Call center ostaggio dei dogmi
di Michele Tiraboschi
Il Sole 24 Ore – 6 maggio 2006
Condotta con le armi spuntate della ideologia e del massimalismo, la battaglia sulla legge Biagi conta le prime vittime. Che, guarda caso, sono ancora una volta i lavoratori. Quelli veri e in carne e ossa beninteso.
Sacrificati sull'altare di un programma radicale di politica del lavoro che non solo rifiuta compromessi ma non accetta neppure di fare i conti con la realtà. Un programma intransigente verso le ragioni del riformismo e, per questo motivo, condannato a rifiutare ogni ragionevole soluzione che possa contrastare la vera precarietà.
Dopo la discussa legge della Regione Puglia sul contratto di apprendistato, che ha compromesso l'assunzione di migliaia di giovani, è ora la volta dei call center diventati nel corso degli ultimi anni, e non a torto, l'emblema del lavoro "usa e getta" soprattutto per quanto riguarda giovani e donne. La soluzione prospettata in termini sperimentali dalla legge Biagi, al riguardo, è rimasta nel cassetto. E, pur di non metterla in pratica, il sindacato firma intese non solo fortemente peggiorative per i lavoratori ma che, in taluni casi, si traducono persino in evidenti violazioni di norme di legge da tempo esistenti.
Applicando rigorosamente la legge Biagi risulterebbe infatti vietato il massiccio ricorso nei call center alle collaborazioni coordinate e continuative e al lavoro a progetto. Quantomeno con riferimento alle attività cosiddette inbound, nelle quali cioè l'operatore riceve le telefonate e, senza margini di autonomia, è tenuto a fornire adeguate informazioni al cliente. L'alternativa proposta dalla legge 30, tutta da sperimentare nella pratica, sarebbe il tanto vituperato staff leasing. Che è rifiutato tuttavia dal movimento sindacale perché realizzerebbe una discutibile dissociazione, sul piano dei principi, tra titolare del contratto (una agenzia di somministrazione) ed effettivo utilizzatore della prestazione di lavoro (il proprietario del call center).
Poco importa, a chi ragiona per dogmi e ideologie, se il lavoratore in staff leasing è assunto con un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, con tanto di tutela dell'articolo 18, e risulta in aggiunta assistito da un generoso fondo bilaterale finalizzato a sostenere percorsi di formazione professionale e finanche a garantirne il reddito in caso di fine lavoro. Pur di non applicare la legge Biagi - che sul punto dà rigorosa applicazione al programma dell'Unione secondo cui il lavoro atipico deve costare di più di quello tradizionale - si è disposti a riconfermare l'utilizzo, più che discutibile nei call center, delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità a progetto e immaginare ipotesi inverosimili di contratti di inserimento e a contenuto formativo.
È questa infatti la clamorosa conclusione cui perviene ora un accordo sindacale pilota, firmato lo scorso 11 aprile da Cgil, Cisl e Uil, relativo alla sorte dei quattromila co.co.co. dell'Atesia. Di questi solo 170 verranno assunti con contratto a tempo indeterminato, ma con un orario settimanale di sole 25 ore pari a circa 650 euro lordi al mese. Ad altri 426 viene offerto, in alternativa allo staff leasing, un contratto di inserimento per un periodo massimo di 18 mesi, con sottoinquadramento contrattuale e sempre per un orario settimanale di 25 ore. Lo stesso vale per un gruppo di circa 1.100 lavoratori che si troverà assunto con analogo sottoinquadramento retributivo mediante contratto di apprendistato di durata massima di 36 mesi. Ciò, al di là della dubbia riconducibilità delle attività in oggetto ai contenuti formativi propri dell'apprendistato, ai soli fini di beneficiare dei generosi sconti contributivi previsti per i contratti di formazione, ma in palese violazione della clausola di contingentamento prevista dalla legge Biagi che pone un tetto massimo all'utilizzo di questo contratto.
Per garantirne l'effettiva valenza formativa si prevede infatti un limite nella assunzione degli apprendisti pari al 100% dei dipendenti a tempo indeterminato dell'impresa. Risulta evidente come, in questo caso, il rapporto numerico tra apprendisti e lavoratori a tempo indeterminato sia clamorosamente saltato, rendendo giuridicamente impraticabile l'intera intesa. Il tutto per giungere a una modesta riduzione di circa 900 unità del numero dei co.co.co. dell'azienda.
Con il che si pone una domanda molto semplice: ma qualcuno ha forse mai chiesto ai lavoratori se preferiscono un precariato a vita, in nome di una battaglia di principio contro la legge Biagi, o non piuttosto l'assunzione stabile e ampiamente tutelata che viene loro garantita tramite lo staff leasing?
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