clikka per ingrandire
sabato 24 dicembre 2005
giovedì 15 dicembre 2005
martedì 6 dicembre 2005
lunedì 21 novembre 2005
venerdì 18 novembre 2005
Quei 3 minuti senza volto

LA DENUNCIA
SEGNALARE, AD ESEMPIO, GUASTI O ADDEBITI IN BOLLETTA PER SERVIZI MAI RICHIESTI ASSICURA UN’ODISSEA KAFKIANA
SEGNALARE, AD ESEMPIO, GUASTI O ADDEBITI IN BOLLETTA PER SERVIZI MAI RICHIESTI ASSICURA UN’ODISSEA KAFKIANA
Su 'la stampa', p.34 del 29/10/2005 è comparso questo articolo:
La Telecom senza volto e il 187 senza risposte
D’accordo, la Sip è roba vecchia quanto il mondo. Viviamo nell’era dell’economia impalpabile e le telecomunicazioni sono per definizione il più evanescente dei beni. Ma una faccia il signor Telecom ce l’avrà oppure no? Lui che vende l’accesso alla mirabolante autostrada telefonica, possiede un numero che non sia quello virtuale di un call center? Perché invece, i disagi degli utenti sono tangibilissimi. Non solo di quelli Telecom, ovviamente. Ma trattandosi del gestore leader nel settore, risponde della maggioranza dei contratti e delle lamentele. Servizi di segreteria mai richiesti e addebitati in bolletta, apparecchi obsoleti sostituiti con modernissimi videotelefoni messi in conto a sorpresa, allacci tardivi. Contrattempi reali che diventano grottescamente surreali quando dall’altro capo del filo risponde una voce senza volto e senza capacità d’intervento che però s’impegna ad inoltrare la rimostranza al più presto. L’avventura dell’utente frustrato infatti, inizia poco dopo la scoperta del guasto o della bolletta approssimata, di solito, per eccesso. «Il 187 è un numero fatto di persone», recita la pubblicità sul sito internet della Telecom. Come no. Il sistema, in teoria, è elementare: «Per guasti alla linea fissa digiti 3, per consultare lo stato dei pagamenti digiti 4, per qualsiasi altra esigenza digiti 0». Fiducioso, l’utente segue le istruzioni. Certo, sarebbe stato meglio parlare con un umano, ma anche la tecnologia avrà dei vantaggi. L’operatore, che di solito si presenta con un codice, prende nota e avvia la pratica. Tutto qui? Cade la linea. Inutile ritentare: dieci volte su dieci risponderà una voce diversa, magari dalla lontana Trapani, costringendovi a rispiegare il vostro caso da capo. Off records, un impiegato del 187 di Torino rivela che ogni cliente ha diritto a 3 minuti d’ascolto e neppure un secondo di più. A tempo scaduto, avanti un altro. Inutile sperare d’ottenere così il numero di telefono di un responsabile: i lavoratori dei call center dicono quanto sanno, che, nella catena d’una azienda globalizzata, è a malapena il proprio compito e il nome del vicino di scrivania. Nella sezione contatti però, il sito www.187.it indica la direzione generale di Roma: 06 36881. L’utente, frustrato ma non ancora vinto, insiste. La procedura è lenta, le segretarie ti filtrano come se fossi uno studente della scuola sperimentale di cinematografia che vuole consegnare la sua sceneggiatura a Nanni Moretti, l’attesa snervante, ma alla fine qualcuno si fa avanti. Chi? Impossibile avanzare ipotesi. Nessuno vuol mettere il suo volto a fare da parafulmine alle lamentele dei clienti. A questo punto il problema tangibilissimo passa in cavalleria: da Roma non possono certo correggere una bolletta sbagliata, per quello, nemmeno a dirlo, c’è il 187. La conversazione almeno è l’occasione per capirci qualcosa di più. Perché per esempio è tanto difficile parlare con un signor Telecom in carne e ossa? «Perché sarebbe paradossale che un’azienda di telecomunicazioni aprisse sportelli sul territorio: gli interventi si effettuano tranquillamente a distanza». Eppure, gli utenti insoddisfatti sono parecchi... «La risposta è semplice: quando si gestiscono 21 milioni di clienti e 26 milioni di linee alcuni disagi sono fisiologici. Parliamo infatti di poche migliaia di persone, con le quali ci scusiamo, ma che rappresentano una percentuale minima su uno standard di soddisfazione superiore al 95 per cento». E gli altri? Stessero anche tutti sulle dita di una mano, non avrebbero diritto al servizio efficiente per cui pagano? «Certamente. La Telecom è perfettibile, ci stiamo lavorando. Ma il canale per segnalare guasti o anomalie resta il 187». Il 187 infatti, assorbe proteste come una spugna. Anche gli operatori, come gli utenti, hanno qualcosa da denunciare: lo stress li sfianca. Chiunque abbia un problema con il telefono fisso o con il cellulare chiama lì e scarica la sua rabbia contro la voce senza volto dall’altra parte. Una situazione tanto tipica da finire al cinema: uno dei momenti topici de «I giorni dell’abbandono», l’ultimo film di Roberto Faenza, è quando Margherita Buy, già a terra per la fuga del marito, scende alla cabina e cerca disperatamente di contattare un tecnico che le aggiusti il telefono rotto. Niente di più facile: «Abbiamo registrato il suo problema, interverremo il prima possibile». L’immedesimazione di spettatrici e spettatori è totale.
