
2) l'anima 'creativa': avvocati, progettisti, manager, medici, artisti, giornalisti. è in questa seconda dimensione che risiede il valore aggiunto dell'economia post-industriale.
e voi dove vi sentite di stare?
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La settimana prossima partirà l'attività di formazione per il personale ispettivo e le aziende operanti nel settore dei call center circa la corretta utilizzazione dei contratti a progetto. Lo fa sapere in una nota il ministero del Lavoro dopo la riunione della Commissione centrale di coordinamento dell'attività di vigilanza tenutasi alla presenza del ministro Cesare Damiano. La prima fase, rivolta al personale ispettivo, prevede la convocazione per i giorni 19 e 20 settembre, dei tutor regionali, cui saranno fornite le indicazioni circa i contenuti e le metodologie da utilizzare per la fase informativa da svolgersi su base regionale. La seconda fase riguarderà le imprese. Il Ministero sottolinea che parallelamente all'attività di formazione rivolta al personale ispettivo si organizzeranno a livello regionale, e sempre con il supporto di “Italia Lavoro”, incontri a cui parteciperanno tutte le imprese operanti sul territorio di riferimento.
Per approfondire: www.welfare.gov.it
La guerra dei call center
In onda giovedì 21 settembre (ch.816 di SKY), in diretta dalle ore 8.00 alle 12.00.
Il diktat lanciato dall'Ispettorato del lavoro alla società di call center Atesia, sull'assunzione di oltre 3mila lavoratori, mette in difficoltà il Governo e il centrosinistra. E al centro del dibattito politico emergono posizioni contrastanti sull'utilizzo dei contratti atipici e del lavoro flessibile. Quanti sono gli addetti impiegati nei call center in Italia? E in quante aziende? Una fotografia del settore nella diretta condotta da Marina Nalesso e Marco Farinelli. In studio politici, esperti in diritto del lavoro, imprenditori e rappresentanti delle agenzie di lavoro temporaneo.
I precari dei call center d'Italia, riuniti in assemblea nazionale, il 9 settembre provano a costruire un percorso unitario per far fronte alle drammatiche condizioni della flessibilità del lavoro. Il caso Atesia in primo piano dopo i risultati dell' ispettorato dell'ufficio provinciale del lavoro: da precari a subordinati?
L’ispezione all’ufficio provinciale del lavoro è stata richiesta dalle lavoratrici e dai lavoratori del Collettivo Precari Atesia dopo l’illegittimo licenziamento di quattro di loro, colpiti solo perché hanno osato contestare gli accordi precedentemente firmati tra azienda e sindacati confederali che per l’ennesima volta imponevano contratti precari.
Durante tutte le mobilitazioni (scioperi pressoché totali, manifestazioni cittadine, sit in, incontri con le istituzioni ecc. ecc.) i sindacati confederali, Cgil compresa, hanno violentemente ostacolato le nostre iniziative definendoci addirittura dei violenti-pazzi solo perché chiedevamo un contratto a tempo indeterminato. Non è affatto vero che la Cgil si sia spesa a nostro favore, anzi, la firma dell’ultimo accordo dell’aprile 2005 che stabilizza la precarietà, dimostra proprio il contrario.
Ma soprattutto riteniamo di fondamentale importanza l’esito dell’ispezione che chiarisce che TUTTO IL LAVORO SVOLTO AD ATESIA E’ DI NATURA SUBORDINATA. Un’ispezione che ha fotografato la drammatica realtà della nostra di lavoro. Non solo, un ispezione che ha CHIARITO UNA VOLTA PER TUTTE CHE FUORI LEGGE E’ TRIPI (che ha lucrato sulla nostra pelle e sulle casse dell’INPS) E NON I LAVORATORI E LE LAVORATRICI CHE RIVENDICANO I LORO SACROSANTI DIRITTI.
( interviste di Monica P.)
Uno dei fatti che in questi mesi estivi hanno causato maggiori discussioni è stato il verdetto dell’Ispettorato del Lavoro sulla situazione contrattuale dei lavoratori di Atesia: gli oltre tremila operatori di call center, per lo più assunti con forme contrattuali a progetto, sono di fatto lavoratori dipendenti e devono essere assunti come tali dall’azienda.
Com’era prevedibile, Alberto Tripi, il presidente del gruppo Almaviva-Cos (cui fa capo Atesia), ha dichiarato che, piuttosto che assumere a tempo indeterminato, l’azienda è pronta a licenziare e delocalizzare; anche se è più facile delocalizzare in un paese dell’est un mobilificio che non un call center che risponde in italiano...
Il primo effetto di questo pronunciamento è stato purtroppo la sospensione degli accordi sindacali che l’azienda aveva stipulato tempo fa e che prevedevano, almeno a quanto dichiarato dallo stesso Tripi, l'assunzione a tempo indeterminato di 3 mila collaboratori entro la fine del 2006. Atesia lamenta che la sentenza colpirebbe solo la sua azienda, e non le concorrenti, creando uno squilibrio nel mercato. Quello che succede già oggi, comunque, è proprio che le aziende che non trattano lavoratori di fatto subordinati come “autonomi” sono meno competitive di quelle che sfruttano e promuovono il precariato.
Per evitare la parzialità di un solo intervento (sia pur importante) dell’Ispettorato, il ministro del Lavoro Cesare Damiano aveva cercato assieme ad aziende e sindacati di definire alcuni vincoli e limiti per l’estensione del contratto a progetto: se può essere un “progetto” la campagna di promozione di una iniziativa commerciale, promossa attivamente verso il pubblico, non può essere tale il lavoro quotidiano di un operatore che deve rispondere ogni giorno alle chiamate di consumatori che richiedono chiarimenti ed informazioni.
