
Dal 1° maggio, ispettori del lavoro a caccia di collaborazioni fittizie. Di vecchie co.co.co. (collaborazioni coordinate e continuative) o nuovi co.pro. (contratti a progetto) che «coprono» attività, di fatto, a carattere subordinato. Termina la «tregua» per chi, datori e lavoratori, hanno posto in essere collaborazioni «non genuine», in luogo di rapporti di lavoro alle dipendenze
Il 30 aprile, infatti, è la scadenza della «sanatoria» prevista dalla Finanziaria 2007, per combattere il lavoro precario. Un periodo concesso ai datori, che avessero fatto ricorso a inquadramenti contrattuali non corretti, per mettersi in regola, grazie ad accordi sindacali collettivi, aziendali o territoriali, e procedere all’assunzione per almeno 24 mesi di tutti gli «pseudo-collaboratori». A fare da apripista l’intesa raggiunta tra Atesia e i sindacati per stabilizzare gli addetti al call center, il settore che più ha risposto alla campagna di sensibilizzazione per l’emersione delle collaborazioni illegittime condotta dal ministero del Lavoro. Oltre 16mila, infatti, i lavoratori assunti nei call center, soprattutto nell’attività «in-bound», ossia di ricezione delle telefonate, difficilmente qualificabile come autonoma. Minore, invece, l’adesione in altri comparti. E non manca chi ha preferito la regolarizzazione fai-da-te, procedendo direttamente all’assunzione dei propri collaboratori. Ad avviare la battaglia contro le collaborazioni fittizie era stata, già nell’estate 2006, la circolare del ministro del Lavoro, Cesare Damiano, dedicata proprio al lavoro nei call center. La manovra per il 2007, poi, ha previsto un vero e proprio «condono» per tutti i datori e la possibilità, per i lavoratori, di vedere trasformato un rapporto parasubordinato in assunzione. Per beneficiare della sanatoria, i datori dovevano stipulare un accordo sindacale aziendale o territoriale (dove non presenti Rsu o Rsa), che stabilisse la trasformazione dei rapporti di collaborazione in contratti di lavoro subordinato della durata di almeno due anni. L’accordo fa scattare, poi, gli atti di conciliazione individuale, sottoscritti dai lavoratori, dai quali scaturiscono i diritti retributivi, contributivi e risarcitori e al tempo stesso si precludono eventuali accertamenti fiscali per il periodo trascorso come «finti» collaboratori. Al datore spetta, però, l’obbligo di versare all’Inps anche un contributo straordinario integrativo pari alla metà della quota di contributi a proprio carico nel periodo della collaborazione «regolarizzata». Ma, scaduto il termine del 30 aprile, non ci saranno più deroghe. I datori che hanno simulato un rapporto dipendente formalizzandolo con un contratto di collaborazione, e che non avranno aderito alla «sanatoria», incorreranno nelle sanzioni previste dalla legge. A stanarli saranno gli ispettori del lavoro, che verificheranno l’eventuale carattere di autonomia dell’attività svolta (e la sussistenza di un reale progetto) o, al contrario, la sostanziale natura di lavoro dipendente. In quest’ultimo caso, procedendo al disconoscimento del contratto «fittizio» e alla ricostruzione del rapporto in forma subordinata. Oltre ad assumere il lavoratore, il datore dovrà pagare le sanzioni e le eventuali differenze retributive e contributive. Ma a rischiare sanzioni è anche il lavoratore, se si dimostra che ha concorso a simulare il rapporto fittizio. E la scure degli ispettori può abbattersi non solo sui rapporti in essere, ma anche su quelli ormai conclusi, andando a scartabellare tra i contratti stipulati da cinque anni a questa parte, anche prima della riforma del mercato del lavoro che ha mandato in soffitta le vecchie co.co.co..
Fonte: Labitalia
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