denuncia per violazione della privacy. A presentarla fu un manager della Coca-Cola. Si era accorto di essere pedinato e quando erano intervenute le forze dell'ordine ecco la prima strana scoperta. Gli uomini che seguivano il manager erano poliziotti poi risultati in contatto con l'investigatore privato fiorentino. Sembrava una cosa da niente. Ma allo sfortunato dirigente, sospettato d'infedeltà aziendale, qualcuno aveva anche pensato di recapitare in busta anonima un cd rom contenente la registrazione delle sue telefonate. Un po' troppo perché l'inchiesta venisse presa sotto gamba. E, infatti, il lavoro dei magistrati conduce ben presto a nuove clamorose scoperte.

Anche a Roma l'intervento del Garante della privacy che ha portato alla delibera contro Telecom prese le mosse da una storia simile. Il ricorso di un cliente Tim che in brutto giorno del 2005 ha trovato nella casella della posta un plico in cui c'erano i dati del traffico telefonico in entrata ed uscita dal suo cellulare: affari di cuore, sembra. Sta di fatto che da lì parte l'inchiesta dell'Authority. Dai primi accertamenti emerge che quei tabulati non sarebbero stati domandati da nessuno. Nei computer dei vari call center quella richiesta di dati semplicemente non risulta. I tecnici di Pizzetti cominciano così a porsi qualche domanda. E scoprono che in Telecom c'era chi poteva rubare informazioni riservate senza lasciare traccia.

Il tariffario dell'illegalità

Informazioni anche dai precari di call center: prezzi tra 80 e 1.500 euro
Gli spioni Nell'inchiesta della Procura di Milano che ha portato nel marzo scorso all'arresto dei detective privati Pierpaolo Pasqua e Gaspare Gallo (gli spioni del cosiddetto Storace-gate) emerge un fatto inquietante. I dati di traffico dei clienti Telecom non sono acquisibili soltanto dai dipendenti della compagnia, ma anche dai semplici collaboratori di società terze. Basta leggere la richiesta di arresto firmata dai pm milanesi Fabio Napoleone e Luca Civardi per scoprire che una semplice operatrice di call center, Alessandra P., era in grado di sapere tutto: nome, data di nascita, documento di identità e soprattutto i tabulati. Alessandra digitava il numero del telefonino o il nome della persona sul computer e forniva in tempo reale tutto alla sua amica investigatrice Laura Danani (poi arrestata). Solo in un caso Alessandra dice: "Non ho fatto in tempo a vedere se la linea è attiva perché è passato l'assistente".

I soldi L'uso dei dati telefonici per incastrare il coniuge fedifrago non è una novità. L'inchiesta milanese dimostra però i rischi del cosiddetto 'outsourcing', cioè l'uso da parte dei colossi della telefonia di società terze. Secondo i pm, Alessandra P. "sarebbe una dipendente della Atesia Spa, società svolgente attività call center in favore della Tim e/o Telecom". In realtà, chiamando al telefono il centralino di Atesia, rispondono che Alessandra P. è una semplice collaboratrice come la gran parte delle operatrici. Atesia è un colosso del settore. Fattura 53 milioni di euro e possiede 1422 postazioni che gestiscono 300 mila chiamate al giorno. Ci lavorano 4 mila precari con un turn-over elevato. Cosa può fare una collaboratrice del call center? Alessandra P. lo racconta all'amica Laura: "Posso vedere l'intestatario, il traffico, i numeri amici, e tutti i numeri chiamati anche se asteriscati nelle ultime cifre fino a tre mesi prima". Alessandra chiede 80 euro a nominativo, ma i dati valgono di più. Ed è proprio Laura Danani, in una intercettazione, a fornire il tariffario: per sapere l'utente di un telefonino si pagano dai 150 ai 250 euro, mentre i dati delle chiamate in entrata e uscita di un determinato numero, nell'arco di due mesi, costano 1.500 euro, più 300 euro per gli sms.

sabato 19 agosto 2006

TIM (in)fedeltà?