giovedì 17 novembre 2005
A mali estremi...gli estremi dei dealer

Quante volte invece ci/vi è stato detto che "quei particolari dati non si potevano fornire al cliente?" E i casi di diniego citando infondatamente una legge che tutela paradossalmente lo stesso utente, pare che aumentino...ho qualche ipotesi su quale società telefonica possa essere implicata...ma non facciamo nomi...per privacy appunto ;-)
Tlc: cellulari intestati ad insaputa degli interessati. Interviene il Garante
Severo monito agli operatori. Riconosciuto il diritto degli interessati danneggiati di conoscere come è avvenuto l’illecito anche presso il rivenditore
Ancora un caso, piuttosto grave, in cui una persona si è ritrovata intestataria di 127 schede telefoniche per apparecchi cellulari senza che l’interessato ne avesse fatto alcuna richiesta e ne fosse informato. La gravità è emersa anche dal fatto che una di queste schede è stata oggetto di delicate indagini penali per omicidio nelle quali l’interessato è stato quindi coinvolto. La società aveva persino negato all’interessato l’accesso ai dati che lo riguardano, e per giunta continuava a mandargli pubblicità per schede mai volontariamente attivate.
È stata quindi riconosciuta la grave violazione dei diritti dell’interessato, al quale è stato anche garantito di accedere -contrariamente all’indebito rifiuto dapprima opposto al medesimo interessato- ai dati che riguardavano il numero delle utenze, la data della loro attivazione e le fonte dei dati.
Questi principi, ribaditi dal nuovo Codice entrato in vigore lo scorso 1° gennaio, sono stati fatti rispettare grazie all’intervento dell’Autorità garante che ha accolto il ricorso di un utente contro un gestore telefonico.
Non è la prima volta che cittadini ignari si rivolgono al Garante scoprendo di essere intestatari di numerose carte telefoniche da loro mai attivate, a volte usate addirittura per compiere truffe o altri reati, con ovvie conseguenze per gli intestatari almeno nella prima fase delle indagini. É stato ritenuto, quindi, illegittimo il rifiuto delle società di consentire agli interessati, in favore dei quali si era magari soltanto bloccato l’uso delle carte, di accedere ai dati personali detenuti dalle società stesse e di venire a conoscenza come e dove le schede erano state intestate. In alcuni casi si è determinata anche una conseguenza paradossale: disattivando una sim card da lui mai attivata, l’intestatario è stato a torto non ammesso ad accedere ai suoi dati d’utenza e ad utilizzarli a sua discolpa.
Il diritto di accesso ai dati personali dell’interessato, tutela invece, almeno in parte, questo rischio: conoscere informazioni riguardo all’utenza e gli estremi del dealer che ha effettuato l’attivazione delle carte telefoniche in oggetto possono essere strumenti importanti per il malcapitato, utilizzabili in sede di difesa.
