giovedì 29 giugno 2006

News sotto il sole

Edilizia e call center nel mirino delle ispezioni sul lavoro
 
di Nicoletta Cottone

I risultati dell'attività ispettiva del primo trimestre 2005/2006
Il Governo affila le armi contro le morti bianche e l’evasione contributiva, potenziando il sistema ispettivo.

In forte calo nei primi tre mesi dell’anno le aziende ispezionate e le somme recuperate, mentre sono in aumento i lavoratori irregolari. Lo ha reso noto il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, nel corso di una conferenza stampa sul tema del rafforzamento, dei compiti e delle prerogative del sistema ispettivo nazionale.

Per fronteggiare questi segnali negativi e potenziare il lavoro di indagine sul territorio il ministero del Lavoro ha assunto 800 nuovi ispettori. In campo ci sono adesso 5.518 ispettori, di cui 2.790 del ministero del Lavoro, 1.855 dell’Inps, 430 dell’Inail e 443 carabinieri.

Edilizia e call center sono i settori sui quali saranno concentrate le attività ispettive coordinate dal ministero del Lavoro. «Con la commissione sulle attività ispettive - spiega Damiano - abbiamo individuato i settori su cui concentrarsi, come l'edilizia e i call center. Per quest'ultimo, in particolare, è stata emanata una circolare sulle modalità di impiego».
Dal 15 settembre partirà l’attività informativa per fare emergere il lavoro nero e irregolare nei call center, dove si contano 250mila addetti, mentre per arginare il fenomeno degli infortuni sul lavoro in edilizia il dicastero del Lavoro ha preso contatto con il ministero delle Infrastrutture, con lo scopo di raggiungere un’intesa sulla revisione del sistema degli appalti che, con la corsa al ribasso, allarga forme di precarietà. «Per contrastare l'appalto al massimo ribasso - dice il ministro del Lavoro Cesare Damiano - facciamo riferimento al programma dell'Unione, che prevede l'inserimento di riferimenti qualitativi, come ad esempio i minimi contrattuali».

Tra le misure allo studio quella di un tesserino di riconoscimento dell'operaio che lavora nel cantiere edile e la notifica agli enti previdenziali il giorno prima dell'assunzione. Su questo ultimo punto, infatti, c’è un dato singolare: il 12% degli oltre 250 morti l'anno nel settore avviene nel primo giorno di lavoro. È lecito, dunque, sottolinea il ministro Damiano, il sospetto che si tratti di assunzioni post-mortem. In Italia gli infortuni mortali sono 1300 e soltanto nel settore dell'edilizia siamo a 250 morti annui.

Non brillano i risultati nella lotta all'evasione contributiva registrati nel primo trimestre dell'anno. Rispetto, infatti, allo stesso periodo del 2005, nel 2006 sono state recuperati 291.851.351 euro contro i 324.602.531 dell'analogo trimestre dell'anno precedente, con un calo che supera di poco il 10,09 per cento. Le migliori performance arrivano dall’Inps che registra somme recuperate per 217 milioni e 365mila (+8,97 per cento). Quasi dimezzate, invece, rispetto al trimestre precedente, le somme recuperate dal ministero, con un - 46,30%: si è scesi da somme recuperate per 92.287.942 euro del primo trimestre 2005 a 49.556.381 euro dell’analogo trimestre del 2006.

Le aziende ispezionate nei primi tre mesi dell'anno sono diminuite del 13,74% rispetto all'analogo periodo del 2005, mentre è salita del 5,57% la percentuale di quelle irregolari. In aumento del 13,75% i lavoratori irregolari (per esempio, con problemi contributivi o somme fuori busta paga), in lieve calo (2,80%) quelli completamente in nero.


Fonte Il Sole24ore, 28/6/06

venerdì 23 giugno 2006

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Le p(i)aghe

CALL CENTER: LA PAGA ORARIA

Azienda                                                 Valore medio retribuzione oraria netta in euro
 

Telecom                                                                                        7,1
Poste                                                                                              6,9
Call&Call                                                                                        5,8
CUP                                                                                                  5,8
H3G                                                                                                  5,4
ESSETI                                                                                            5,3


Fonte: CGIL Genova, Indagine “Call Centers. Idee per un cambiamento”

giovedì 22 giugno 2006

Mostra di Viani. Sponsor Datacontact

Sabato 24 giugno 2006, alle ore 11, in Matera, nelle Chiese rupestri Madonna delle Virtù

Grandi Mostre nei Sassi di Matera: Antologica di Alberto Viani

L'idea dell'antologica nasce, quindi, nello spirito che ha animato le precedenti edizioni delle Grandi Mostre nei Sassi di Matera: illustrare l'importanza, spesso dimenticata o tralasciata, degli scultori italiani contemporanei nell'ambito della ricerca espressiva messa in atto dagli artisti del secolo appena trascorso.
La mostra, curata da Giuseppe Appella con il supporto di un gruppo di storici dell'arte e di giovani ricercatori, anche attraverso la pubblicazione di un catalogo che, come i precedenti, ripercorra, per la prima volta, attraverso immagini e documenti spesso inediti, l'intero percorso della vicenda umana ed artistica di Viani,  analizza le varie tappe del contributo dell'Artista all'arte del Novecento, puntando la propria attenzione sui momenti del "Fronte Nuovo delle Arti" (1946-1948) e sulla famosa mostra del rinnovamento dell'arte italiana alla prima Biennale veneziana del dopoguerra, sulla presenza alla Mostra d'Arte Moderna Italiana al Museo d'Arte Moderna di New York (1949) che acquisisce per l'occasione il suo Torso femminile, sulle molteplici partecipazioni alle Biennali veneziane, alle Biennali di San Paolo del Brasile, alle Biennali di Carrara, a "Documenta" di Kassel, al Museo Rodin di Parigi, alle Quadriennali romane, alle mostre d'arte italiana nelle maggiori città


http://www.millemedia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=89&catid=1&Itemid=1

mercoledì 21 giugno 2006

Buon viaggio

Vi lavorano oltre 400mila persone, guadagnano tra i 5 e i 7 euro all'ora. L'analisi delle loro condizioni di lavoro in un'indagine
 
Stress continuo, paga da fame viaggio nel mondo dei call center
di FEDERICO PACE

All'inizio ci sono delle aspettative. Dopo, restano solo le delusioni. Per le condizioni di lavoro, per le prospettive professionali, per lo stress continuo e per le paga che rimane sempre troppo bassa. Quello che doveva divenire un settore maturo e più "vivibile" pare non avere fatto alcun passo avanti. Viene da dire che questi ultimi due anni siano andati sprecati.
L'indagine presentata oggi a Genova da Cgil "Call Centers. Idee per un cambiamento" e condotta in sei grandi call center liguri (tra questi quelli di Telecom, Poste e H3g) restituisce uno scenario peggiore di quello che ci sarebbe potuti aspettare.

Seppure la crescita del settore, sono oggi 400 mila le persone che vi lavorano, ha permesso a un elevato numero di persone di trovare un posto, le condizioni di lavoro di chi con i call center deve misurarsi tutti i giorni sono tutt'altro che buone.

Organizzazione del lavoro, salute, soddisfazione e prospettive. Tutto ai minimi. Tutto legato insieme in una specie di spirale che si torce su se stessa. Tra quelli che in un call center ci lavorano, sette su dieci (il 66,7%) pensano ormai che il proprio lavoro non possa avere un'evoluzione positiva all'interno dell'azienda ed altrettanto pessimistiche sono le attese rispetto alle opportunità esterne: nove su dieci ritengono che sia difficile cambiare lavoro e trovarne uno migliore. Per una paga che in termini orari oscilla tra i 5 e i 7 euro così che pare naturale che il 40 per cento consideri molto deludente la propria retribuzione.

Una telefonata dietro l'altra, un problema da risolvere dietro l'altro. Per chi si trova a dovere gestire le telefonate in entrata, lo stress è rappresentato soprattutto dai ritmi, dall'ossessione di dovere chiudere le chiamate entro qualche minuto. E pare quasi assurdo che non possa essere accolta la richiesta di chi, tra i testimoni, dice che "la cosa ideale sarebbe avere un intervallo, un minuto, tra una telefonata e l'altra".

Ma anche quando si tratta di attività di telemarketing le cose non cambiano. "Le liste dei clienti - ci ha detto Paola Pierantoni, responsabile sportello sicurezza Cgil Genova e coordinatrice dell'indagine vengono date dall'azienda, le telefonate vengono sparate in cuffia con un sistema automatico che cerca i numeri. Alle persone arrivano in cuffia anche i fax con i conseguenti problemi di salute per le scariche di rumore pesante". Senza contare che spesso i call center vengono realizzati senza tenere conto delle caratteristiche del lavoro che vi verrà svolto. E la rumorosità, insieme alle condizioni climatiche, è tra le cause di maggior disagio dei lavoratori.

Se è vero che nei sei call center messi sotto osservazione, il 65,8% è rappresentato da dipendenti contro il 30,4 per cento dei lavoratori a progetto, va detto pure che nel Regno Unito, come fanno notare gli autori della ricerca, il 92 per cento degli addetti dei call center hanno un contratto permanente. La "stabilizzazione" dei lavoratori, quella promessa dall'accordo nazionale tra Assocallcenter e sindacati siglato nel 2004, non pare proprio esserci stata. In uno dei call center presi in esame (Call & Call) si sarebbero dovuti stabilizzare il 60% dei lavoratori entro il 2008. Ad oggi in questo call center è dipendente solo il 5,2 % degli operatori in cuffia.

Ci sono dei casi positivi. Casi in cui dove si fa formazione, si offre agli operatori un minimo di rotazione con attività lontane dalle "cuffiette". Ma è poco. Ancora troppo poco.

Solo quattro su dieci si dicono tranquilli per il proprio impiego mentre quasi il 35% sente di essere precario. E non per propria scelta. Già, le scelte. Solo uno su dieci dichiara di avere deciso la condizione "provvisoria" in cui si trova. Quasi la metà dei lavoratori ha più di quarant'anni e solo uno su cinque di loro non è ancora trentenne. Il settore mantiene la sua natura "femminile" (il 77,2 per cento degli addetti è formato da donne) e sono proprio le donne quelle che, in proporzione, hanno meno accesso alla stabilizzazione contrattuale. E questo non per scelta, visto che solo il 12,5 per cento di loro si ritrova "precaria" per volontà.