Non ho resistito a fotografare questa scritta trovata su una postazione del field C...


mercoledì 16 agosto 2006

Call center di Rivoli

Stress da lavoro: che fare?
Flessibilita’ e debolezza del sistema di welfare i principali imputati…

Gran parte dei lavoratori soffre di disturbi derivanti da stress da lavoro e vorrebbe cambiare occupazione. Lo rilevava un'indagine conoscitiva promossa dalla Uilcom (Unione italiana lavoratori nella comunicazione) sui lavoratori del call center della Tim di Rivoli, allo scopo di riscontrare l'eventuale presenza di situazioni stressanti, raccogliere con sistematicità gli elementi denunciati dai lavoratori e individuare le possibili soluzioni. La portata del problema, che può portare anche a danni o per la salute psichica e fisica dei lavoratori. Secondo Antonio Saitta, presidente della Provincia di Torino "è necessario garantire una adeguata formazione a chi partecipa a questa nuova realtà Anche l'assessore provinciale al Lavoro ha sottolineato la esigenza di "tendere a una stabilizzazione del rapporto di lavoro per raggiungere una stabilizzazione della società".

Più in generale, flessibilita' e debolezza del sistema di welfare: questi i principali imputati dello stress da lavoro nel nostro paese. Lo rileva un rapporto Censis per Italia Lavoro, che analizza i fattori che rendono gli italiani secondi solo ai greci per problemi di salute e stress derivanti dal lavoro. "L'apertura dei mercati, lo scongelamento delle rigidita' tipiche del lavoro industriale, le liberalizzazioni, le minori protezioni e sicurezze pubbliche nel welfare - si legge nel rapporto - se da un lato hanno comportato una maggiore liberta' d'azione per l'impresa, dall'altro hanno spostato sul lavoratore un carico crescente di responsabilita', ansie ed incertezze''. Secondo una recente indagine della European Fondation for the improvement of living and working conditions, riportata dal rapporto Censis, cresce il numero dei lavoratori europei colpiti da problemi di salute legati al lavoro (dal 57% del 1995 al 60% del 2000) o da affaticamento (dal 20% al 23%). In questo contesto, dopo i greci sembrano essere gli italiani a subire le condizioni peggiori di lavoro: il 41% dichiara di avere problemi di stress da lavoro, contro una media Ue del 28%. Le risposte date dagli italiani hanno una conferma indiretta nei dati relativi al consumo di tranquillanti (la spesa e' cresciuta del 77,5% tra '96 e 2001) e di antidepressivi (+117,2% nello stesso periodo).

Stupisce, che all'alto numero di italiani stressati per colpa del lavoro corrisponda un'elevata soddisfazione per la propria occupazione. Ben il 75,9% dei nostri occupati si dichiara infatti soddisfatto del proprio lavoro, con ovvie distinzioni tra liberi professionisti (84,9%), dirigenti (83,4%), imprenditori (79,9%) e operai (69,7%), ma con un livello tutto sommato non troppo differenziato. La ragione dello stress da lavoro italiano, nota il Censis, va allora ricercata nella spinta alla flessibilizzazione intervenuta di recente che, su mercati del lavoro tradizionalmente rigidi come quelli mediterranei (Italia, Grecia), ha portato a fenomeni di precarizzazione, di incertezza e di instabilita' del rapporto tra l'individuo e il lavoro. Una situazione che finisce per caricare il lavoro di significati e attese non piu' solo identitarie o retributive, ma anche legate al futuro dell'individuo e della famiglia.