E’ stato francamente fastidioso, a fronte della complessità del problema, il chiacchiericcio di personaggi della destra che hanno rivendicato il valore “sociale” della legge 30, che proteggerebbe davvero i lavoratori, e contemporaneamente denunciato che il pronunciamento dell’Ispettorato nascerebbe da una cattiva interpretazione della legge. Anche il trionfalismo di alcuni esponenti della sinistra “antagonista” e di cobas non sembrano giustificati dai fatti.
Il problema è avere un sistema produttivo che funzioni e sia flessibile, senza che questa flessibilità sia ottenuta a spese dei lavoratori. Non è cosa che si possa ottenere con Ispettorati e tribunali, ma con leggi e misure che riescano a fornire garanzie, promuovere le aziende sane che fanno buona occupazione, sfavorendo lo sfruttamento del lavoro a tempo determinato, se non altro aumentando il compenso ed i contributi, a parziale risarcimento dell’incertezza del lavoro.
Per il governo questa è una delle sfide più difficili. Sono molti i giovani che si trovano in questa situazione occupazionale e che chiedono al centrosinistra una risposta, un miglioramento delle condizioni di vita, il ripristino di una normale aspettativa di vita stabile, che deve subentrare quando un normale spirito “d’avventura” dei primi impieghi lascia con gli anni il posto alla necessità di avere qualche sicurezza sociale e garanzia per la famiglia che si va creando.
Le risposte dei nostri tempi non possono essere decreti governativi di assunzione. Il confronto politico, tra maggioranza e opposizione, ma anche nella stessa maggioranza, è ampio e serrato. A fronte delle aperture dei mercati e della masticatissima globalizzazione, la ricchezza di un paese, il benessere, l’occupazione, non si possono ottenere se non con la promozione dello sviluppo e con il ripensamento della vocazione produttiva che il paese ha assunto in altra fase storica.
C’è chi vede questo atteggiamento come un cedimento all’iperliberismo, che oggi va sempre più abbattendo le garanzie costruite in decine d’anni di lotte sindacali e politiche. Occorre fare attenzione, però. L’aumento vertiginoso della concorrenza economica internazionale nasce dal desiderio di riscatto e di miglioramento del livello di vita di miliardi di non occidentali, che stanno affacciandosi oggi al mondo industriale. Occorre allora distinguere: il becero sfruttamento compiuto da aziende che pagano poco e male a fronte di attivi colossali non può essere confuso con le misure di sistema che nascono dalla necessità di minimizzare le diseconomie, aumentando la competitività del paese nel suo complesso.
Lo scopo di un governo deve essere quello di promuovere lo sviluppo e l’allargamento sociale del benessere, ma con politiche lungimiranti e non promulgando per decreto la felicità dei cittadini.
Marco Stirparo
07/09/2006 16.51.42
In onda mercoledì 13 settembre su Rai Utile (ch.816 di SKY), in diretta dalle ore 8.00 alle 12.00.
Il diktat lanciato dall’Ispettorato del lavoro alla società di call center Atesia, sull’assunzione di oltre 3 mila lavoratori, mette in difficoltà il Governo e il centrosinistra. E al centro del dibattito politico emergono posizioni contrastanti sull’utilizzo dei contratti atipici e del lavoro flessibile. Quanti sono gli addetti impiegati nei call center in Italia? E in quante aziende? Una fotografia del settore nella diretta condotta da Marina Nalesso e Marco Farinelli. In studio politici, esperti in diritto del lavoro, imprenditori e rappresentanti delle agenzie di lavoro temporaneo.
"E’ pesante, sei sempre al telefono. Parli, metti giù, e subito c'è un'altra telefonata. Sono rarissimi i momenti liberi. E poi non tutti quelli che ti telefonano sono gentili. Tu, invece, anche dopo qualche ora devi essere gentile e professionale, e non è sempre facile. Ancor meno facile se prendi, come me, 5,40 euro netti all'ora". Luca, 24 anni, mestrino, ha lavorato in un call center per nove mesi.
Luca: «Io rispondo per quel prodotto». Cinque ore al giorno a rispondere al telefono per fare da tramite fra un'azienda che ha fornito un prodotto in tutt'Italia e i suoi clienti che quel prodotto stanno usando. C'è chi chiama perché ha bisogno di chiarimenti, chi si lamenta di malfunzionamenti, chi ha bisogno di manutenzione...
Cuffietta con microfono, tastiera e monitor: non serve molto altro a Luca, e neanche alla trentina di suoi colleghi del call center. In gran parte studenti universitari, ragazze e ragazzi in cerca - come Luca - di raggranellare un po' di euro per sostenersi negli studi o per pagarsi una vacanza e il "cell".
Le più deboli? Le telefoniste di mezz’età. Ma ci sono anche parecchie signore, donne sulla quarantina ma anche sui cinquanta; spesso sono separate e divorziate, e perciò improvvisamente bisognose di un reddito che prima garantiva loro il marito. Sono loro, le donne di mezz'età, la fetta più debole del personale di un call center: sono quelle che temono di perdere anche quel posticino e i 6-700 euro che possono portare a casa in un mese. L'alternativa, per loro, sta nelle pulizie; e forse non è un'alternativa da buttar via, visto che una colf prende tranquillamente sugli 8-9 euro netti (se è in nero) all'ora.
«Ma c’è spazio per buoni rapporto umani». Ma cosa c'è di bello, se qualcosa c'è, nel lavorare in un call center? «I rapporti con i colleghi: prima o dopo il tuo tempo al telefono, conosci tante persone». Per uno studente universitario può bastare: è solo un'esperienza. Ma dopo?