giovedì 19 ottobre 2006

Un anno e mezzo fa si scriveva

Si è fermato il telefonino
Sciopero nelle grandi compagnie e nei call center: più salario e diritti in tutta la filiera
Il sindacato chiede 115 euro, Assotel ne offre solo 58. Miceli (Cgil): «Trasparenza negli appalti».
Intanto Rifondazione lancia la sua inchiesta
di ANTONIO SCIOTTO

Si sono fermati per quattro ore, ieri, i lavoratori di Telecom, Tim, Vodafone, Wind, H3G, Fastweb ma anche gli operatori delle meno note Telecontact Center, Albacom, Eutelia, Cosmed, Comdata, Ensi-Ericsson. E non è cosa da poco, poiché le prime - che offrono la patinata immagine delle bellone sorridenti e felici con i loro telefonini sempre trillanti - hanno dietro di sé le altre aziende, dove il lavoro è molto meno garantito, i salari ben più bassi, i contratti intermittenti e traballanti. Senza contare le catene del subappalto, dove micro call center occupano in tutta Italia migliaia di telefonisti in nero. Una sfida difficilissima per il sindacato confederale - Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil - abituato ai tempi comodi della monopolista Telecom e che oggi si vede scoppiare in mano la giungla dei lavori precari. Ieri, dunque, il primo stock di 4 ore di sciopero, con un'adesione tra il 60% e il 70%, un ottimo segnale in vista del rinnovo del contratto delle telecomunicazioni, il cui tavolo si è arenato a causa delle resistenze della Assotel, l'associazione delle potenti compagnie di telecomunicazioni.
Annunciando altre 4 ore di sciopero entro luglio, se la controparte non darà segnali diversi, il segretario generale della Slc Cgil Emilio Miceli parla di «una giornata importante», con manifestazioni in tutte le sedi confindustriali italiane, agli ingressi dei gestori della telefonia, con un'adesione particolarmente forte nel settore Rete della Telecom: «Chiediamo 115 euro di aumento - spiega - ma ce ne offrono solo 58. Applicano in maniera stretta gli accordi del `93, tenendo conto di un'inflazione programmata che il governo si è programmato da solo. Noi facciamo una richiesta equilibrata, l'aumento del 7,5%. Bisogna considerare che questi gruppi fanno grossi profitti: crescono 6 punti sopra il pil».
Ma nella piattaforma non si parla solo di salario. Le compagnie di telecomunicazioni resistono soprattutto su un punto che invece è assolutamente dirimente, quello degli appalti e delle esternalizzazioni. A fronte dei 120 mila lavoratori garantiti, infatti, ce ne sono diverse migliaia senza diritti, e il sindacato punta a precisi obiettivi: «Dobbiamo ottenere - spiega Miceli - che tutti gli operatori, anche quelli in appalto, siano ricompresi nel contratto delle telecomunicazioni. Ci vogliono regole certe sulle esternalizzazioni, lasciando in capo all'impresa madre la responsabilità dei rami di azienda che vengono estromessi. Basta, poi, con i subappalti selvaggi: bisogna sapere chi lavora per una compagnia, avere chiarezza e riconoscibilità, diritti fino all'ultimo anello della filiera». Il segretario Cgil prende ad esempio Atesia, call center in appalto Telecom con 4 mila operatori, di cui solo 224 sono a tempo indeterminato: «Continuano ad assumere lavoratori a progetto, 1600 nell'ultima infornata, mentre gli altri operatori non hanno prospettive certe. L'accordo del 24 maggio 2004 non decolla, e se non verrà applicato entro l'estate per il sindacato sarà carta straccia». L'intesa, oltretutto, ha ricevuto una forte contestazione interna, con scioperi messi su dai precari autorganizzati: disagio e difficile sindacalizzazione che devono essere gestiti, in modo da ottenere prospettive di stabilizzazione per tutti.
E intanto Rifondazione comunista annuncia una grande inchiesta sul mondo dei call center, che verrà presentata a inizio luglio. Il manifesto ha avuto alcuni dati in anticipo: il dipartimento inchiesta guidato da Vittorio Mantelli quantifica in 600 mila gli operatori in Italia, con un'età media di 31 anni (il 45,1% ha fino a 29 anni, mentre il 37,8% ha tra i 30 e i 39 anni e già il 17,1% supera i 40 anni). Il 75% degli operatori sono donne, il 25% uomini. La maggioranza sono precari: solo il 46% ha un contratto a tempo indeterminato, il 16% è dipendente a termine, il 38% parasubordinato. Ben il 41,8% vive con i genitori, il 40,6% divide casa con il coniuge, il 5,2% con amici, il 12,4% vive da solo.
Paghe e aspettative: ha un compenso fisso meno della metà degli operatori (il 45,9%); il 33,1% guadagna in base ai risultati raggiunti (a provvigione), il 21% secondo la quantità di tempo lavorato. Tra i precari, il 51,6% spera di essere assunto a tempo indeterminato, il 32,9% lo vorrebbe, ma afferma che non ci sono le condizioni; il 15,5% non è interessato. Quasi la metà (il 44,2%) risponde che la cosa che pesa di più è la mancanza di prospettive. «L'inchiesta - spiega Mantelli - verrà illustrata in un convegno organizzato dal Prc: interverrà il nostro responsabile lavoro, Ferrero, e inviteremo quelli degli altri partiti. Noi crediamo che il tema della precarietà sia nodale nel programma dell'Unione, e vertenze come Atesia sono paradigmatiche quanto la Fiat o le delocalizzazioni. Dobbiamo chiarire come ricostruire il lavoro se andremo al governo, e in questo senso il superamento della legge 30 è irrinunciabile».

fonte Il Manifesto, 25/6/05

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