La necessita' di mantenere il lavoro, di restare sul mercato, puo' essere una fonte di stress non indifferente. In occasione della settimana europea per la salute e la sicurezza sul lavoro, nell'ottobre scorso, l'Inail ha messo insieme alcuni dati sull'incidenza dello stress e del mobbing sul lavoro. Secondo l'istituto, sono 40 milioni i lavoratori europei che soffrono di disagi legati alle condizioni di lavoro. I rischi sono quelli di disturbi psichici e somatizzazioni: lo stress da lavoro causa malattie cardiovascolari al 16% degli uomini e al 22% delle donne. Per le imprese questo si traduce nel 50% delle assenze dal lavoro e in un costo di circa 20 miliardi di euro all'anno per giornate di lavoro perse e costi sanitari. Da poco piu' di un anno e' stata riconosciuta la tutela dell'Inail a chi soffre di malattie del lavoro correlate allo stress e al mobbing e l'istituto ha ricevuto circa 110 denunce, di cui 15 ritenute finora indennizzabili. ‘'E' bene precisare che lo stress non e' una malattia in se', ma e' la risposta dell'organismo a sollecitazioni esterne. Se manca questa compensazione possono insorgere le patologie, sia psicosomatiche, sia psichiche''. Lo spiega Giuseppe Cimaglia, Sovrintendente medico generale dell'Inail, che continua: ‘'il nostro Istituto tutela queste malattie quando il lavoro e' la causa, ma l'onere della prova spetta al lavoratore, anche se noi lo accompagniamo in questo percorso''. Il problema e' che queste patologie emergenti, pur avendo cause diverse ‘'coincidono con le patologie ‘normali'ed è estremamente difficile distinguere tra quelle generate dal lavoro e quelle che derivano dalla vita privata''. E l'indennizzo arriva solo se si riesce a dimostrare che la causa preminente e' quella lavorativa.

sabato 12 agosto 2006

Rovescio della medaglia di una voce gentile (!)

Tokyo, 37mila telefonate: arrestato
"Per la voce gentile delle operatrici"

10/8/06 "Una telefonata ti salva la vita", diceva lo slogan di una pubblicità. Deve averlo pensato anche un giapponese che, in soli tre mesi, ha fatto oltre 37mila chiamate ai call center. "Le operatrici erano così gentili - si è giustificato - che volevo sentire sempre la loro voce". L'uomo, 44 anni, è stato arrestato dalla polizia, che ritiene che le chiamate abbiano provocato stress psicologico a oltre 100 impiegati. Tutto è nato qualche mese fa, quando l'uomo ha fatto una telefonata di lamentela: "l'operatrice è stato molto gentile, così ho voluto continuare a sentire la sua voce", ha raccontato alla polizia di Hiroshima. Da marzo a luglio, ha quindi tempestato i call center di telefonate, facendone 37.760 in tutto. Al giorno, era capace di farne anche più di 900. Il responsabile alla fine ha ammesso la sua dipendenza da telefonino, che ha ostacolato le operazioni di Nippon Telegraph e Telephone Corp. Secondo la polizia, ha provocato stress psicologico a oltre 100 operatori telefonici.

http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo322706.shtml

Non è che a causa di uno mò...assisteremo ad una inversione di trend...con voci maschili e non più tanto giovani?!

venerdì 11 agosto 2006

Virus telefonici

Il «contagio» favorito dalla vicinanza fisica deli apparecchi
L'estate dei virus telefonici

Sta per scatenarsi un offensiva di istruzioni «maligne» che penetrano nei telefonini e danno istruzioni indesiderate
Con l’estate il rischio virus per i telefonini è aumentato vertiginosamente. Tutta colpa della tintarella e dei suoi annessi e connessi: ombrelloni, sdraio, asciugamani prendisole dove gli umani giacciono accanto al loro immancabile cellulare.
LE VIE DEL CONTAGIO - La contaminazione può avvenire i tre modi: via bluetooth, il sistema radio utilissimo per trasferire gratuitamente informazione da un cellulare all’altro senza pagare una lira, con gli mms e navigando su Internet. I telefoni mobili dell’ultima generazione, in modo particolare gli smartphone, sono a rischio parassiti informatici, quasi come i personal computer. I virus per cellulari sono già più di duecento e tra questi (vedi elenco) ce ne sono alcuni dannosi, capaci, dicono alcuni esperti, di scaricare il debito della carta prepagata (e non) componendo continuamente numeri dalla rubrica, inviando sms o collegandosi a Internet. E’ nato anche un malefico commercio di virus per telefonini, si possono acquistare collegandosi a vari siti. I telefonini più colpiti sono gli smartphone che funzionano con Symbian, sistema operativo che «gira» su almeno 25 milioni di telefonini nel mondo, ma dagli attacchi non si salvano neppure il sistema mobile di Microsoft e altri software per palmari attrezzati con la funzione telefono.
I VIRUS - Il primo virus della storia di telefonini si chiama Mosquitos e nasce dal pentolone informatico di un hacker americano nell’aprile del 2004. Il 15 giugno dello stesso anno arriva Cabir, primo parassita che si replica via bluetooth e blocca un esercito di cellulari in Turchia, Finlandia, Cina e Filippine. Un mese dopo è la volta di Duts e pochi giorni dopo ecco Brador, due «simpaticoni» specializzati in sistemi operativi PocketPc. Sono virus della specie chiamata cavallo di troia: si insinuano nella memoria e aiutano gli hacker a spiare i dati del telefono. L’elenco continua con Skulls (blocca il telefono), Lasco (combina virus e worm e alla fine blocca il sistema), Locknut (blocca il telefono). Fontal.A invece riesce persino a bloccare l’accensione. Pericolosissimo è pure Commwarrior, apparso per la prima volta in Irlanda all’inizio dellanno, che riesce a comporre continuamente i numeri memorizzati in rubrica. Flexispy, invece, copia sms (spesso imbarazzanti) e li trasferisce su Internet per poi replicarli in giro per il mondo. Per chi ha un videotelefonino deve stare attento a Imind4u che scatta foto, fa partire filmati e registra voci. PbStealer è specializzato nel spedire gli indirizzi a telefonini vicini connessi via bluetooth.