È quanto si era appunto verificato al ricorrente che, a seguito di una segnalazione, aveva scoperto di essere intestatario di 127 carte telefoniche. Alla richiesta di conoscere i propri dati di utenza ha subito un netto rifiuto da parte della società telefonica che aveva motivato il diniego citando infondatamente l’art.132 del Codice della privacy e sostenendo di non essere tenuta a fornire dati di traffico telefonico di sim card disattivate, dopo lo scadere dei sei mesi necessari alla fatturazione.
Ritenutosi leso nell’esercizio del proprio diritto d’accesso l’utente ha presentato ricorso al Garante, il quale ha rilevato che era infondata l’eccezione formulata dalla società riguardo ai termini temporali, perché la predetta disposizione del Codice si riferisce unicamente ai dati di traffico e non anche agli estremi identificativi delle utenze.
L’interessato ha diritto di conoscere l’esistenza di dati personali che lo riguardano, la loro comunicazione in forma intelligibile, l’indicazione della loro origine e dell’uso che ne viene fatto. In tal modo, sia che vi sia un dealer solo, sia che ve ne siano molti, risulta più agevole ricostruire le modalità in cui la truffa telefonica viene gestita.
Alla società di telefonia sono state addebitate le spese del procedimento, che dovranno essere liquidate direttamente a favore del ricorrente. Inoltre il Garante ha disposto ulteriori accertamenti in ordine al più generale comportamento della società e dei dealer rispetto all’illecita intestazione di carte telefoniche.
Ancora un caso, piuttosto grave, in cui una persona si è ritrovata intestataria di 127 schede telefoniche per apparecchi cellulari senza che l’interessato ne avesse fatto alcuna richiesta e ne fosse informato. La gravità è emersa anche dal fatto che una di queste schede è stata oggetto di delicate indagini penali per omicidio nelle quali l’interessato è stato quindi coinvolto. La società aveva persino negato all’interessato l’accesso ai dati che lo riguardano, e per giunta continuava a mandargli pubblicità per schede mai volontariamente attivate.
È stata quindi riconosciuta la grave violazione dei diritti dell’interessato, al quale è stato anche garantito di accedere -contrariamente all’indebito rifiuto dapprima opposto al medesimo interessato- ai dati che riguardavano il numero delle utenze, la data della loro attivazione e le fonte dei dati.
Questi principi, ribaditi dal nuovo Codice entrato in vigore lo scorso 1° gennaio, sono stati fatti rispettare grazie all’intervento dell’Autorità garante che ha accolto il ricorso di un utente contro un gestore telefonico.
Non è la prima volta che cittadini ignari si rivolgono al Garante scoprendo di essere intestatari di numerose carte telefoniche da loro mai attivate, a volte usate addirittura per compiere truffe o altri reati, con ovvie conseguenze per gli intestatari almeno nella prima fase delle indagini. É stato ritenuto, quindi, illegittimo il rifiuto delle società di consentire agli interessati, in favore dei quali si era magari soltanto bloccato l’uso delle carte, di accedere ai dati personali detenuti dalle società stesse e di venire a conoscenza come e dove le schede erano state intestate. In alcuni casi si è determinata anche una conseguenza paradossale: disattivando una sim card da lui mai attivata, l’intestatario è stato a torto non ammesso ad accedere ai suoi dati d’utenza e ad utilizzarli a sua discolpa.
Il diritto di accesso ai dati personali dell’interessato, tutela invece, almeno in parte, questo rischio: conoscere informazioni riguardo all’utenza e gli estremi del dealer che ha effettuato l’attivazione delle carte telefoniche in oggetto possono essere strumenti importanti per il malcapitato, utilizzabili in sede di difesa.
È quanto si era appunto verificato al ricorrente che, a seguito di una segnalazione, aveva scoperto di essere intestatario di 127 carte telefoniche. Alla richiesta di conoscere i propri dati di utenza ha subito un netto rifiuto da parte della società telefonica che aveva motivato il diniego citando infondatamente l’art.132 del Codice della privacy e sostenendo di non essere tenuta a fornire dati di traffico telefonico di sim card disattivate, dopo lo scadere dei sei mesi necessari alla fatturazione.