Il lavoro nei call center sembra venire meno a anche quella missione importante che è la realizzazione delle proprie capacità professionali.Tale distacco dal lavoro avviene in maniera più accentuata dove la comunicazione telefonica è soggetta a rigidi limiti di tempo. E sono soprattutto quelli che ci lavorano già da tempo a provare i più elevati livelli di insoddisfazione personale.

In Italia, rispetto all'Europa, le cose forse vanno anche un poco peggio: "I call center in outsourcing - ci ha detto Giovanna Altieri, direttore Ires-Cgil (vedi intervista integrale) - sono relativamente più localizzati nel Sud Italia. Grazie ai contributi europei molti imprenditori hanno delocalizzato l'azienda in queste aree dove è molto diffusa l'esternalizzazione. Sono frequenti i casi di poca chiarezza tra intrecci proprietari, ambiguità tra esternalizzazione e internalizzazione di servizi e appalti pubblici".

Se si leggono le cronache di questi giorni ci si accorge che in tutta Italia c'è una specie di febbre che sta salendo. Ci sono i lavoratori a progetto del call center Cosmed, che lavora per conto di Sky, che protestano a Palermo. A Bologna, il sindacato degli atipici della Uil denuncia che nel call center di Hera gestito dalla Telework, lavorano "oltre 250 falsi collaboratori a progetto" che operano in condizioni di precarietà "non più sostenibili". E intanto a Roma centinaia di operatori a cui non è stato rinnovato il contratto dal mega call center di Atesia chiedono di venire reintegrati.

la Repubblica, 9 giugno 2006

Catene e autonomie

Lavorare nei call center: "Peggio della catena di montaggio" 
Intervista a Paola Pierantoni, responsabile sportello sicurezza Cgil Genova e coordinatrice della ricerca "Call centers. Idee per un cambiamento".
di Federico Pace

Perché i call center al centro dell'attenzione?
E’ un settore trasversale a tutti i settori di lavoro in cui però c’è una grandissima difformità di condizioni. Si va da realtà dominate dal tempo pieno a tempo indeterminato a quelle in cui c’è solo il contratto a progetto. Con modalità organizzative diversissime. Profili professionali misteriosi. E’ un settore in cui non esiste una contrattazione organica dei livelli professionali, delle modalità organizzative, dei diritti di base. Il fatto che si spacci come lavoro autonomo a progetto un’attività che è regolata nei minimi dettagli è perlomeno buffo.
Non c’è un po’ di autonomia per chi fa attività di telemarketing?
Le liste dei clienti vengono date dall’azienda, le telefonate vengono sparate in cuffia con un sistema automatico che cerca i numeri. Alle persone arrivano in cuffia anche i fax con i conseguenti problemi di salute per le scariche di rumore pesante.
Insomma, quello dei call center continua a essere un grande buco nero…
A Genova abbiamo osservato grandi realtà, significative da un punto di vista occupazionale con più di cento dipendenti in una situazione in cui la dimensione media di impresa è molto più piccola. Eppure tutto è ancora ai margini dell’attenzione.
Cosa avete scoperto?
Abbiamo trovato un nesso evidente tra chi lamenta più frequentemente una relazione tra il proprio benessere psicologico e il lavoro e chi avverte in maniera molto più rilevante tutta una serie di disturbi (dalla secchezza oculare ai sensi di vertigine). Ci sono dei sintomi di tipo fisico causati o esaltati da uno stato di tensione e malessere di tipo psicologico, per lo stress della chiamata ma anche dallo stress della demotivazione. E' un viluppo. Gli elementi salute e sicurezza sono intrecciati molto profondamente con i fattori organizzativi.
Dove si sta meno peggio?
Noi abbiamo riscontrato una differenza sensibile di minore disagio professionale nel call center delle Poste perché lì vige un sistema di programmazione e rotazione tra le mansioni in maniera non discrezionale. E questo aiuta. In altre realtà invece avviene in termini discrezionali e diviene un elemento di disagio perché non si capisce il criterio per cui qualcuno viene rotato e altri no.
E per i tempi di durata delle telefonate?
Nei centro di inbound, ovvero dove gli operatori rispondono alle chiamate, si sta meglio dove le telefonate non sono soggette a un tempo massimo. Perché devono comunque giungere alla conclusione del problema. Gli operatori sentono quasi che il loro lavoro non è “perduto” nel nulla.
Ci sono altri esempi?
Nel call center delle Poste, anche se gli operatori hanno i tre minuti di tetto massimo a telefonata, il fatto di avere fatto una formazione migliore, di ruotare su mansioni diverse, lavorare in un ambiente progettato ad hoc rende le cose più accettabili. Ma per la gran parte, ci sono molti problemi per la rumorosità eccessivia e altri fattori che peggiorano un lavoro già difficile.
Quali sono i percorsi di carriera?
Quello del tutor è l’unico scalino di progressione di carriera a vista e anche i tutor guadagnano veramente poco più degli operatori, saranno cento euro in più al mese. In realtà il tutor ha un ruolo di guardiano non molto significativo. E’ una scala gerarchica brevissima e questo attraversa anche le realtà strutturate come Telecom o H3G.
Quasi la metà del vostro campione ha più di quarant’anni. Cosa sta succedendo?
Da un lato l’età elevata è legata alle riorganizzazioni aziendali di persone che vengono trasferite da altri posti ai call center. Ma nelle aziende di telemarketing, ci sono molte persone di quarant’anni che sono finite a fare questo lavoro perché gli andata male altrove (il negozietto che è fallito, chi ha dovuto lasciare un lavoro altrove) oppure donne che avevano lavori anche più interessanti ma che le occupavano più tempo.
Quali sono le storie che avete raccolto?
Fa un po' effetto scoprire questo mondo di quaranta-cinquantenni che continuano ad andare avanti con contratti rinnovati di sei mesi in sei mesi che dicono "speriamo di fare sufficienti attivazioni". E chi ha problemi di voce non va a lavorare e pensa addirittura che sia ovvio non essere pagata quando è costretta a rimanere a casa. O una donna ci ha raccontato che le è capitato sotto gli occhi la busta paga che prendeva prima. E ci ha raccontato che ha chiesto al marito di toglierla via che non la voleva più vedere.
Rispetto a quello che succedeva nei posti di lavoro della "vecchia fabbrica" quali sono le differenze?
Questi sono posti di lavoro dove non ci sono possibilità di incontrarsi. Gli addetti non mangiano insieme, hanno un quarto d’ora di intervallo in cui devono andare a gabinetto, mangiare e bere. Gli orari di lavoro che mutano continuamente durante la settimana e attraversano l’orario del pranzo. Non c’è un momento di socializzazione. Il lavoro è totalmente individuale. Persino nella catena di montaggio, per quanto alienante e orribile, ognuno era vicino a un collega che faceva un altro pezzetto, tutti insieme facevano dei pezzetti. Qua invece non c’è nemmeno il proprio posto di lavoro. Non ci si può nemmeno sistemare la foto del gatto. Uno arriva, guarda qual è la posizione libera e nella prima ci si siede. Non si ha nemmeno una relazione con il posto di lavoro. E nemmeno con il “vicino”.
In sostanza l’accordo nazionale firmato nel 2004 tra Asscallcenter e sindacati è fallito?
Non so cosa succede fuori da Genova, ma questo accordo dice che entro dicembre 2007 sarebbe stato "stabilizzato" il 60% degli operatori. Con delle gradualità. Adesso, sono passati due anni e se guardo gli operatori con la cuffia in testa di Call & Call a Genova, dai dati aziendali, mi accorgo che a progetto sono il 95% degli operatori. E poi tutta questa storia dell’autonomia è quella che abbiamo visto. La maggiore flessibilità è spiegabile in una fase di avvio, ma dopo un po’ diventa inspiegabile. C’è gente che sta lì da quattro o cinque anni. Assocallcenter (uno dei fondatori è A.Tosto) intanto è sparita.
Su cosa si può intervenire per migliorare le condizioni di lavoro?
La mansione è quella che è, si parla con qualcuno che non si vede, con la cuffia in testa e in certi casi non si sa come la chiamata è iniziata o come si chiuderà. Stante questo, si possono ruotare le mansioni in modo programmato su tutti gli addetti. In Poste dove questo succede i benefici ci sono. Le persone possono avere un poco di autonomia nella gestione delle telefonate. Il limite della durata della conversazione condiziona la qualità di risposta ed è un fatto di disagio rilevantissimo. Poi si deve fare qualcosa per le condizioni ambientali, specialmente questi posti di telemarketing affittano degli uffici e ci mettono dentro un po’ di postazioni. Questi luoghi vanno progettati sapendo che questa gente lavora in un dato modo. In Poste lo hanno fatto, ma altrove non hanno progettato nulla. Ma non basta, sottoponiamo queste persone a una sorveglianza sanitaria per i problemi che realmente hanno, daimogli na formazione continua anche di tipo ergonomico. E poi, paghiamoli di più.

La Repubblica Lavoro, giovedì 08 giugno 2006

Funzioni strategiche

Intervista a Giovanna Altieri, direttore Ires-Cgil e autrice dell’indagine "Lavorare nei call center: un'analisi europea"
 