COME FUNZIONANO - Ma come funzionano i virus dei telefonini? «Un po’ nello stesso modo dei virius dei pc – spiega Miska Repo, responsabile di F-Secure Italia, società informatica che opera nel campo della sicurezza digitale - anche se i canali di infezione sono diversi. La propagazione dei parassiti digitali può avvenire su più direttrici. Quando si scaricano messaggi di posta elettronica, per esempio, ma anche via sms, mms, oppure via bluetooth».
COME DIFENDERSI - Come ci si difende dai virus? Intanto spegnendo o tenendo nascosta la funzione bluetooth. Poi utilizzando software antivirus prodotti dalle principali società che operano nel campo della sicurezza come, per esempio, Symantec e F-Secure . Come i “programmi vaccino” per personal computer, anche gli antivirus per telefonini devono essere aggiornati continuamente. Costano in media 35-40 euro.

Tesi e antitesi

Tronchetti-De Benedetti: la vera storia
da Libero del 27 luglio 2006, pag. 1
di Oscar Giannino*

Caro direttore, lo avevamo preannunciato ai lettori di Libero, che molto presto il patron di Telecom Marco Tronchetti Provera sarebbe venuto alle mani con l'ingegner Carlo De Benedetti. Ed è puntualmente avvenuto ieri, in una maniera che conferma da sola le molteplici ombre che gravano sull'azienda. Ombre che ai lettori questo giornale cerca onestamente di spiegare, mentre la grande stampa confindustriale si tiene pressoché compattamente in punta di piedi. Dunque prima di parlare della pazzesca esternazione di Tronchetti ieri a tutti i suoi dipendenti - una sorta di discorso di Mussolini al teatro Lirico di Milano, secondo alcuni che l'hanno ascoltato - partiamo dai problemi che, ieri, gli hanno a quel che pare fatto perdere la testa.

C'è un problema finanziario. C'è un problema di monopolio. C'è un problema - il più grave ancora - che riguarda l'ordine pubblico e la sicurezza democratica. Sul primo versante, Tronchetti appare come il trionfante Giovanni Agnelli del 2000, allorché cinque anni fa si mise d'accordo coi bresciani di Hopa e sfilò la Telecom a Colaninno, pagandola una follia - il titolo è al 50% sotto oggi, rispetto ad allora, e scende scende di trimestrale in trimestrale - e per di più senza passare per un'Opa sul mercato, cioè regalando tantissimo agli ex padroni ma non un euro agli azionisti di minoranza. Oggi, invece, Tronchetti è alla guida di un gruppo il cui debito tra Pirelli, Olimpia e Telecom splafona verso la cinquantina di miliardi di euro. Ha dovuto vendere tutto il vendibile, per ricomprarsi dai soci Olimpia le azioni che questi dismettono, lasciandolo solo di volta in volta allo scadere dei patti. Ultima vendita, la Brasil Telecom annunciata due giomi fa. La quotazione in Borsa di Pirelli penumatici, che doveva tirar su qualche altro centinaio di milioni da destinare a valle, per rafforzare un controllo in Olimpia su Telecom sempre più debole, è fallita.

