sabato 10 marzo 2007

Una riflessione controcorrente

L'ultima beffa del liberal Bersani
di Alberto Mingardi

Il presidente dell'Autorità ga­rante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, Pierluigi Bersani «se lo spose­rebbe». Personalmente non è il mio tipo, ma credo vada dato a Cesare quel ch'è di Cesare e a Bersani quel che è di Bersani. Senza il blitz del suo "decreto" dello scorso luglio, pur­troppo rimasto lettera morta in al­cuni, cruciali snodi, questo Paese non si sarebbe preso nemmeno l'u­nica mitragliata di liberalizzazioni degli ultimi anni, liberalizzazioni omeopatiche, parziali, strabiche, insufficienti? Sì, ma liberalizzazioni. Ora Bersani parte lancia in resta contro il "costo di ricarica" dei telefonini, sposando una petizione che on line ha raccolto le firme di oltre 800mila utilizzatori. Furiosi perché, tabelle alla mano, il costo di ricarica (che soprattutto per i "tagli bassi", per dire: dieci euro, è rilevante, arriva al 20%) è un'anomalia italiana. Non è presente in Francia, Germa­nia, Spagna e Regno Unito. Paesi nei quali però non accade, come invece da noi, che 91 telefonini su 100 fun­zionino con tessere prepagate. Fruttando nel 2005 un miliardo e 714 milioni agli operatori. Solo di ri­carica.
Di qui la sdegnata la reazione di Bersani: se un ragazzo compra 10 euro di credito, dice, 10 gli vanno ac­creditati, e nulla di meno.
Il ministro è dunque per l'elimi­nazione di questo "costo fisso", alla luce sostanzialmente di due fatti: primo, la maggiore incidenza di tale spesa, rispetto alle ricariche "piccole". Secondo, il sospetto che vi sia un accordo "di cartello" fra operatori.
Le analisi dimostrano che la per­centuale del costo sul totale è del 20%, su una ricarica da dieci euro, ma può scendere fino ad appena il 2% - è il caso di alcune ricariche da 250 euro. I prezzi imposti dai vari operatori, questo è vero, si assomi­gliano un po' tutti. Se fa quack, è una papera. E siccome quando i prezzi si assomigliano scatta il riflesso del "neo-liberista" (nel senso: liberista di recente conversione): «Dev'esse­re un cartello!», tutti i giornali scrivo­no: Bersani combatte il cartello dei telefonini.
E' vero? No che non è vero. Il fatto che nel mondo della telefonia mo­bile la concorrenza sia intensa è ben noto a chiunque possegga un cellu­lare. L'incessante moltiplicazione di offerte e piani tariffari, la rincorsa ad offrire servizi sempre più com­plessi ed innovativi, le schermaglie a colpi di spot televisivi testimoniano come questo sia un mercato auten­ticamente libero. Barriere alla con­correnza ne esistono ancora, nel mondo delle tlc (pensate al fato toc­cato all'offerta Vodafone Casa, quella reclamizzata da Totti e bloc­cata dal tribunale di Roma), ma riguardano altro che immaginifici "cartelli" di operatori mobili.
In un mercato libero, la prima li­bertà è la libertà dei prezzi. Se darà seguito all'intervento annunciato, ed abolirà d'imperio i costi di ricari­ca, Bersani non starà "liberalizzan­do" alcunché. Né starà "abolendo un balzello". Starà dicendo ad aziende private come devono mo­dulare la propria offerta. Sul piano pratico, l'effetto sarà probabilmente un aumento delle tariffe, nelle quali i costi di ricarica divelti dal ministro verranno rias­sorbiti. Il ragazzino comprerà 10 euro e saranno 10 euro di credito, ma parlerà tanto quanto con gli 8 euro di una volta. Il problema però è a li­vello dei princìpi. Di fatto lo Stato interverrebbe andando a condiziona­re le componenti di un prezzo, ora di mercato. È l'equivalente "soft" del sottoporre la telefonia mobile ad un regime di prezzi amministrati. Più che misura a difesa della com­petizione, sembra un piano quin­quennale.
E per che cosa? Per aggiustarsi la coccarda di «difensore-dei-consu­matori», perché il ministro possa sentirsi l'Antonio Lubrano dei ric­chi?
Già oggi ci sono almeno due ope­ratori che scelgono di applicare ta­riffe senza costi di ricarica, che sono Wind (sulle ricariche oltre i 60 euro) e Tre. Ma parliamo del punto solle­vato da Bersani, cioè la diversa inci­denza del costo di ricarica sul prezzo. Posto che i produttori, in un mercato, fanno il prezzo che voglio­no, i consumatori dispongono di un'arma più potente di qualsiasi in­dagine antitrust: lasciare la merce sugli scaffali.
Se un utente ha un certo consu­mo mensile, e ricarica (mettiamo) tre volte il telefono con tesserine da 30 euro, pagando 15 euro di costi complessivi di ricarica, quando comprando una ricarica a 100 euro potrebbe spendere di "tagliando" solo 5 eurini, bisogna chiamare il Gabibbo? Nel caso abbia a cuore il risparmio, poteva informarsi me­glio. Sbagliare capita. Nel caso invece abbia fatto così perché si è trovato a chiacchierare di più di quanto ini­zialmente stimasse, il prossimo me­se si rifarà conti.
Del resto, il successo dei servizi prepagati sta proprio nella maggiore capacità di controllare la spesa. Se il ministro Bersani vuole deciderli lui, i prezzi, non sta alzando la ban­diera della concorrenza. Vuol solo dire che è convinto che gli utenti sia­no tutti tanto stupidi da non sapere far di conto. Chi lo applaude tiri le sue conseguenze.

fonte Libero 11 gennaio 2007, pag. 1

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