Ritenutosi leso nell’esercizio del proprio diritto d’accesso l’utente ha presentato ricorso al Garante, il quale ha rilevato che era infondata l’eccezione formulata dalla società riguardo ai termini temporali, perché la predetta disposizione del Codice si riferisce unicamente ai dati di traffico e non anche agli estremi identificativi delle utenze.
L’interessato ha diritto di conoscere l’esistenza di dati personali che lo riguardano, la loro comunicazione in forma intelligibile, l’indicazione della loro origine e dell’uso che ne viene fatto. In tal modo, sia che vi sia un dealer solo, sia che ve ne siano molti, risulta più agevole ricostruire le modalità in cui la truffa telefonica viene gestita.
Alla società di telefonia sono state addebitate le spese del procedimento, che dovranno essere liquidate direttamente a favore del ricorrente. Inoltre il Garante ha disposto ulteriori accertamenti in ordine al più generale comportamento della società e dei dealer rispetto all’illecita intestazione di carte telefoniche.
dalla NEWSLETTER DEL GARANTE DELLA PRIVACYN. 219 del 28 giugno – 4 luglio 2004
sabato 10 settembre 2005
Compa...rizione pubblica

Quale migliore occasione di farsi conoscere?
E infatti DATACONTACT è presente per la prima volta al salone europeo della comunicazione pubblica.
La presentazione
mercoledì 10 agosto 2005
Che stress l'antistress!

Le best practices esportate all'estero vanno bene, e agli outsourcer del Bel Paese quando? Pensate un pò che a richieste di approfondimento in merito ad una relazione tenuta dal responsabile 'risorse umane' sulle tappe di gestione del primo semestre del primo semestre 2005, rivolte a vari responsabili di TIM, non ho mai ricevuto risposta...
L'azienda alla scoperta del benessere
Competenze personali del manager del benessere
«Quanto alle competenze personali, deve trattarsi di un grande ascoltatore capace di saper cogliere le esigenze del personale».
«Chi si occupa di benessere del personale deve essere dotato di competenze e professionalità variegate», aggiunge Ciro Di Cecio, responsabile risorse umane di Tim.
La compagnia di telefonia mobile del gruppo Telecom Italia ha realizzato un programma, denominato «I care» per garantire un bilanciamento fra vita privata e vita lavorativa delle risorse umane, che si traduce in presidi sanitari interni agli uffici, aree benessere con palestre, centri anti-stress e fisioterapia, asili-nido e aree di caring. «Il benessere in ufficio diventa fondamentale in un'azienda che investe molto sulla professionalità delle proprie risorse», aggiunge Di Cecio. «Tim è composta da persone con un'età media di poco superiore ai 30 anni, di cui il 50% sono donne». E le persone che la società impiega nel settore wellness vengono soprattutto «dalla divisione risorse umane, perché devono aver maturato esperienza nella gestione del personale, oltre a mostrare fiuto nel selezionare e identificare i bisogni. Per svolgere questa professione», conclude Di Cecio, «è necessaria cultura universitaria, con preferenza per le discipline psico-pedagogiche o legali».
E opportunità si aprono anche per chi vuole fare un'esperienza all'estero: «Stiamo esportando le best pratices nelle nostre controllate estere», aggiunge, «per cui sono avvantaggiate figure che sanno coniugare le qualità già citate, con la conoscenza della lingua del Paese in cui saranno chiamato a operare e anche una conoscenza base delle normative del luogo».
Ma non sono tagliati fuori da queste opportunità neanche i professionisti con formazione di tipo scientifica. Come dimostra il caso di Sun microsystem. Il gigante dell'Information technology ha affidato al suo facility manager, Fabio Tedesco, il compito di assicurare il benessere dei dipendenti nel progettare gli spazi della nuova sede italiana del gruppo. «Abbiamo distribuito tra i dipendenti un questionario per raccogliere consigli sul viver ben in ufficio», spiega Tedesco, architetto, «quindi abbiamo agito di conseguenza nell'organizzare gli spazi, puntando su colori caldi, sedie e scrivanie confortevoli, la giusta illuminazione». Strategie che mirano a superare quello che unanimemente viene ormai riconosciuto come «mal d'ufficio».
Tanto che uno studio dell'Unione europea ha rilevato come il 33% delle persone che lavora in ufficio è affetto da mal di schiena, il 23% da dolori muscolari al collo e alle spalle, mentre il 28% è vittima dello stress e un altro 23% accusa un senso di affaticamento generale.