Call center, troppi passi indietro
di Federico Pace

Quali sono le condizioni italiane rispetto agli altri paesi europei?
Condividiamo di certo l’articolazione molto differenziata. Ci sono le agenzie di telemarketing, i call center aziendali in-house. I piccoli e i grandi call center, e all’interno dei piccoli call center ci sono quelli che svolgono attività molto specializzate con condizioni di lavoro e i livelli di soddisfazione, e i piccoli call center che invece sono l’ultima catena del “conto-terzismo” dove l’attività e la commessa che il call center riesce a spuntare è tutto giocato sul fattore del costo del lavoro. In Italia però abbiamo qualche criticità in più.
Ci faccia qualche esempio?
I call center in outsourcing sono relativamente più localizzati nel Sud Italia. Grazie ai contributi europei molti imprenditori hanno delocalizzato l’azienda in queste aree dove tra l’altro è molto diffusa l’esternalizzazione. Sono frequenti i casi di poca chiarezza tra intrecci proprietari, ambiguità tra esternalizzazione e internalizzazione di servizi e appalti pubblici. Come il caso del call center costituitosi in Sardegna grazie ai fondi regionali che poi ha chiuso lasciando a casa centinaia di ragazzi o l’episodio in Sicilia di un call center che ha chiuso per riaprire nella stessa città licenziando lavoratori a tempo determinato e assumendone con un’altra azienda con contratti a progetto.
Quali sono le ultime evoluzioni del settore?
L’età media di chi ci lavora sta crescendo. Sia perché si afferma il settore, sia perché i lavoratori rimangono. Sta crescendo in alcune realtà critiche del Sud e anche a Roma abbiamo adesso una presenza di lavoratrici intorno ai quarant’anni. C’è una quota significativa di donne adulte che hanno subito una prima esclusione dal mondo del lavoro e che poi sono rientrate. Non ci sono stati miglioramenti, c’è stata una forsennata rincorsa a una efficienza giocata sulla fabbrica dei minuti. Si è cercato di standardizzare il più possibile con una tecnologia facilitatrice del lavoro umano. Questo paradossalmente toglie ancora più peso alle capacità e rende i lavoratori più sostituibili.
Eppure è un settore strategico per le imprese…
Abbiamo in comune con il resto d’Europa anche la dinamica esponenziale del settore che attiene allo sviluppo delle nuove tecnologie, alla cultura del customer care, alla vendite differite. Ovunque questo settore è diventato l’interfaccia delle imprese con i clienti. Non è più soltanto l’acquisizione di nuovi clienti è tutta la cura del cliente.
Non c’è una contraddizione tra l’importanza del settore e le condizioni di lavoro?
Non si fa nessun investimento sulle persone nonostante sia una funzione strategica. Per cui noi abbiamo che il call center è impostato tutto sulla tecnologia, si dovrebbe superare questa visione e valorizzare anche le capacità della forza lavoro in una chiave più strategica. In questo momento il lavoro nei call center è fortemente strutturato e non consente di acquisire nessuno skill aggiuntivo.
E' per questo che c’è un turnover altissimo?
Questo è tipico di tutti i paese europei. L’unica strategia individuale che i lavoratori possono avere è quella di “uscire”. Registriamo dei tassi di mobilità molto elevata. Questa è una strategia aziendale di gestione del personale. Accanto alla flessibilità implicita nell’alto turnover c’è una flessibilità contrattuale diffusissima, una flessibilità temporale totale. Visto che ai lavoratori viene richiesta una disponibilità al part-time e ai turni.
Eppure, quasi paradossalmente, sono molti quelli che domandano di entrare a lavorare nei call center. Come si spiega?
In qualche modo il settore esercita un’attrattiva forse legata anche alla rappresentazione sociale del lavoro che hanno i giovani che accettano il lavoro nei call center mentre ne snobbano altri che magari stanno in gradini più bassi della gerarchia sociale ma che garantirebbero loro una retribuzione superiore. Questo lavoro nei call center è pure sempre un lavoro da colletto bianco che mette in rapporto con le nuove tecnologie. E’ un po’ un’attrazione fatale.
Quali sono le prospettive?
Non voglio essere negativa, ma la logica che sta prevalendo non fa sperare bene. Rispetto ai processi di professionalizzazione quello che viene messo in luce da qualcuno è che quanto più si diffonde l’interattività, tanto più si possono offrire dei servizi con dei contenuti professionali migliori. Forse, la cosa positiva, ed è già qualcosa, è che ora c’è maggiore consapevolezza sul problema della precarietà come condizione critica che produce effetti sociali molto gravi.
 
Repubblica Lavoro, giovedì 08 giugno 2006

martedì 20 giugno 2006

News da far Circolare

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
UFFICIO STAMPA


COMUNICATO STAMPA
Call-center e lavoro a progetto: nota sulla Circolare n. 17 del 14/06/2006


Con la firma oggi della circolare sulle “collaborazioni coordinate a progetto”, il Ministro del lavoro On.le Cesare Damiano, interviene in una materia assai delicata e controversa, quella relativa all’utilizzo delle collaborazioni coordinate a progetto nel settore dei call center, fornendo indicazioni sull’attività degli ispettori del lavoro. E’ infatti questo uno dei settori a più alta occupazione giovanile scolarizzata, con una tipologia di contratto caratterizzato da precarie condizioni di lavoro.

La Circolare n. 17 del 14/06/2006 definisce i tipi di impiego consentiti con le collaborazioni a progetto limitatamente a quelli cosiddette “out bound”, tipicamente rappresentate dagli operatori dedicati a campagne promozionali limitate nel tempo, per le quali essi hanno ampia possibilità di predeterminare il contenuto, l’intensità e le modalità della loro prestazione lavorativa.

Diversamente, la circolare identifica nel cosiddetto “in bound “ quell’ambito cui sono tipicamente adibiti gli addetti al  “customer care” ed all’assistenza “online.” Questi lavoratori svolgono un’attività di cui non possono predeterminare contenuto e modalità, limitandosi alla risposta telefonica di cui essi rappresentano il terminale passivo. La circolare a questo proposito chiarisce che tali modalità dovranno essere assimilate al lavoro subordinato e, di conseguenza, gli ispettori dovranno agire nel caso riscontrino usi contrattuali impropri.

Tuttavia, proprio le complesse condizioni del mercato e la necessità che esso si sviluppi secondo regole uniformi e trasparenti, rendono necessaria una fase preliminare di informazione e di accompagnamento al sistema delle imprese cui si dedicheranno le competenti strutture regionali e provinciali del Ministero del lavoro, dell’INPS e dell’INAIL.

Roma, 14 giugno 2006


Circolare in PDF a questo link
http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/434476CF-3DFA-423D-B298-417AE4DF74F0/0/20060614_Circ_17.pdf

lunedì 19 giugno 2006

La prudenza di WIND

Wind: crescere con i servizi senza correre dietro l’hitech 
di GIUSEPPE TURANI  
 
«Contrariamente a quello che molti pensavano, Wind va bene. I risultati del primo trimestre sono ottimi e, ad esempio, siamo quelli che crescono di più nel mobile. Ma anche negli altri settori la nostra crescita è notevole e importante». Paolo Dal Pino, amministratore delegato di Wind, è soddisfatto dei risultati raggiunti in questi primi mesi di sua gestione della società di telecomunicazioni exEnel, ma soprattutto è soddisfatto della sua strategia.
«Non ho difficoltà a ammetterlo spiega noi siamo quelli che come innovazione stiamo dietro agli altri, non certo davanti».
Scelta curiosa, lo ammetterà, in un ambiente in cui tutti sembrano scatenati a dare già oggi quello che in realtà sarà vero solo fra tre anni.
«E’ una scelta curiosa solo in apparenza. In realtà, noi abbiamo semplicemente scelto di non svenarci per inseguire un’evoluzione tecnologica che è sì importante, ma che poi di fatto riguarda poche migliaia di tecnofan».
Ma non è una scelta un po’ pericolosa? La gente vuole le novità. E’ pronta a seguire chi è più «nuovo» degli altri.
«Secondo me questo è un ragionamento sbagliato. Le faccio due esempi, proprio nel mondo dei telefonini. Noi abbiamo investito pochissimo sull’Umts, nei cellulari di terza generazione, mentre altri hanno fatto investimenti molto importanti (a mio avviso fin troppo importanti). Ebbene, nel mobile siamo quelli che sono cresciuti più di tutti e non possiamo certo lamentarci. La stessa cosa possiamo dire per quanto riguarda la tv nei telefonini. Anche qui non abbiamo investito di fatto nemmeno un soldo. Ma non credo che la nostra crescita nel business dei telefonini si arresterà per questo. Anzi, andremo avanti comunque».
Ma come si spiega questo curioso fenomeno?
«Non è curioso. E’ marketing allo stato puro. Sa quante Sim ci sono in circolazione oggi in Italia?».
No, francamente.
«Siamo a quasi 75 milioni e l’anno prossimo cresceranno ancora. E poi ci sono circa 30 milioni di clienti di linee fisse. Lei pensa che tutta questa gente non dorma la notte in attesa di avere il telefonino con l’Umts o con la televisione sopra? Nemmeno per idea. Questa gente usa il telefono esattamente come lo usiamo noi, cioè telefona. E quindi se uno interviene con dei buoni servizi e con una buona distribuzione, riesce comunque a fare il suo business».
Ad esempio?
«Sui telefonini abbiamo lanciato tutta una serie di offerte raccolte sotto la sigla comune di ‘Noi’. E si tratta di cose che la gente ha molto apprezzato. Con ‘Noi2’, ad esempio, offriamo 400 minuti di conversazione gratis verso un altro numero di Wind indicato dall’utente. Con ‘NoiWind’ si può parlare gratis con tutti i numeri di Wind. E con ‘NoiItaly’ ci sono condizioni di favore per parlare con i numeri di Wind e con tutti i numeri italiani di rete fissa».
Adesso va molto di moda parlare di contenuti. Voi che cosa fate in proposito?
«Penso che l’operatore di telefonia deve fare soprattutto l’operatore. Può sembrare un’affermazione banale, ma non è così. Fare l’editore non è il suo mestiere, non lo sa fare, non ha le strutture, ma non ha, soprattutto, la cultura che servirebbe per farlo».
E allora che cosa fa? Niente? Sta lì a guardare i contenuti che passano sulla sua rete, e ogni volta si fa lasciare giù un piccolo obolo?
«No. Deve, come facciamo noi, confezionare e distribuire i contenuti editoriali prodotti dagli editori. Deve offrirli ai suoi clienti nel modo giusto e nei momenti giusti».
Questa è una linea chiara, ma forse è un po’ poco. Altri pensano un po’ più in grande. Alcuni si sono addirittura trasformati in media company e rifiutano quasi l’etichetta di operatore telefonico.
«Vedremo chi avrà ragione. Ma, comunque, non è che noi dobbiamo solo veicolare ciò che è stato prodotto da altri, cioè dagli editori. Oggi abbiamo una grandissima opportunità, che si è presentata per la prima volta nel mondo dell’editoria e della cultura. Possiamo, cioè, gestire e distribuire i contenuti autogenerati dentro la rete».
Concetti un po’ difficili da mandare giù. Che cosa significa ‘contenuti autogenerati’ in rete?
«Le posso fare un esempio molto semplice che rende bene l’idea di quello che voglio dire. Lei sa che noi, come Wind, abbiamo il portale Libero (Libero è anche un Internet Provider). Ebbene, su Libero vanno e vengono circa 9 milioni di persone, in maniera stabile. Su Libero abbiamo aperto una sezione Video. In questa sezione in apparenza non facciamo niente, ci limitiamo a raccogliere i vari video che circolano in rete. In parte prodotti dai nostri stessi utenti. E in parte pescati qui e là (pubblicità curiose, filmini divertenti, ecc). Si tratta probabilmente della più grande macedonia del mondo: lì dentro c’è un po’ di tutto. Per costruire questa sezione video non abbiamo dovuto allestire studi, acquistare telecamere. Ci siamo limitati a raccogliere quello che girava in rete».
Non mi sembra un gran lavoro e, mi consenta, nemmeno una gran trovata.
«Non abbia tanta fretta. La nostra sezione Video dopo una settimana dalla sua creazione ha cominciato a avere un milione di download al giorno. Un successo mai visto. La gente scarica queste cose, poi le rimanda agli amici, qualche volta ne aggiunge di nuovi. Intorno a questa sezione Video c’è grande vita, c’è un milione di persone al giorno che si muove e che si diverte. Ecco, questo è un esempio dei contenuti autogenerati dalla rete. Ma non si tratta solo di questo».
Altri esempi?
«Lei sa che oggi si parla molto di convergenza fra telefoni, reti, tv, ecc. Ebbene, anche noi di Wind siamo per la convergenza e pensiamo che il luogo dove realizzarla sia il nostro portale Libero, attraverso la creazione di piattaforme tecnologiche comuni che consentano poi agli utenti di scambiarsi contenuti di tutti i tipi. Questo abbiamo fatto e questo faremo ancora di più in futuro. Anche noi, certo, compreremo e distribuiremo contenuti editoriali, ma l’idea di essere protagonisti nel mondo dei contenuti autogenerati dalla rete non ci dispiace. Prima le ho fatto l’esempio dei Video, ma non c’è solo questo. Fra i contenuti autogenerati dalla rete noi mettiamo anche tutto il gran traffico delle email, i blog (che adesso stanno diventando appunto, anche videoblog) e le chat. Non si tratta di cose minori o di sciocchezze. Pensi che oggi la community di Libero ha oltre 4 milioni di utenti al mese».
Quindi Wind arriva un po’ dopo sull’innovazione tecnologica, ma non per questo è assente …
«Anzi. Le ripeto, siamo dei follower e non abbiamo paura a dirlo. E questo perché non pensiamo che essere sempre davanti a tutti sia un vantaggio. Spesso si rischia di spendere miliardi per accontentare poche migliaia di persone. Ma il pubblico ‘tech’, se vogliamo chiamare così quelli che usano Internet e i telefonini, è fatto da milioni e milioni di persone. Persone che, nella grande maggioranza, hanno bisogno di servizi normali, ma a prezzi interessanti. E hanno anche bisogno di divertirsi un po’, magari scaricando un video curioso o girellando per qualche blog simpatico».
 