LA GESTIONE
In più, Telecom perde margini dalla gestione ordinaria, il risultato operativo nel primo semestre è sceso del 4,5% e l'azienda lo ha motivato con maggiori investimenti: ma questi pesano semmai sull'utile lordo, non sul risultato di gestione, perché se peggiora questo significa solo che l'azienda è in difficoltà. Il debito è perfettamente sostenibile, se l’azienda fosse solo Telecom: è la quota parte che grava sulla parte alta della catena di controllo, quella che investe Pirelli direttamente, ciò che potrebbe portare Tronchetti a mollare la presa. E sarebbe puntualmente ciò che avverrebbe, se solo fossimo in un Paese di mercato per davvero: perché è ovvio a tutti quelli che di mestiere facciano l'analista finanziario, che in un Paese di mercato la Consob avrebbe dovuto da quel dì decidere il consolidamento in Pirelli di tutta la catena sottostante, fino all'ultimo granello di Telecom e di tutte le sue controllate: decisione che da sempre incombe sulla testa di Tronchetti come una spada minacciosa, e che obbligherebbe Pirelli a un aumento di capitale mostruoso, che non potrebbe mai aver successo.

Una decisione che però, naturalmente, la Consob di Lamberto Cardia non prende mai.
Nonostante che non un solo uomo di rilievo posto alla testa delle funzioni di Telecom Italia da Tronchetti Provera provenga da un’azienda diversa dalla Pirelli, tanto per rimarcarne l'estraneità: ma tant'è, il mantra è che chi tocca la Telecom di Tronchetti vuol male all'Italia, e dunque la Consob dorme. Il problema della posizione dominante sul mercato, in tutti i 18 segmenti tlc vigilati dall'Autorità delle comunicazioni, riempie da solo volumi di istruttorie e decisioni contro l'azienda che ancor oggi presidia il 95% degli accessi della rete fissa, el'85% di quelli per i servizi ad alto valore aggiunto su banda larga. Diciamo che anche in questo caso c'è una spada di Damocle librata su Tronchetti, ma anche questa volta Corrado Calabrò - alla testa dell'Autorità di settore - si guarda bene dall'abbassare la lama.

La decisione sarebbe quella di separare la rete fissa di Telecom dal resto dell'azienda, come in Gran Bretagna è stato disposto nei confrunti di British Telecom. Ma Tronchetti non ne vuol sentir parlare, malgrado atti come la recente sentenza ordinanza della Corte d’Appello di Milano in cui si sostiene che sono "penalmente rilevanti" i comportamenti assunti da Telecom contro i suoi concorrenti, attraverso offerte ai clienti non appena la lasciano per un altro operatore, offerte che vengono fatte passando alla divisione commerciale dati riservati del traffico svolto dagli ex clienti: in altre parole, mostrando una certa disinvoltura nel trattare dati che dovrebbero essere coperti da assoluta tutela.

Ed eccoci al terzo problema, quello che ai lettori di Libero abbiamo spiegato in lungo e in largo. Telecom non usava solo per le proprie offerte commerciali dati riservati. Da anni e anni - secondo le indagini aperte a Milano dal pm Napoleone - uomini di assoluta fiducia di Tronchetti come Giuliano Tavaroli avevano messo in piedi una vera e propria rete di ascolto illegittima, fuori da ogni richiesta e autorizzazioni delle Procure. Una rete che è finita al centro delle indagini non solo del pm Napoleone e che riguardano in pieno Telecom, ma che ha finito per investire l'inchiesta della stessa Procura sul sequestro di Abu Omar prima, e sulle presunte deviazioni del Sismi poi. Ma l'indagine su Telecom, come le decisioni di Cardia e Calabrò, è finita naturalmente in guanti bianchi nel congelatore. Quelle sul Sismi e sulla Cia hanno invece il sopravvento. Tronchetti da mesi e mesi minimizza sui rapporti strettissimi che ha avuto per anni col Tavaroli. Ha fatto affidare prima agli amministratori indipendenti de Telecom un’indagine di approfondimento, come se non spettasse a chi guida l'azienda dire come stavano le cose, e poi a una società esterna di consulenza, la KPMG, il compito di dire se e che cosa per anni è andato oltre la legge.