Sun ha poi predisposto una serie di servizi aggiuntivi, «come il servizio di catering, che tiene in considerazione anche le esigenze dei vegetariani e di chi segue una dieta dissociata». Per svolgere l'attività di addetto al benessere, secondo Tedesco, sono perciò necessarie «competenze tecniche, unite a un approccio umanistico ai problemi e alle esigenze.
Il professionista in questione deve sapersi interfacciare con le altre risorse presenti in azienda, a cominciare da chi si occupa delle risorse umane e chi gestisce il budget».
E per chi vuole intraprendere la carriera di manager del benessere dopo aver completato gli studi universitari, esiste un master organizzato dalla Fondazione «Aldini Valeriani» di Bologna in «Human resource development», ovvero in sviluppo della persona nelle organizzazioni.
Rivolto a laureati di tutte le facoltà, con qualche eccezione per i non laureati già al lavoro, offre una formazione che spazia dalla gestione delle risorse umane alle teorie dell'organizzazione pubblica e privata, passando per la psicologia del lavoro, le tecniche di selezione e la comunicazione.
Autore: Luigi Dell'OlioFonte: ItaliaOggi Sette - 18 Aprile 2005
Competenze personali del manager del benessere
«Quanto alle competenze personali, deve trattarsi di un grande ascoltatore capace di saper cogliere le esigenze del personale».
«Chi si occupa di benessere del personale deve essere dotato di competenze e professionalità variegate», aggiunge Ciro Di Cecio, responsabile risorse umane di Tim.
La compagnia di telefonia mobile del gruppo Telecom Italia ha realizzato un programma, denominato «I care» per garantire un bilanciamento fra vita privata e vita lavorativa delle risorse umane, che si traduce in presidi sanitari interni agli uffici, aree benessere con palestre, centri anti-stress e fisioterapia, asili-nido e aree di caring. «Il benessere in ufficio diventa fondamentale in un'azienda che investe molto sulla professionalità delle proprie risorse», aggiunge Di Cecio. «Tim è composta da persone con un'età media di poco superiore ai 30 anni, di cui il 50% sono donne». E le persone che la società impiega nel settore wellness vengono soprattutto «dalla divisione risorse umane, perché devono aver maturato esperienza nella gestione del personale, oltre a mostrare fiuto nel selezionare e identificare i bisogni. Per svolgere questa professione», conclude Di Cecio, «è necessaria cultura universitaria, con preferenza per le discipline psico-pedagogiche o legali».
E opportunità si aprono anche per chi vuole fare un'esperienza all'estero: «Stiamo esportando le best pratices nelle nostre controllate estere», aggiunge, «per cui sono avvantaggiate figure che sanno coniugare le qualità già citate, con la conoscenza della lingua del Paese in cui saranno chiamato a operare e anche una conoscenza base delle normative del luogo».
Ma non sono tagliati fuori da queste opportunità neanche i professionisti con formazione di tipo scientifica. Come dimostra il caso di Sun microsystem. Il gigante dell'Information technology ha affidato al suo facility manager, Fabio Tedesco, il compito di assicurare il benessere dei dipendenti nel progettare gli spazi della nuova sede italiana del gruppo. «Abbiamo distribuito tra i dipendenti un questionario per raccogliere consigli sul viver ben in ufficio», spiega Tedesco, architetto, «quindi abbiamo agito di conseguenza nell'organizzare gli spazi, puntando su colori caldi, sedie e scrivanie confortevoli, la giusta illuminazione». Strategie che mirano a superare quello che unanimemente viene ormai riconosciuto come «mal d'ufficio».
Tanto che uno studio dell'Unione europea ha rilevato come il 33% delle persone che lavora in ufficio è affetto da mal di schiena, il 23% da dolori muscolari al collo e alle spalle, mentre il 28% è vittima dello stress e un altro 23% accusa un senso di affaticamento generale.
Sun ha poi predisposto una serie di servizi aggiuntivi, «come il servizio di catering, che tiene in considerazione anche le esigenze dei vegetariani e di chi segue una dieta dissociata». Per svolgere l'attività di addetto al benessere, secondo Tedesco, sono perciò necessarie «competenze tecniche, unite a un approccio umanistico ai problemi e alle esigenze.