Momenti di relax

La danza della bolletta
 
Ne parla un lettore di Punto informatico, la più famosa newsletter italiana del settore, ammaliato dalla suadente voce di un'operatrice che veicolava un'offerta di risparmio di sicuro interesse. Firmato il contratto, passa del tempo ed arriva la bolletta. Sorpresa!

Roma - 1/6/2006 Gentile direttore, trovo incredibile che al giorno d'oggi alcune compagnie telefoniche riescano, nonostante la totale inettitudine dei loro operatori, nell'essere tali, a sopravvivere... Merito della loro potenza, sicuramente, e di spalle larghe a tal punto da riuscire a reggere tutti quei grattacapi, che noi poveri utenti, con la nostra disinformazione e con il nostro essere refrattari alle molteplici sfumature dei piani tariffari, costantemente gli infliggiamo, costringendo queste povere compagnie telefoniche a del super-lavoro (del tutto inutile, in verità). Ma loro, potenze economiche, per noi utenti fanno questo ed altro. Bravi!

Prendiamo il mio caso ad esempio, un caso come ne ho sentiti davvero molti, ed è per questo che sono davvero fiero di avere come operatore, questa grande azienda che con bonarietà infinita, perdona ogni mio errore, come quello di milioni di altro utenti, e continua a lavorare per loro. Il fatto, nel suo essere grottesco, è molto buffo.
Tutto comincia, non a caso, proprio con una telefonata.
La mia compagnia telefonica è davvero premurosa, e ogni qualvolta essa trovi un modo per farmi risparmiare me lo comunica con una telefonata; qualsiasi piccola inflessione delle tariffe, qualsiasi novità sui vari contratti, prodotti, o profili tariffari, essa è sempre pronta ad avvertirmi e farmi proposte commerciali sempre più vantaggiose.
Qualsiasi cosa io stia facendo: un sonnellino, una doccia, una cosuccia intima con la ma ragazza, a qualsiasi ora del giorno e della notte (bravi davvero, sempre operativi!) la mia compagnia mi telefona, perché il risparmio è importante, ella agisce per il mio bene. E così, quella sera, verso le nove, (stavo fortunatamente guardando un dvd che ho potuto mettere in pausa) mi ha telefonato una gentilissima signorina della mia compagnia telefonica, informandomi che giorni felici mi attendevano, con un particolare piano tariffario a contratto.
Avrei potuto lasciare la mia carta pre-pagata, sul cellulare, in favore di un abbonamento mensile "flat" (ovverosia a tariffa fissa, un forfait, insomma) da 15 euro al mese.
In questi 15 euro al mese, mi dice, sarebbe stato compreso un traffico praticamente illimitato di urbane, interurbane e chiamate verso cellulari con mio stesso operatore, una cosa da leccarsi i baffi! Allora, voglio acconsentire? La gentile operatrice era disponibile a cambiare il mio profilo tariffario seduta stante.
Il risparmio, prima lo si mette in atto, meglio è.
Ma... obietto io... e le chiamate verso gli altri operatori? Mi dice che la tariffa in effetti esula dal canone, ma è competitiva rispetto agli altri operatori, non specificando meglio il grado di competitività.
Glielo chiedo, e lei, pronta, mi comunica il dato.
Un altro dubbio mi sorge, ed è quel "praticamente" illimitato, cosa significa? Che posso stare 24/24 ore al telefono entro il costo di 15 euro? In effetti no, c'è un limite, mi dice l'operatrice, di 400 minuti di conversazione, ma la mia compagnia telefonica, si è premurata di stimare che 400 minuti, sono un numero "praticamente illimitato" rispetto ad un traffico dignitoso mensile, e in particolare rispetto al mio.
Brava la mia compagnia telefonica! Ha già fatto i conti per me, ve l'ho detto, mi coccola come un pupo! Mentalmente faccio anch'io un po' di conti, velocemente per non far attendere troppo la gentile operatrice, e vedo che ha ragione! Io spendo in media un 25 euro ogni due mesi, che sono 12.50 euro al mese, ma telefono poco e solo quando è necessario, e con 15 euro (solo 2.50 euro in più) mi potrei concedere di telefonare alla mia ragazza anche solo per salutarla, anche le volte in cui allora pensavo "meglio risparmiare", si sa, son tempi duri, meno male che la mia compagnia telefonica mi accudisce, da quel punto di vista.
In ogni caso però, noto che sono già due le cose che sono emerse solo dalla mia curiosità, e di cui la gentile operatrice non avrebbe fatto parola di sua spontanea volontà, una svista senz'altro, così le chiedo se cortesemente mi può spedire a casa un prospetto informativo cartaceo, in modo che possa esaminarlo con cura.
Pare non sia possibile, ma posso sempre informarmi sul loro sito.
Ci penso ed in effetti, la mia richiesta mi pare davvero scortese, già il loro impegno è evidente, mi chiamano a casa apposta per migliorarmi la vita, e lo fanno, immagino, con ogni utente, e gli utenti sono davvero molti, se ogni utente chiedesse un prospetto informativo cartaceo la mia compagnia telefonica fallirebbe, affondata dai costi di spedizione postali, quantomeno, e io le sono affezionato, chi mi farà risparmiare poi? Non voglio che questo accada, per cui decido, essendo piuttosto impegnato lavorativamente (son tempi duri) che informarmi sul sito richiederebbe troppo tempo da parte mia, per cui tento di saperne di più almeno verbalmente dall'operatrice, e così le riassumo.
"Allora, vediamo se ho capito, 15 euro al mese, 400 minuti di conversazione verso mio operatore, urbane interurbane, mentre verso gli altri operatori ho una tariffa conveniente anche rispetto alla mia di ora, giusto?"
"Esatto!" mi conferma l'operatrice in tono gioviale.
"Ma", obietto ancora quasi vergognandomi della mia poca fiducia "non c'è davvero nessun' altra spesa oltre al canone?"
"nessun'altra spesa." mi rassicura l'operatrice.
"Magari l' IVA..." suggerisco timidamente.
"Il canone è comprensivo dell'iva" mi dice in tono bonario lei.
"Ma nemmeno una spesuccia-uccia extra?" sono incredulo, questa volta la mia compagnia ha fatto davvero il colpaccio! mi farà risparmiare un sacco di soldi!
"No, nessun'altra spesa, solo questo canone fisso di 15 euro al mese..."
mi dice l'ennesima volta in tono paziente l'operatrice.
Sono davvero mortificato, ma mi viene un ulteriore dubbio... "Ma, e i minuti eccedenti dai 400?" chiedo desiderando scomparire dalla faccia del pianeta.
Ma l'operatrice è davvero professionale, e con una controllatissima calma mi dice che li pagherò a parte, come per gli altri operatori, ovviamente, ad una tariffa sempre conveniente rispetto al mio attuale piano tariffario.
Mi pare ovvio e corretto. Non credo supererò mai i 400 minuti fatidici, ma se avverrà, giustamente pagherò l'extra.
Così mi lascio andare alla suadente voce dell'operatrice e acconsento a far diventare la mia prepagata, un'autentica cornucopia di conversazioni telefoniche.
L'operatrice mi dice che la cosa non sarà immediata (evidentemente il trasbordo comporta chissà quale consistente lavoro, e mi sento, se possibile, ancora più in colpa) e passerà un incaricato a farmi firmare un modulo. Infatti, tre settimane dopo mi telefona l'incaricato (alle 9 di sera, interrompendo solo un'altro film in dvd, sono quasi tentato di essere stizzito per l'orario, ma penso: lui stesso sta lavorando a quell'ora solo per il mio bene, e mi dò subito dell'egoista).
Prendiamo un appuntamento, e l'incaricato, un ragazzo di bell'aspetto molto cortese si presenta con il modulo da firmare, su di esso non v'è traccia delle caratteristiche del mio nuovo profilo tariffario, quasi non lo leggo, ormai mi fido ciecamente della mia compagnia telefonica, e firmo.
In due settimane, mi informa l'incaricato, potrò cominciare la mia nuova vita telefonica! Molto bene. Questo accadeva circa due mesi e mezzo fa.
Ieri invece è accaduto che mi è giunta la mia prima bolletta.
Già una lettera, che mi era arrivata un paio di settimane fa mi faceva presagire eventi negativi. Nella lettera mi si informava che nella prima bolletta avrei visto conteggiate delle voci che nelle bollette successive non sarebbero più state presenti, come ad esempio una tassa governativa che mi sarebbe comunque stata risarcita in seguito.
Nulla di preoccupante, cosa sarà mai? oltretutto mi verrà risarcita. Però il fatto di non averlo saputo prima un po' mi rodeva. Colpa mia senz'altro, totalmente ottenebrato dalla suadente voce dell'operatrice, semplicemente non avrò sentito mentre me lo diceva.
In ogni caso, dicevo, arriva la bolletta, e apro la busta con il sorriso sulle labbra, so di non aver oltrepassato la soglia dei 400 minuti, per cui mi appresto a gioire alla vista del solo canone mensile di 15 euro, più la tassa governativa che comunque mi verrà rimborsata.
Guardo l'importo e il sorriso sulle labbra permane, e ancora adesso mentre scrivo, mi è difficile togliermelo dalla faccia, praticamente una paresi: l'ammontare della bolletta è di 193 euro e moneta.
Ho un attimo di smarrimento e penso ad un errore, in effetti, penso, non ho avuto un gran risparmio da quast'operazione, e questo è impossibile, perché la mia compagnia telefonica mi ama, e mi vuole come utente, non mi farebbe mai nulla di tutto ciò.
Prima di tutto faccio la cosa che avrei dovuto fare all' inizio: controllo le condizioni dell'offerta sul sito. Scopro che la mia tariffa, fa riferimento ironicamente (suppongo) al rilassamento, anzi, la tariffa che più si avvicina alla mia fa riferimento al rilassamento, perché tra quelle presenti la mia non c'è.
Chiamo il numero verde, e un' altrettanto cortese operatrice mi dice che in effetti il mio piano tariffario differisce leggermente da quello sul sito, che prevede l'acquisto di un telefonino UMTS.
Io il telefonino già lo possedevo, per cui è ovvio che il piano tariffario differisca. In ogni caso sul sito, non si fanno cenni alla tassa governativa, così chiedo, e in effetti mi verrà rimborsata, sotto forma di "buono minuti di conversazione eccedente dai famosi 400 minuti".
"Scusi" obietto sempre timidamente, "ma nel caso che io non ecceda?"
"Ah, in quel caso allora è chiaro che purtroppo lei va a perdere il nostro rimborso!" mi dice comprensivamente lei.
In effetti è chiaro, penso, avrei dovuto immaginarlo, ora non so su quali basi, non mi viene in mente, ma sicuramente l'errore è mio, perché la mia compagnia telefonica è infallibile.
"Vedo anche che ci sono ben 31 euro di sms" dico all'operatrice... "è chiaro che gli sms sono esclusi dal canone di 15 euro, in quest'offerta... "
L'operatrice mi conferma che è ovvio, e io, guardando quel "31.00" sulla bolletta, non posso che convenire con lei che ora si, è piuttosto ovvio.
Ma... leggo che la tassa governativa è di 15 euro e qualcosa, ma nella bolletta sono 25...
"Si" conferma lei, "15 sono di un mese intero, 10 sono relativi ad una frazione di mese, il primo, da quando ho sottoscritto il contratto."
Concludo che ci sono 15 euro di tassa governativa al mese, rimborsati sotto forma di buono minuti conversazione telefonica eccedenti ai 400, che se però non sfrutto, pago.
"Ah, quindi il mio canone fisso, in quel caso, diventa di 30 euro, giusto?" chiedo, e all'altro capo del filo telefonico, un eloquente silenzio.
È chiaro.
"Vedo qui anche 11 euro di IVA, mi era stato detto che era compresa nel canone..."
"Sì, ma quella è l'iva riferita all' importo delle altre voci, se la calcola vedrà che è corretta!"
Non mi sarei mai sognato di dubitare, per cui proseguo.
Sulla bolletta spiccava inoltre la voce "anticipo conversazioni" di 103 euro, una sorta di "caparra", che mi verrà restituita al mio recedere del contratto, "voglio sperare non in buoni telefonici" dico all'operatrice in tono preoccupato, ma no, mi rassicura lei, mi ritorneranno sotto forma di assegno bancario, in un tempo variabile dai due mesi a... oltranza, mi pare di capire.
Ma come abbiamo ben visto, non sempre capisco bene ciò che le operatrici mi dicono, colpa della loro voce, che mi ammalia... sono una persona sensibile, cosa vi devo dire? Nel sito vedo anche scritto che possiamo controllare la nostra "posizione" (minuti eccedenti, minuti residui, profilo tariffario eccetera) al numero 4916.
Ho provato, ma mi si dice che il mio profilo non prevede quel servizio, ma è anche vero, che l'esatto profilo tariffario mio, sul sito non c'è, per cui è ovvio, (come per il resto) che devo attingere da qualche altra parte queste di informazioni, ma non saprei dire dove, in effetti non sono molto avvezzo a barcamenarmi nel mondo della telefonia mobile.
In ogni caso, concludo che quello che mi fa "rilassare" non è il piano tariffario che fa per me, e chiedo umilmente di tornare, solo dopo i primi due mesi, alla mia vecchia scheda prepagata.
L'operatrice mi dice che non c'è problema, può farlo subito, è molto comprensiva, ma io so che ora l'aspetta del lavoro inutile, del lavoro in più, oltre a quello che già sta facendo, per riportare il mio telefono alle condizioni precedenti, e questo solo perché io non ho saputo valutare bene l'offerta propostami dalla sua collega...
Mi spiace molto, mi scuso con la mia compagnia telefonica, per la mia incapacità di comprendere le ovvietà di questo meraviglioso mondo telefonico.