Nella memoria anche ieri distribuita alla stampa, a corredo dell'esternazione di Tronchetti, si leggono passaggi esilaranti, a proposito delle intercettazioni illecite. Del tipo: «in occasione dell'ispezione disposta nel maggio 2006 da parte dei funzionari del Garante della Privacy è stata acquisita consapevolezza dell'esistenza di un'applicazione informatica denominata Radar, con caratteristiche non allineate agli standard aziendali di sicurezza».

E proprio il sistema attraverso il quale manager di Telecom addetti al "lavoro sporco" accedevano ai tabulati senza lasciar traccia. Ma Telecom sostiene di «averne acquisito consapevolezza» solo grazie ai prodigiosi ispettori del Garante, due mesi fa. Tranne poi aggiungere, nella frase successiva: «tale applicazione, utilizzata dal 1999 in Tim..» Ma allora, caro Tronchetti, il RADAR c'era e veniva usato da prima, oppure non ne sapevate niente e lo avete scoperto solo due mesi fa? Tavaroli nei vostri documenti risulta quasi un tipo che a Pirelli e Telecom c'è stato per caso e nessuno sapeva che cosa facesse nel suo ufficetto, poi scrivete che in ogni caso le indagini interne al gruppo non hanno evidenziato alcuna sua appropriazione indebita o fattispecie di reato. E poi dite in un inciso che certo, «di alcune spese riguardanti servizi asseritamente resi da società del gruppo Polis d'Istinto non si è trovata adeguata giustificazione». Ora la Polis d'Istinto è di un altro amico stretto di Tavaroli, Emanuele Cipriani: ma come si fa a definire "alcune spese" una cifra che ammonta a 14 milioni di euro? Che cosa bisogna pensare, della contabilità di Telecom relativa alle intercettazioni? Quando, qualche giorno fa, da una cavalcavia sopra via Cilea a Napoli vola giù un altro dirigente clou della sicurezza Telecom, Adamo Bove, la strategia dell'insabbio non funziona più. Bove da anni si era dovuto moltiplicare per salvare faccia e sedere alla Telecom, era stato praticamente messo a disposizione di tutte le Procure che indagano sui diversi filoni con l'ordine di accontentare in tutto e per tutto i magistrati, facendo sparire ogni prova del coinvolgimento diretto dell'azienda, come se Tavaroli e compagni fossero stati uomini-ombra al servizio di potenze occulte ed estranee al vertice aziendale. La tesi difensiva di sempre, di Tronchetti. Ed ecco che, di fronte alla morte misteriosa, ieri scatta come una molla la controffensiva del patron della telefonia. Un videomessaggio a tutti i dipendenti, che apparentemente è di grande orgoglio, in cui li sprona a sentirsi orgogliosi di appartenere a uno dei più grandi gruppi italiani.

Ma con una terrificante accusa esplicita, e cioè che praticamente il responsabile del fatto che ad Adamo Bove siano saltati i nervi - facciamo finta di crederci - sia l'”editore senza scrupoli", come ieri lo ha chiamato, e cioè Carlo De Bendetti, il padrone di Repubblica, il giornale che da mesi e mesi con la coppia D'Avanzo-Bonini sulle indagini Sismi e intercettazioni, e con Giovanni Pons nelle pagine finanziarie, picchia come un maglio sui guai sempre più foschi del gigante telefonico.