Il professionista in questione deve sapersi interfacciare con le altre risorse presenti in azienda, a cominciare da chi si occupa delle risorse umane e chi gestisce il budget».
E per chi vuole intraprendere la carriera di manager del benessere dopo aver completato gli studi universitari, esiste un master organizzato dalla Fondazione «Aldini Valeriani» di Bologna in «Human resource development», ovvero in sviluppo della persona nelle organizzazioni.
Rivolto a laureati di tutte le facoltà, con qualche eccezione per i non laureati già al lavoro, offre una formazione che spazia dalla gestione delle risorse umane alle teorie dell'organizzazione pubblica e privata, passando per la psicologia del lavoro, le tecniche di selezione e la comunicazione.
Autore: Luigi Dell'OlioFonte: ItaliaOggi Sette - 18 Aprile 2005
Profondo scoramento

Il 20 luglio 2005, ho assistito a una tavola rotonda sull’outsourcing organizzata dall’Associazione Nuovi Lavori. L’incontro era moderato da Massimo Mascini (Il Sole 24 Ore) e vi hanno partecipato Luciano Scalia (direttore risorse umane e organizzazione del Gruppo Cos), Paolo Pirani (segretario confederale della Uil), Giorgio Santini (direttore confederale della Cisl) ed Enzo Mattina (vicepresidente di Quanta). Tra i vari interventi, quello di Luciano Scalia ha fatto esplicito riferimento all’outsourcing nel settore del customer care. In estrema sintesi:
le aziende ricorrono all’outsourcing per la gestione delle attività non-core, ossia di quanto non attiene alla missione aziendale, con l’obiettivo di ottimizzare i costi, tant’è che l’affidamento in outsourcing avviene normalmente con gare al ribasso;
le componenti di un sistema di customer care sono la tecnologia e il personale, per cui la competitività di chi fa outsourcing si misura sulla sua capacità di contenere i costi dell’infrastruttura tecnologica e della gestione del personale. Di conseguenza, la stragrande maggioranza di chi lavora nei call center è assunta con contratti a progetto.
Ovviamente, la presenza dei tre sindacalisti ha spostato l’attenzione sulle tutele ai lavoratori, ma a me sembra più interessante notare un altro aspetto. Trovo infatti paradossale che un’azienda consideri la relazione con il cliente un’attività non-core e la affidi all’esterno al miglior prezzo possibile. E’ pur vero che le aziende – soprattutto quelle che producono – non sono abituate a gestire il rapporto con i propri consumatori e ricorrono da sempre a intermediari; tuttavia, c’è una differenza sostanziale tra come vengono percepiti un negoziante e un addetto al call center. Il primo, infatti, ha un’identità autonoma rispetto alla marca di cui vende i prodotti e i suoi comportamenti influenzano l’immagine di ciò che vende solo parzialmente. Chi risponde al numero verde, invece, è a tutti gli effetti un rappresentante diretto della marca e il suo comportamento influisce senza mediazioni sulla percezione che ne ha il cliente. Come fa un ragazzo o una ragazza con un contratto precario, che lavora in una struttura in cui l’unica cosa che conta veramente è il contenimento dei costi e che, magari, non hai mai provato il prodotto di cui parla, a farsi portavoce della marca con un cliente? A difendere il prodotto quando c’è un problema? A farsi carico del quesito del cliente, cercando comunque una soluzione per risolverlo, magari andando al di là di una rigida procedura informatica? Non è un caso che la maggior parte dei customer care cui ci dobbiamo rivolgere quando abbiamo un problema con un prodotto siano irritanti e di poco aiuto.
le aziende ricorrono all’outsourcing per la gestione delle attività non-core, ossia di quanto non attiene alla missione aziendale, con l’obiettivo di ottimizzare i costi, tant’è che l’affidamento in outsourcing avviene normalmente con gare al ribasso;
le componenti di un sistema di customer care sono la tecnologia e il personale, per cui la competitività di chi fa outsourcing si misura sulla sua capacità di contenere i costi dell’infrastruttura tecnologica e della gestione del personale. Di conseguenza, la stragrande maggioranza di chi lavora nei call center è assunta con contratti a progetto.