Lettera firmata
 

Analisi ISFOL sul part time

Al link seguente un corposo studio di 200 pagine in pdf sul part time e con molti riferimenti ai contact center

http://www.welfare.gov.it/NR/rdonlyres/edhfsc7d4bk634conm3uvpgxwcssyyj47czrv4xyt2qf5diesx3oe2urzwrttrdv75rejjs34ci4ie64k4gik7gqgvh/IsfolParttime.pdf

Il Nobel Stiglitz scrive a Beppe Grillo

“Caro Beppe, dall'Italia mi giungono notizie allarmanti: la legge sul primo impiego viene ritirata in Francia dopo poche settimane di mobilitazione studentesca e da voi la legge 30 resiste senza opponenti dopo anni. Permettimi allora una breve riflessione. Nessuna opportunità è più importante dell'opportunità di avere un lavoro. Politiche volte all'aumento della flessibilità del lavoro, un tema che ha dominato il dibattito economico negli ultimi anni, hanno spesso portato a livelli salariali più bassi e ad una minore sicurezza dell'impiego. Tuttavia, esse non hanno mantenuto la promessa di garantire una crescita più alta e più bassi tassi di disoccupazione. Infatti, tali politiche hanno spesso conseguenze perverse sulla performance dell'economia, ad esempio una minor domanda di beni, sia a causa di più bassi livelli di reddito e maggiore incertezza, sia a causa di un aumento dell'indebitamento delle famiglie.

Una più bassa domanda aggregata a sua volta si tramuta in più bassi livelli occupazionali. Qualsiasi programma mirante alla crescita con giustizia sociale deve iniziare con un impegno mirante al pieno impiego delle risorse esistenti, e in particolare della risorsa più importante dell'Italia: la sua gente. Sebbene negli ultimi 75 anni, la scienza economica ci ha detto come gestire meglio l'economia, in modo che le risorse fossero utilizzate appieno, e che le recessioni fossero meno frequenti e profonde, molte delle politiche realizzate non sono state all'altezza di tali aspirazioni. L'Italia necessita di migliori politiche volte a sostenere la domanda aggregata; ma ha anche bisogno di politiche strutturali che vadano oltre - e non facciano esclusivo affidamento sulla flessibilità del lavoro. Queste ultime includono interventi sui programmi di sviluppo dell'istruzione e della conoscenza, ed azioni dirette a facilitare la mobilità dei lavoratori. Condividiamo l'idea per cui le rigidità che ostacolano la crescita di un'economia debbano essere ridotte. Tuttavia riteniamo anche che ogni riforma che comporti un aumento dell'insicurezza dei lavoratori debba essere accompagnata da un aumento delle misure di protezione sociale.
Senza queste la flessibilità si traduce in precarietà.
Tali misure sono ovviamente costose. La legislazione non può prevedere che la flessibilità del lavoro si accompagni a salari più bassi; paradossalmente, maggiore la probabilità di essere licenziati, minori i salari, quando dovrebbe essere l'opposto. Perfino l'economia liberista insegna che se proprio volete comprare un bond ad alto rischio (tipo quelli argentini o Parmalat, ad alto rischio di trasformazione in carta straccia), vi devono pagare interessi molto alti.