GIORNALISTI LIBERI
D'Avanzo-Bonini, a dire la verità, hanno a Repubblica campo assolutamente libero, non rispondono neanche al direttore Ezio Mauro, dacché riuscirono a farsi dar ragione proprio dall'Ingegnere proprietario quando il direttore tentò di tirare un po' le redini. E nelle loro inchieste giornalistiche a totale rimorchio della Procura milanese, sono assai più interessati a sbaraccare il Sismi di Pollari che la Telecom di Tronchetti, tanto che essi stessi adombrano talora la tesi secondo la quale Tavaroli e banda avrebbero raggirato per primo il padrone della Telecom, al servizio della Cia e degli spioni italiani troppo filoamericani. Ma tant’è, ieri Tronchetti ha abbassato la testa come un toro. Puntando il dito contro chi sui telefoni ha da sempre il nervo scoperto, visto che De Benedetti inventò la Omnitel ma fu poi costretto a vederla venduta ai tedeschi di Mannesmann, per far cassa necessaria alla tragedia Olivetti. E poi fu nemico acerrimo della maxi opa di Colaninno, un manager che considerava carne della propria carne e di cui mal sopportò l'ascesa in proprio. De Benedetti non ha i muscoli finanziari né la voglia di imbarcarsi in un'opa su Telecom, ci mancherebbe. Ma all'editoriale Espresso le due reti tv di Telecom, 1a7 e Mtv, farebbero gola come la fanno a tutti i maggiori gruppi editoriali italiani esclusi sinora dalla tv. Ed è sull'integrazione tra tv, telefonia e contenuti per i nuovi media come la tv via Internet, che Tronchetti sta trattando con la Sky di Murdoch e con altri gruppi stranieri. E' per concorrere alla stessa gara, che oggi i soci Rcs che hanno appena cacciato dal ponte di comando Vittono Colao e gli sostituiscono Antonello Perricone cercheranno anch’essi di farsi sotto, e di strappare un'intesa a Tronchetti, un accordo che gli apra le porte dei nuovi media e della tv. Tronchetti non ha di fronte a sé competitor molto forti. La Wind è stata consegnata a un proprietario egiziano che di Italia sa poco o nulla, apposta perché Telecom vada avanti più tranquilla. Degli altri, l'unico gruppo ad aver investito nuove tecnologie su rete fissa è Fastweb, e non a caso la Telecom gli riserva la guerra in ogni Tribunale. Di conseguenza, quando Tronchetti attacca ieri gli avvoltoi senza scrupoli di Repubblica, evoca la sempiterna guerra che in Italia fa perdere la testa alla politica: quella per la tv. Tronchetti sa che nell'Unione i cuori battono per lui, non per editori stranieri come Murdoch.

L'AFFONDO
E quanto a De Benedetti, l'ingegnere lamenta che la sinistra con lui è sempre stata avara, dopo tutto quello che ha fatto per darle una mano: in effetti, dalle privatizzazioni ha preso assai poco. Senonché, a parlare con i dirigenti Telecom dopo il telemessaggio di ieri, la lettura è anche un'altra. Non fidatevi. Tronchetti l'ha fatto apposta, a sacramentare contro De Benedetti: sa perfettamente che così tutti i titoli dei giornali saranno sulla guerra tra i due mostri sacri. Ma chi ha ascoltato in azienda l'intervento di Tronchetti, riporta un'atmosfera diversa. Non è sfuggito a nessuno, tra dirigenti e funzionari, che Tronchetti ha cupamente insistito contro "le melemarce" interne all'azienda, contro chi«non vuole bene a Telecom e all'Italia o per appartenze esterne, o perché dall'interno alimenta notizie distorcenti la realtà che danneggiano l'azienda». È l'appello contro la quinta colonna, quello che il Duce al tramonto lancia al Lirico quando promette che la guerra sarà comunque vinta, grazie alle armi segrete del Fuhrer. Ma attenzione: in quel dito puntato contro i traditori interni, c'è un'esplicita minaccia. Ora che il garante e le diverse Procure dovranno sentire decine di dirigenti Telecom, per comprovare l'asserita tesi della estraneità aziendale a qualunque maneggio improprio e violazione di legge, ciascuno è stato avvisato. O regge il gioco, come ha tentato di fare Bove. Oppure, se parla, attenti al cavalcavia perché si può volar di sotto.

*Direttore di Finanza&Mercati