venerdì 18 novembre 2005

Quei 3 minuti senza volto

LA DENUNCIA
SEGNALARE, AD ESEMPIO, GUASTI O ADDEBITI IN BOLLETTA PER SERVIZI MAI RICHIESTI ASSICURA UN’ODISSEA KAFKIANA

Su 'la stampa', p.34 del 29/10/2005 è comparso questo articolo:
La Telecom senza volto e il 187 senza risposte
D’accordo, la Sip è roba vecchia quanto il mondo. Viviamo nell’era dell’economia impalpabile e le telecomunicazioni sono per definizione il più evanescente dei beni. Ma una faccia il signor Telecom ce l’avrà oppure no? Lui che vende l’accesso alla mirabolante autostrada telefonica, possiede un numero che non sia quello virtuale di un call center? Perché invece, i disagi degli utenti sono tangibilissimi. Non solo di quelli Telecom, ovviamente. Ma trattandosi del gestore leader nel settore, risponde della maggioranza dei contratti e delle lamentele. Servizi di segreteria mai richiesti e addebitati in bolletta, apparecchi obsoleti sostituiti con modernissimi videotelefoni messi in conto a sorpresa, allacci tardivi. Contrattempi reali che diventano grottescamente surreali quando dall’altro capo del filo risponde una voce senza volto e senza capacità d’intervento che però s’impegna ad inoltrare la rimostranza al più presto. L’avventura dell’utente frustrato infatti, inizia poco dopo la scoperta del guasto o della bolletta approssimata, di solito, per eccesso. «Il 187 è un numero fatto di persone», recita la pubblicità sul sito internet della Telecom. Come no. Il sistema, in teoria, è elementare: «Per guasti alla linea fissa digiti 3, per consultare lo stato dei pagamenti digiti 4, per qualsiasi altra esigenza digiti 0». Fiducioso, l’utente segue le istruzioni. Certo, sarebbe stato meglio parlare con un umano, ma anche la tecnologia avrà dei vantaggi. L’operatore, che di solito si presenta con un codice, prende nota e avvia la pratica. Tutto qui? Cade la linea. Inutile ritentare: dieci volte su dieci risponderà una voce diversa, magari dalla lontana Trapani, costringendovi a rispiegare il vostro caso da capo. Off records, un impiegato del 187 di Torino rivela che ogni cliente ha diritto a 3 minuti d’ascolto e neppure un secondo di più. A tempo scaduto, avanti un altro. Inutile sperare d’ottenere così il numero di telefono di un responsabile: i lavoratori dei call center dicono quanto sanno, che, nella catena d’una azienda globalizzata, è a malapena il proprio compito e il nome del vicino di scrivania. Nella sezione contatti però, il sito www.187.it indica la direzione generale di Roma: 06 36881. L’utente, frustrato ma non ancora vinto, insiste. La procedura è lenta, le segretarie ti filtrano come se fossi uno studente della scuola sperimentale di cinematografia che vuole consegnare la sua sceneggiatura a Nanni Moretti, l’attesa snervante, ma alla fine qualcuno si fa avanti. Chi? Impossibile avanzare ipotesi. Nessuno vuol mettere il suo volto a fare da parafulmine alle lamentele dei clienti. A questo punto il problema tangibilissimo passa in cavalleria: da Roma non possono certo correggere una bolletta sbagliata, per quello, nemmeno a dirlo, c’è il 187. La conversazione almeno è l’occasione per capirci qualcosa di più. Perché per esempio è tanto difficile parlare con un signor Telecom in carne e ossa? «Perché sarebbe paradossale che un’azienda di telecomunicazioni aprisse sportelli sul territorio: gli interventi si effettuano tranquillamente a distanza». Eppure, gli utenti insoddisfatti sono parecchi... «La risposta è semplice: quando si gestiscono 21 milioni di clienti e 26 milioni di linee alcuni disagi sono fisiologici. Parliamo infatti di poche migliaia di persone, con le quali ci scusiamo, ma che rappresentano una percentuale minima su uno standard di soddisfazione superiore al 95 per cento». E gli altri? Stessero anche tutti sulle dita di una mano, non avrebbero diritto al servizio efficiente per cui pagano? «Certamente. La Telecom è perfettibile, ci stiamo lavorando. Ma il canale per segnalare guasti o anomalie resta il 187». Il 187 infatti, assorbe proteste come una spugna. Anche gli operatori, come gli utenti, hanno qualcosa da denunciare: lo stress li sfianca. Chiunque abbia un problema con il telefono fisso o con il cellulare chiama lì e scarica la sua rabbia contro la voce senza volto dall’altra parte. Una situazione tanto tipica da finire al cinema: uno dei momenti topici de «I giorni dell’abbandono», l’ultimo film di Roberto Faenza, è quando Margherita Buy, già a terra per la fuga del marito, scende alla cabina e cerca disperatamente di contattare un tecnico che le aggiusti il telefono rotto. Niente di più facile: «Abbiamo registrato il suo problema, interverremo il prima possibile». L’immedesimazione di spettatrici e spettatori è totale.

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