Ovviamente, la presenza dei tre sindacalisti ha spostato l’attenzione sulle tutele ai lavoratori, ma a me sembra più interessante notare un altro aspetto. Trovo infatti paradossale che un’azienda consideri la relazione con il cliente un’attività non-core e la affidi all’esterno al miglior prezzo possibile. E’ pur vero che le aziende – soprattutto quelle che producono – non sono abituate a gestire il rapporto con i propri consumatori e ricorrono da sempre a intermediari; tuttavia, c’è una differenza sostanziale tra come vengono percepiti un negoziante e un addetto al call center. Il primo, infatti, ha un’identità autonoma rispetto alla marca di cui vende i prodotti e i suoi comportamenti influenzano l’immagine di ciò che vende solo parzialmente. Chi risponde al numero verde, invece, è a tutti gli effetti un rappresentante diretto della marca e il suo comportamento influisce senza mediazioni sulla percezione che ne ha il cliente. Come fa un ragazzo o una ragazza con un contratto precario, che lavora in una struttura in cui l’unica cosa che conta veramente è il contenimento dei costi e che, magari, non hai mai provato il prodotto di cui parla, a farsi portavoce della marca con un cliente? A difendere il prodotto quando c’è un problema? A farsi carico del quesito del cliente, cercando comunque una soluzione per risolverlo, magari andando al di là di una rigida procedura informatica? Non è un caso che la maggior parte dei customer care cui ci dobbiamo rivolgere quando abbiamo un problema con un prodotto siano irritanti e di poco aiuto.
giovedì 28 luglio 2005
Lamaro risveglio

Atesia, dopo i licenziamenti i precari in assemblea
Silenzio dall'azienda, ma c'è clima di paura
Silenzio dall'azienda, ma c'è clima di paura
Ad Atesia, call center della Tim, continua la mobilitazione dei lavoratori dopo le lettere di licenziamento di sabato per i 4 rappresentanti del collettivo. Ieri, davanti la sede di via Lamaro a Roma, si sono tenute tre diverse assemblee dei lavoratori, tutti con contratto precario, per discutere del nuovo giro di vite imposto dall'azienda. Azienda che dopo l'ultima "rappresaglia" non ha dato più notizie di sé, né ha risposto all'invito a partecipare all'assemblea. Contemporaneamente però gli addetti al call center denunciano un clima di tensione e di stretto controllo: «Gli assistenti di stanza controllano ogni movimento e se qualcuno è visto parlare con membri del collettivo viene puntualmente "squadrato" - denuncia Valerio, rappresentante del Collettivo, uno dei 4 licenziati sabato scorso - hanno generato un clima di terrore, adesso fra i lavoratori c'è persino paura di parlare». E continuano anche gli screzi con i sindacati confederali: «Dopo i licenziamenti ci aspettavamo sostegno, o perlomeno solidarietà. Invece la Cgil ha invitato i lavoratori a stare buoni perché altrimenti fanno la nostra fine». A settembre Atesia proporrà ai dipendenti i nuovi contratti, molti dei quali sono di apprendistato (anche a persone che lavorano da anni nel call center): «Questa è una proposta illegale, in contrasto addirittura con quanto prevede la legge 30: il numero di apprendisti in azienda deve essere uguale a quello dei lavoratori subordinati e qualificati che svolgono la stessa mansione, proprio perché un apprendista, in teoria, dovrebbe poter apprendere. Il problema è che - conclude Valerio - qua di subordinati non ce ne sono».
sabato 25 giugno 2005
Un corso per psicologi a Milano
Qualora vorreste "esplorare motivazioni e valori, prefigurare scenari, investigare i molteplici e mutevoli driver del comportamento dei consumatori e non solo"... vi tocca andare qui
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martedì 14 giugno 2005
Irripetibili situazioni

OP: Mi può dare il codice di avviamento
postale?
CL: Cosa?
OP: Il codice di avviamento postale!
CL: Non ho capito!
OP: Signora, il c.a.p.!!
CL: Aaah! Il capoluogo!
Foto tratta dal link http://www.avayaheadsets.com/images/mx10.jpg
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