I salari pagati ai lavoratori flessibili devono esser più alti e non più bassi, proprio perché più alta è la loro probabilità di licenziamento. In Italia un precario ha una probabilità di esser licenziato 9 volte maggiore di un lavoratore regolare, una probabilità di trovare un nuovo impiego, dopo la fine del contratto, 5 volte minore e che fino al 40% dei lavoratori precari è laureato. Ma se li mettete a servire patatine fritte o nei call center, perché spendere tanto per istruirli? Grazie per l'ospitalità.”Joseph E. Stiglitz

Se vuoi seguire il dibattito vedi http://www.beppegrillo.it/2006/04/gli_schiavi_mod_3.html

sabato 17 giugno 2006

Passato e futuro

Tutto a puttane (categoria: "Lavoro")
Mercoledì 14 giugno 2006 - ore 01.23

Sono appena stato sul sito di generazione 1000 euro...di solito m trattengo ma stavolta mi sfogo..ho una laurea(seppur triennale) in scienze politiche da ormai un anno..voto 107/110..in quest’anno i due lavori che mi sono piu o meno piaciuti sono stati il call center della tim al 119 di PD est e il lavoro che ho attualmente..commesso di punto vendita in un negozio di cellulari tim...praticamente sotto casa..lavoro mi piace molto..faccio anche piu di 8 ore al giorno senza straordinari ma non mi pesano...quello che mi garba poco e’ che quando va bene prendo 1000 euro al mese. non e’ perche sono appena entrato..il mio caponegozio con 15 anni di esperienza alle spalle prende poco di piu..ORA DICO..SECONDO VOI E’ POSSIBILE UNA PROSPETTIVA DI VITA CON 1000 EURO AL MESE E’ POCO PIU?MI DEVO QUINDI ACCONTENTARE DI ESSERE A LIVELLO PIU BASSO DEI MIEI GENITORI?DEVO RASSEGNARMI AD AVERE POCHE ROBE COME MI CONSIGLIANO?IO NON VOGLIO!!!!!!!!!!!!!!!!!!NON VOGLIO ESSERE COSTRETTO OGNI GIORNO A SCEGLIERE SE COMPRARE IL GIORNALE O IL CAFFE.NON VOGLIO DOVERMI PER FORZA PRENDERE COSE BRUTTE SOLO PERCHE A BASSO COSTO.NON MI PIACE.LO REPUTO UMILIANTE..PER ME E PER I MIEI...COSA CAZZO MI HANNO MANDATO A FARE ALL’UNIVERISITA SPENDENDO BARCHE DI SOLDI SE POI HO LA STESSA PROSPETTIVA E LIVELLO DI VITA DI UNO CHE HA SOLO LA MATURITA’???? PERCHE?PERCHE CIO? perche questo paese non sa offrirmi cio che ha offerto in passato ai miei genitori e ai miei nonni cioe una prospettiva di vita migliore di quella attuale?

temo per il mio futuro..
si accdettano commenti.ps:domani altra giornata di lavoro.meno male che i colleghi mi fanno ridere se no ci sarebbe da piangere buonanotte
 
dal blog di profugaton

Come TELECOM...bino (e noi a ricordare il povero D.Lgs.196/2003)

Dall'Inter a Telecom i 100mila file degli spioni
 
di GIUSEPPE D'AVANZO
 
Ricordate lo spionaggio contro Piero Marrazzo e Alessandra Mussolini? Era soltanto un capitolo della spy story che coinvolge la Telecom e che ora si arricchisce anche di un capitolo calcistico. Ma la vera notizia è che l'intero archivio illegale è stato finalmente trovato e quel che si immagina da tempo diventa purtroppo una realtà che inquieta. Gli spioni privati, ingaggiati e pagati da Pirelli e dalla sua controllata Telecom Italia, hanno raccolto migliaia di "fascicoli" sul conto di politici, uomini di finanza, banchieri e finanche su arbitri e manager di calcio.

I più prudenti e discreti, tra gli interlocutori, sono disposti a dire che "i file raccolti illegalmente sono decine e decine di migliaia". Altre fonti offrono un numero tondo: "I file sono centomila".

Gli uni e le altre concordano che una "schedatura" così ramificata non s'è mai vista dai tempi del Sifar del generale Giovanni De Lorenzo. Ora l'"archivio" è all'esame della procura di Milano. Che, dopo molti tentativi infruttuosi, è riuscita a entrare nella memoria di un computer difeso con dieci livelli di protezione e scovato quasi per caso.
I tecnici dei pubblici ministeri sarebbero forse ancora al lavoro se l'ultima, decisiva password non fosse stata fornita proprio dallo "spione" capo, Emanuele Cipriani, 45 anni, boss di un'importante agenzia d'investigazione, la Polis d'Istinto, da tre lustri al centro di un network d'intelligence messo su da Giuliano Tavaroli, 46 anni, già responsabile della sicurezza di Telecom.

Entrambi sono accusati di "associazione per delinquere finalizzata alla rivelazione del segreto istruttorio" (da una costola di quest'inchiesta sono già saltate fuori le manovre storte contro Piero Marrazzo e Alessandra Mussolini).

Il pasticcio spionistico incrocia anche lo scandalo del calcio. Per quanto racconta Emanuele Cipriani ai magistrati, nei file illegali della Polis d'Istinto ci sono alcuni dossier raccolti, su input dell'Inter di Massimo Moratti e ordine di Marco Tronchetti Provera, contro l'arbitro Massimo De Santis, il direttore sportivo di Messina e Genoa Mariano Fabiani, il direttore sportivo del Catanzaro Luigi Pavarese. La scoperta ha amareggiato (e irritato) molto la Procura di Milano.

Ai pubblici ministeri, tre anni fa, è stata segnalata la confessione che l'arbitro Danilo Nucini affida "in privato" al presidente dell'Inter, Giacinto Facchetti. La "giacca nera" racconta "il metodo Moggi"; le pratiche occulte utilizzate per aggiustare i risultati prima della partita; le modalità e i luoghi degli incontri clandestini del direttore della Juve con gli arbitri "addomesticati". Addirittura indica i numeri di telefono "coperti" utilizzati dalla "banda" per comunicare in sicurezza. Facchetti invita Nucini a incontrare i magistrati. L'arbitro non ne vuole sapere, non se la sente di strappare il velo. Il presidente dell'Inter insiste. Pena un po'. Alla fine, la spunta. Nucini va in procura, ma è un buco nell'acqua. L'arbitro non conferma le sue accuse. Tocca ora a Facchetti. Se la sente di diventare attore della denuncia riferendo ai magistrati le rivelazioni di Nucini, peraltro registrate dal presidente dell'Inter? Facchetti affida la decisione al patron della squadra, Massimo Moratti. Che esclude la testimonianza per non "compromettere" il presidente del club. La storia sembra morta lì. Invece continua per vie oblique (da qui l'irritazione della procura che si sente oggi utilizzata e gabbata dall'Inter).

Il club neroazzurro si rivolge alla rete spionistica di Telecom, alla Polis d'Istinto di Emanuele Cipriani, per venire a capo della presunta corruzione di Massimo De Santis, indicato da Nucini come uno dei protagonisti dei trucchi. Il Corriere della Sera ha già svelato la nota di accompagnamento dell'indagine spionistica: "Con il presente report siamo a riportare quanto emerso dall'attività di intelligence attualmente in corso a carico di Massimo De Santis e della di lui coniuge, sviluppata al fine di individuare eventuali "incongruità" in particolare dal punto di vista finanziario e patrimoniale a carico del soggetto di interesse".

L'incrocio della storia con lo scandalo del calcio finisce qui e appare tutto sommato marginale nell'imponente schedatura illegale che i magistrati scoprono nel computer "aperto" da Cipriani. "Decine e decine di migliaia di fascicoli" ("centomila"?) svelano un lavoro accuratissimo portato avanti con la collaborazione di pubblici funzionari infedeli capaci di violare le banche dati del Viminale, della Banca d'Italia, degli uffici della pubblica amministrazione.

Le schede hanno un loro preciso canone. Si interrogano le conservatorie dei registri immobiliari, gli archivi notarili, il pubblico registro automobilistico, il registro navale, l'anagrafe tributaria. Si scava negli istituti di credito, nei fondi di investimento, nelle società finanziarie. Si annotano i soggiorni all'estero, la presenza abituale in luoghi di villeggiatura. Quasi sempre, gli accertamenti sono estesi al coniuge o ai figli, alle persone fisiche o giuridiche, società, consorzi, associazioni del cui patrimonio il poveretto "schedato" risulta poter disporre "in tutto o in parte, direttamente o indirettamente". I file si arricchiscono dei tabulati telefonici del maggiore gestore italiano di telefonia - sono documenti che permettono di ricostruire l'intera mappa dei contatti del "soggetto di interesse" - in qualche caso, delle intercettazioni della magistratura perché Giuliano Tavaroli ha controllato, fino a qualche tempo fa, il Centro nazionale autorità giudiziaria (Cnag) dove transitano tutte le richieste d'intercettazione dell'autorità giudiziaria.

In teoria, dunque, le schede degli spioni possono raccogliere anche intercettazioni abusive perché è possibile attivare una "linea di ascolto" senza decreto giudiziario in quanto a priori non c'è alcun controllo (soltanto a posteriori è possibile risalire alla traccia che lascia l'attivazione della linea di intercettazione: sono le tracce che i magistrati ora stanno cercando).
Lo schema d'investigazione appare molto simile, se non identico, alle indagini per mafia o riciclaggio. Anche nel caso delle schedature illegali, infatti, l'obiettivo degli "spioni" è l'accertamento di una sproporzione tra i redditi dichiarati e i beni posseduti.

Con un vantaggio rispetto alle polizie: la Polis d'Istinto appare in grado misteriosamente di compiere senza difficoltà anche accertamenti patrimoniali all'estero.
Ora bisogna chiedersi chi è stato spiato, per conto di chi, che uso è stato fatto dei dossier o se ne voleva fare? Sono domande che spingono su un sentiero molto scivoloso. Tutte le fonti vicine all'inchiesta sono restìe ad azzardare una qualche conclusione, anche se approssimata. L'indagine, dicono, è ancora in corso.
Si sa però che l'archivio illegale raccoglie più o meno i nomi dell'intera classe dirigente - politico, economica, finanziaria - del Paese. Ci sono tutti i protagonisti della scalata di Bpi ad Antonveneta e di Unipol a Bnl, per dire. Gli industriali e i finanzieri che scalarono nel 1999 la Telecom. I politici e gli uomini di governo che guardarono con interesse a quell'operazione.

Emanuele Cipriani sostiene che il suo lavoro è stato regolarmente commissionato, attraverso Giuliano Tavaroli, dal presidente Marco Tronchetti Provera. Ma è vero? O è vero che, confidando nel loro incarico ufficiale, Cipriani e Tavaroli si sono messi, con il tempo, in proprio schedando obiettivi ("soggetti di interesse") selezionati di volta in volta da altri misteriosi "clienti" o così fragili da poter essere ricattati e "condizionati"?

Emanuele Cipriani rintuzza i dubbi mostrando le fatture regolarmente emesse da Pirelli-Telecom, anche se per prestazioni definite negli archivi delle società in modo molto generico. Più o meno quattordici milioni di euro, anche se Cipriani preferisce farsi pagare in sterline e a Londra. Da dove curiosamente il denaro comincia a muoversi come in un vortice. Montecarlo. Svizzera. Infine, l'approdo in un conto della Deutsche Bank del Lussemburgo, intestato alla Plus venture management, società off shore con base nel paradiso fiscale delle Isole Vergini britanniche. Che necessità c'è di far fare a quel denaro, compenso di regolare contratto di consulenza/collaborazione, il giro del mondo? Per quel che se ne sa, non è la sola domanda che non trova ancora una risposta. Ce n'è un'altra, forse più importante. Se è Marco Tronchetti Provera a commissionare quei dossier, perché alcuni fascicoli riguardano lo stesso Tronchetti e gli affari di sua moglie Afef? Anche loro, i "padroni" della Telecom, potevano essere sottoposti a pressioni? In questo caso, chi davvero muoveva la mano degli spioni. Soltanto l'avidità personale o altri "clienti" desiderosi di indirizzare le mosse del presidente di Pirelli/Telecom? La storia del grande archivio spionistico e illegale della Seconda Repubblica è ancora tutta da scrivere.

Fonte: Repubblica 23 maggio 2006 http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/cronaca/spionaggio-calcio/spionaggio-calcio/spionaggio-calcio.html
 
 
"Telecom schedava gli ex clienti che cambiavano operatore"
 La corte di appello di Milano "Violate norme sulla concorrenza"
di CARLO BONINI

ROMA - Telecom Italia ha schedato migliaia di ex clienti passati ad altri operatori telefonici. Ha acquisito e utilizzato informazioni privilegiate che li riguardavano (profili anagrafici, domicili, utenze, consumi telefonici, propensioni alla spesa) "in violazione di precisi obblighi legali e regolamentari". Lo ha fatto "con pratiche abusive", "in violazione delle norme sulla concorrenza" e "con mezzi non obiettivamente giustificabili".

Così sono andate le cose nella più grande azienda telefonica del Paese. Quantomeno a fini commerciali. Per spezzare l'offensiva di un aggressivo concorrente, Fastweb. Lo scrive nella sua ordinanza, firmata il 2 maggio scorso e depositata il 16, Filippo Lamanna, giudice della prima sezione della Corte di appello civile di Milano. Quarantaquattro pagine che documentano un abuso ai danni di migliaia di consumatori. Ne ordinano "l'immediata cessazione". Fissano una sanzione di 500 euro per ogni singolo illecito che dovesse ripetersi. Avvisano Telecom del possibile approdo dell'affare: "Poiché il trattamento illecito di dati riservati è fonte di molteplici fattispecie di reato, punibili anche con la reclusione, ci si riserva la decisione di comunicare o meno quanto emerso alla competente autorità di indagine penale".

Vale a dire alla Procura di Milano che - come ha rivelato "Repubblica" il 23 maggio scorso - dell'uso di informazioni riservate e violazione della privacy si sta già occupando nell'indagine a carico di Emanuele Cipriani, investigatore privato a contratto liquidato da Telecom con 14 milioni di euro su conti esteri e nei cui computer sono saltati fuori migliaia di dossier abusivi sull'intera classe dirigente italiana. Ma veniamo dunque a quanto documentato nell'ordinanza di Lamanna.

Tra il dicembre 2005 e il marzo di quest'anno, Fastweb e Telecom Italia finiscono in tribunale. I due operatori telefonici si accusano a vicenda di concorrenza sleale e di abuso di posizione dominante nel mercato della telefonia fissa. All'apparenza è materia per addetti che ha a che fare con il dumping sulle tariffe tra i due maggiori concorrenti sul mercato. In realtà, al nocciolo della storia c'è dell'altro.

Il giudice Lamanna acquisisce un'intervista rilasciata nella primavera 2004 da Leonardo Mangiavacchi, responsabile del "Customer insight Management" di Telecom, a "Insight", periodico on-line di "Business intelligence". Il manager spiega: "Telecom ha avviato un'attività diretta a ottenere segmentazioni estremamente spinte della clientela. Siamo arrivati a ragionare su "cluster" molto piccoli incrociando un enorme numero di informazioni. La nostra prima attività è stata la razionalizzazione dei processi informativi, in particolare relativi al traffico telefonico".

Le coordinate indicate dal dirigente Telecom, nello svelare una strategia aziendale per il recupero di quote di mercato fotografano quel che in concreto, da mesi, avviene nelle case di migliaia di consumatori che hanno disdetto il loro contratto con Telecom e sono passati a Fastweb. Ricevono telefonate dai call center Telecom con l'invito a tornare al vecchio operatore. Per convincerli, i venditori Telecom offrono tariffe che calzano come un guanto sulle loro esigenze. Chi chiama da quei call center - documenta l'ordinanza - dimostra di conoscere perfettamente oltre ai nominativi, "i consumi pregressi e i profili di propensione alla spesa dei clienti passati alla concorrenza". Di loro, gli uomini del "recupero clienti" Telecom sanno tutto. Quanto telefonano, verso quali apparecchi, in quale zona d'Italia. Se utilizzano o meno la banda larga internet. Conoscono, soprattutto, a quale nuovo operatore si sono affidati.
Come è possibile?

Il giudice Lamanna si fa curioso. Scrive: "Un cliente Fastweb cessa di avere rapporti con il gestore di provenienza, Telecom. Infatti, sia la linea, quanto il traffico, sono gestiti ex novo dal nuovo operatore, che ha realizzato una propria infrastruttura. Nuova ed autonoma, di cui fa parte anche il "doppino in rame" del cosiddetto ultimo miglio. Telecom non dovrebbe dunque sapere che quel doppino è attivo con un altro operatore". E invece lo sa. Perché? "Se lo sa - scrive il giudice - sta abusando di un'informazione acquisita altrimenti".

Dove?
Telecom sostiene di aver attinto ad "archivi pubblici": "le Pagine Bianche" e "l'elenco dei clienti Fastweb su internet". Il giudice Lamanna accerta le due circostanze come false. Scrive: "Le Pagine Bianche non contengono alcuna informazione sulle caratteristiche dei clienti e sulla loro propensione al consumo o sull'uso della banda larga". Aggiunge: "Il sito Fastweb ha consentito fino alla primavera 2005 di trovare il numero di un abbonato, ma soltanto conoscendone già il nome". E dunque e ancora: dove ha pescato le sue informazioni Telecom?

Se ne era già in possesso, la legge gli avrebbe imposto di distruggerle a contratto rescisso. Se non le aveva, deve averle pescate nella "Base Dati Unica", che raccoglie i dati sui consumatori così come comunicati da tutti gli operatori con licenza di rete fissa o mobile. Ma a quell'archivio si può accedere "esclusivamente per finalità di sicurezza e gestione". Se è qui che Telecom ha attinto, la violazione diventa doppia.

Delle conclusioni di Lamanna abbiamo detto. La replica di Telecom arriva nella serata di ieri. In mattinata, Repubblica aveva formulato quattro domande: "Quali sono le regole per la trattazione dei dati sensibili?" "Le informazioni sugli ex clienti vengono distrutte e in questo caso con quale cadenza temporale?" "Quali uffici aziendali hanno accesso a queste informazioni?" "I responsabili della sicurezza Telecom hanno accesso alla Base Dati Unica?". Ecco la risposta: "Si sta valutando l'eventuale impugnazione dell'ordinanza e dunque non abbiamo altro da aggiungere a quanto già comunicato il 16 maggio. Non sono mai stati utilizzati i dati degli ex clienti e l'azienda non ha promosso alcuna campagna riservata all'attuale clientela Fastweb".

Una sola annotazione di fatto. Agli atti del processo di Milano, figurano due documenti riservati della Divisione commerciale Telecom: "Lista di marketing su 7732 clienti residenziali romani Fastweb"; "Lista di marketing su clienti business platinum". I clienti sono classificati in "fasce". Per volume di traffico telefonico, spesa e, naturalmente, gestore cui si sono rivolti. Fastweb, appunto.

Fonte: Repubblica 25 maggio 2006 http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/cronaca/spionaggio-calcio/telecom-fastweb/telecom-fastweb.html
 
 
Il silenzio sulle schedature Telecom
di GIUSEPPE D'AVANZO
"È sufficientemente provato che Telecom ha posto in essere pratiche abusive attraverso l'impiego sistematico di informazioni privilegiate, acquisite in violazione di precisi obblighi". Lo scrive in un'ordinanza la Corte d'Appello di Milano, appena venti giorni fa. Accade questo. Il vecchio monopolista delle comunicazioni controlla ancora in modo esclusivo la Base Dati Unica, l'archivio informatico che custodisce le informazioni su tutti i clienti di telefonia fissa e mobile del Paese. In teoria, l'accesso alla banca dati è legittimo soltanto "per finalità di sicurezza e gestione". Telecom, al contrario, cede alla tentazione del passo storto. Ci mette le mani per difendere i suoi affari.

Quando un concorrente si fa troppo intraprendente, i tecnici di Telecom fanno qualche ricerca abusiva nella banca dati. Estraggono dati anagrafici e patrimoniali. Li selezionano per volume di traffico e propensione al consumo. Selezionano in "microfasce" i consumatori più preziosi che hanno rinunciato ai servizi della società. Partono alla riconquista. In possesso di informazioni e dati che non dovrebbe avere, la rete di vendita contatta il cliente trasmigrato e propone servizi a condizione di favore. I giudici hanno ordinato ora alla Telecom di astenersi da questi "comportamenti abusivi".

In attesa di valutare i possibili reati penali, la decisione della magistratura protegge, per il momento, solo la corretta concorrenza ma propone anche altre più gravi questioni. In ragione di qualche fatto.

E' possibile per la Telecom una sorveglianza, per campione, su vasta scala o generale, delle telecomunicazioni dei cittadini e il controllo delle tracce tecnologiche che lasciamo nel corso delle nostre giornate (telefono fisso, cellulare, internet, e-mail) quindi di consumi, trasferimenti e contatti. L'accesso a questi dati dovrebbe essere possibile soltanto per "finalità di sicurezza". Ma non è chiaro (soprattutto con l'abuso che si è fatto in questi anni delle "ragioni di sicurezza") chi decide e chi controlla che siano rispettate le condizioni indispensabili affinché l'accesso sia legittimo.

L'ordinanza della magistratura ci dice che se ne è abusato per fini commerciali. Domanda ragionevole: se ne può abusare e se ne abusa per altri fini? Come è chiaro, sono questioni di interesse vitale per libertà, diritti e democrazia, ma Telecom Italia non sembra darsene per inteso. Quando il 16 maggio diffonde una nota per dar conto delle severe conclusioni del giudice, nega l'evidenza e scrive: "Sulle strategie applicate da Telecom Italia, la società precisa che non sono mai stati utilizzati i dati di ex-clienti...". E' l'esatto contrario di quanto si legge nell'ordinanza del giudice milanese. E', diciamo, una variazione falsaria.
Dunque, si deve concludere che conviene diffidare delle prese di posizione di Telecom (ieri sono state necessarie quasi dieci ore per avere nessuna risposta a qualche domandina di routine). La società controllata dalla Pirelli pare mettere insieme i difetti dell'impresa pubblica e le debolezze dell'impresa privata. Della prima conserva l'arroganza del monopolista che non deve rendere conto di quel che fa. Della seconda, l'autoreferenzialità del proprio interesse.

La stessa trama si scorge quando salta fuori che un'agenzia d'investigazione (la Polis d'Istinto), per lunghi anni al servizio ben retribuito di Telecom , ha raccolto illegalmente decine di migliaia di files (forse addirittura centomila). La reazione di Telecom è stravagante. Minacciando azioni legali "inflessibili" invita i media a non riprendere "le illazioni", formula farfallina per definire la notizia che c'è un'inchiesta in corso e che la magistratura sta cercando di capire chi ha ordinato e pagato e per quale fine le schedature abusive (finanche di gente del calcio). Telecom conclude "auspicando che l'autorità giudiziaria possa fare quanto prima la dovuta chiarezza". Altra stravaganza. Ci si sarebbe potuto aspettare che Telecom rivelasse la sua attiva e attuale collaborazione all'indagine o l'impegno pubblico a iniziarla, al più presto e con efficacia. In fondo, la Polis d'Istinto è stato un "fornitore" Telecom. Per di più, infedele perché nel tempo ha schedato anche gli affari di famiglia della moglie del presidente Marco Tronchetti Provera. Invece, niente di tutto questo. Soltanto quel ditino minaccioso nell'aria che ottiene lo scopo. Del pasticcio, la stampa italiana non se ne occupa (se si esclude il comitato di redazione della "7"). Ci si potrebbe attendere almeno l'interesse del ceto politico e l'avvio di una discussione pubblica.

Niente anche da questa parte. Encefalogramma piatto. Abituali chiacchieroni scelgono il silenzio. Chi apre la bocca, come il ministro Clemente Mastella, lo fa soltanto per dirsi dispiaciuto di quanto è accaduto "alla sua amica Afef" (che sarebbe poi la moglie del presidente di Pirelli/Telecom). E le altre vittime? E i prossimi "obiettivi" degli spioni? E il controllo o l'autoregolamentazione del "sistema"? La politica italiana non sembra interessata a comprendere come possono cambiare (e come si possono proteggere) i comportamenti individuali e collettivi sottoposti allo sguardo onnipresente della tecnologia. Come si possono mettere in sicurezza i nostri spazi di libertà assediati dalla sorveglianza continua. Da queste colonne Stefano Rodotà lo ripete da anni, la deriva tecnologica trasforma non soltanto le forme dell'organizzazione sociale, ma incide sul sistema delle libertà e dei diritti e dunque sulla qualità della democrazia. Non è il caso di avere su questi temi - e a partire da una conoscenza meno manipolata di quanto è accaduto e accade - una discussione pubblica, politica e istituzionale? O il ceto politico crede che davvero ogni cosa andrà al posto giusto per le dinamiche di mercato e con qualche delega a volenterose autorità di garanzia? O si crede di poter affidare ogni controllo di legalità, salvo poi lamentarsene, a una magistratura che interviene quando il danno è già stato combinato e patito?

Fonte: Repubblica 25 maggio 2006 http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/cronaca/spionaggio-calcio/silenzio-su-schedature/silenzio-su-schedature.html
 
 
Politici e imprenditori spiati
Dimesso l'ex capo sicurezza Telecom
 
ROMA - L'indagine della Procura di Milano sull'attività di schedatura illegale dell'intera classe dirigente del Paese (decine di migliaia di file sul conto di manager, uomini politici, imprenditori) arriva al cuore di Telecom Italia. E l'uomo che di questa indagine è il fulcro, Giuliano Tavaroli, rassegna le proprie irrevocabili dimissioni dal gruppo. Già responsabile della sicurezza aziendale e di quella personale del suo presidente Marco Tronchetti Provera, Giuliano Tavaroli è oggi indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l'acquisizione di informazioni coperte dalla privacy. Un reato più grave di quello per il quale, 12 mesi fa, era stato iscritto una prima volta nel registro degli indagati della Procura di Milano (concorso in appropriazione indebita).

L'accusa gli viene contestata in ragione del lavoro che in questi anni ha svolto per la più grande azienda telefonica del Paese. Dunque, del libero accesso che ha avuto, in qualità di direttore della struttura, al "Cnag", il centro di ascolto Telecom sulle utenze intercettate per ordine dell'autorità giudiziaria. Del suo rapporto diretto con la "Polis d'Istinto" di Emanuele Cipriani, società di investigazioni private cui la Telecom ha appaltato negli ultimi anni attività di indagine e sicurezza per almeno 14 milioni di euro, cui la Telecom deve ancora del denaro e che, si è scoperto ora, custodiva in un dvd un archivio clandestino: decine di migliaia di file per altrettanti dossier raccolti illegalmente. Un materiale immenso, che la Procura di Milano ha appena cominciato a riversare su carta e che, al momento, somma 35 mila fogli.

Il Presidente di Telecom, Marco Tronchetti Provera, ha voluto Tavaroli al suo fianco fino alla fine. Lo aveva formalmente parcheggiato da qualche tempo in "Pirelli", in un angolo poco esposto. A far nulla, ufficialmente. Se non attendere di vedere quale verso avrebbe preso l'inchiesta e, soprattutto, che ne sarebbe stato degli accertamenti sulla "Polis d'Istinto" di Emanuele Cipriani, porta d'accesso a Telecom. In realtà, Tavaroli conservava il suo ufficio in piazza degli Affari, continuava a intervenire sui temi della security nei corsi di formazione dei dirigenti. Sapeva di non dovere spiegazioni e di poter dunque ancora rispondere con un'alzata di spalle e più di un'omissione alle domande di qualche ficcanaso.

È storia del marzo scorso. Sono i giorni dello svelamento dell'attività di spionaggio in danno di Piero Marrazzo, candidato dell'Unione alle elezioni regionali del Lazio, e di Giovanna Melandri (oggi ministro). Il nome di Emanuele Cipriani e della sua "Polis d'Istinto" fiorisce negli atti di quell'inchiesta e il "Sole 24 Ore" (21 marzo) decide di bussare alla porta dell'amico più importante di Cipriani. Tavaroli, appunto. "Non mi occupo più di questioni legate alla sicurezza - dice lui - perché purtroppo, da quasi un anno, sono fuori da Telecom e mi occupo di pneumatici in Romania". "Sono stupito dal modo in cui si fa giornalismo in Italia - ammonisce - E non capisco perché il "Sole 24 ore", che sin qui si è distinto per non essersi occupato della vicenda "Polis d'Istinto", non continui a non occuparsene vista la banalità del soggetto".

Di banale non c'è proprio nulla nella storia e nelle attività della "Polis d'Istinto", nei rapporti della società con Telecom Italia e nel legame tra Emanuele Cipriani e Giuliano Tavaroli. Perché in quei giorni di marzo, non c'è un solo protagonista di questa storia che non sappia cosa bolle in pentola. La Procura di Milano ne ha la prova quando sequestra in casa di un collaboratore di Cipriani un dvd protetto da una password, che Cipriani offre volontariamente ai pubblici ministeri che lo interrogano. Ne salta fuori l'archivio dell'intera attività di intelligence clandestina che Cipriani ha svolto con la sua "Polis d'Istinto" e con almeno altre due società di investigazione privata con sede all'estero. Una miniera di nomi e di file di cui si è detto. Un pozzo senza fondo di informazioni sensibili (personali e patrimoniali) attinte da banche dati che dovrebbero custodire la segretezza della vita privata e di relazione di ciascun cittadino (le persone con cui si parla al telefono, con cui si fanno affari, cui si è legati da rapporti di amicizia o frequentazione).

L'investigatore privato viene interrogato tre volte e per tre volte i suoi verbali vengono secretati. Quali risposte dia alle contestazioni specifiche dei pubblici ministeri sul contenuto del suo mastodontico archivio non è dunque dato sapere. Ma se ne conosce la sostanza. Cipriani indica il committente di quel lavoro: Telecom Italia. Fa il nome del suo referente in quell'azienda: Giuliano Tavaroli, responsabile della sicurezza aziendale. I pubblici ministeri informano l'investigatore che il reato per cui procedono nei suoi confronti si fa più grave: associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l'acquisizione di notizie coperte dalla privacy. Che l'indagine penale conoscerà un'ulteriore proroga di sei mesi. E non è una buona notizia né per Cipriani, né per Tavaroli né per gli altri sospettati del reato di associazione a delinquere di cui oggi non si conosce l'identità ma sui cui nomi i due amici potrebbero avere qualche idea.

In Telecom sono giorni terribili. Ma, forse, non soltanto lì. L'inevitabile e definitivo addio di Giuliano Tavaroli, la disponibilità di Cipriani a rispondere alle domande dei pubblici ministeri di Milano, si incastrano se non altro cronologicamente con il destino di un terzo uomo, che ai primi due è legato da vincoli di antica amicizia e frequentazione. Il 15 maggio, mentre il governo Berlusconi sta chiudendo gli scatoloni a Palazzo Chigi, il direttore del controspionaggio del Sismi, Marco Mancini, accompagnato dal suo direttore Nicolò Pollari, ha un colloquio con il sottosegretario Gianni Letta. Quando ne esce, comunica un periodo di congedo di 30 giorni per ragioni di salute. Raccontano di una discussione difficile. Di una richiesta rivolta a Mancini e da Mancini rifiutata di abbandonare la direzione del controspionaggio. Perché? C'entra forse qualcosa il precipizio che si è aperto di fronte a Cipriani e Tavaroli? C'entrano qualcosa le relazioni d'ufficio che l'intelligence politico-militare aveva con Tavaroli in qualità di direttore del "Cnag"? O, ancora, c'entra qualcosa il rapporto simbiotico che Mancini aveva con Tavaroli (negli anni '80, i due hanno cominciato la loro carriera nel nucleo anticrimine dei carabinieri di Milano, dove venivano chiamati "i gemelli")?

Il tempo aiuterà forse a sciogliere queste domande. Intanto, una circostanza può essere annotata. Nel luglio del 2005, quando già da due mesi la Procura di Milano indagava sul suo conto, un ordine di servizio Telecom incaricava Giuliano Tavaroli di "responsabile della gestione e prevenzione delle eventuali crisi collegate ai rischi di terrorismo internazionale".


Fonte: Repubblica, 26 maggio 2006 http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/cronaca/spionaggio-calcio/dimissioni-capo-sicur/dimissioni-capo-sicur.html