mercoledì 31 gennaio 2007

Stile di conduzione delle risorse umane

Sembra scritto proprio per noi questo articolo di Paolo La Cagnina, valido psicologo, morto qualche anno fa.

L'ho recuperato qui e consegnato, stampato, ad un nostro capo-commessa.
Non se ne è mai più parlato.
Significativo, no?

Dato che si parla tanto sul giornalino delle famose "risorse" senza che se ne sperimenti degna considerazione...

Servizi non richiesti

Ancora truffe a danno di 5.500 utenti truffati dai call-center

Il fatto è accaduto in Sardegna dove 5.500 utenti si sono visti addebitare contratti e servizi che non avevano richiesto. Il malaffare era gestito direttamente da un call-center che operava per la raccolta dei contratti. Fortunatamente, in questo caso, il gestore Tiscali si è attivato insieme alla Magistratura e hanno individuato i responsabili. Anche da questa vicenda emerge la necessità di norme più stringenti per combattere queste pratiche truffaldine. L'Autorità delle Comunicazioni è stata investita del problema da almeno 2 anni ma non ha ancora dato alcuna risposta, nonostante l'impegno pubblico assunto il 23 ottobre 2006 nell'audizione con le Associazioni dei Consumatori. Adiconsum ricorda a tutti gli utenti di controllare le bollette e nel caso si accorgano di contratti e/o servizi non richiesti e di fare immediatamente denuncia.

Adiconsum - Pubblicato il 31/01/2007 15.54.41

Il ministro Damiano a Palermo

L'obiettivo è stabilizzare 70 mila operatori

"Un mese dopo l'approvazione della Finanziaria, 8 mila persone sono già state stabilizzate grazie agli accordi sindacali e alle norme volute dal governo ma noi stimiamo che grazie alle risorse stanziate si possa raggiungere l'obiettivo di 60-70 mila contratti a tempo indeterminato". Cesare Damiano, ministro del Lavoro, parlando al popolo dei call center riunito in una albergo palermitano dai sindacati confederali di categoria si dice ottimista "perché -sottolinea- anche piccoli risultati possono costituire le premesse per raggiungere grandi obiettivi". E' lo stesso Damiano a ricordare che in tutta Italia ci sono 700 aziende di call center con circa 250 mila addetti.
Nelle sei maggiori aziende del settore che operano a Palermo, su circa 6.300 ne sono stati stabilizzati poco più della meta' ma per gli altri sono gia' stati siglati accordi. “Alle aziende – spiega il segretario provinciale Slc-Cgil Rosario Faraone - chiediamo di rendersi disponibili alla contrattazione e ai lavoratori di uscire dall'anonimato".
Da parte sua il ministro Damiano ha annunciato la costituzione di un Osservatorio nazionale, insieme con le parti sociali, per verificare la sottoscrizione degli accordi e la stabilizzazione dei precari e ha ricordato che "le norme approvate al governo partono dai call center ma vanno applicate in tutti i settori. Ma le buone norme nazionali non bastano –ha spiegato il ministro del Lavoro- se a livello locale non si passa al controllo del territorio attraverso le ispezioni e gli accordi tra le parti sociali".
''Abbiamo riscontrato che in molti casi i lavoratori a progetto nei call center - ha detto il ministro - avevano un rapporto di dipendenza. Siamo per la regolarizzazione. A un mese dall'approvazione della Finanziaria otto mila persone sono diventate stabili grazie agli accordi sindacali e alle norme del governo. Ma non si tratta di regolarizzare una azienda: vi sono 700 aziende di call center in Italia, 250 mila addetti, le risorse che abbiamo stanziato in Finanziaria possono consentire di stabilizzare 60/70 mila persone''.

fonte www.rassegna.it, 30 gennaio 2007

martedì 30 gennaio 2007

Riprendere il controllo

I sindacati si appellano agli operatori di call center

Palermo - Il mondo delle TLC è in agitazione da tempo sul fronte bollente dei call center ma ora i sindacati confederali CGIL, CISL e UIL stanno cercando di "far uscire allo scoperto" i lavoratori delle più di 90 strutture che operano nel palermitano, per superare il precariato. Proprio oggi alle 10 a Palermo i tre sindacati invitano i dipendenti di questi call center a partecipare alla mobilitazione con cui vogliono fare cornice al previsto intervento del ministro Cesare Damiano al San Paolo Palace Hotel, un intervento con cui il Ministro parlerà proprio della stabilizzazione dei precari dei call center e dei passi previsti per raggiungere l'obiettivo. In tutto sono circa 6mila gli operatori (2700 solo in Sicilia) che saranno assunti entro la fine dell'anno grazie alle nuove norme. Per questo i sindacati si augurano che i precari vogliano "unirsi per aprire la fase di contrattazione con le imprese che dovrà portare alla loro stabilizzazione". "Dopo tante denunce di sfruttamento - ha dichiarato Rosario Farone di SLC CGIL - ora con gli strumenti di legge che esistono è il momento di pensare alla stabilizzazione delle migliaia di precari dei nostri call center". I sindacati chiedono alle imprese di collaborare e, come previsto dalla Finanziaria, chiudere gli accordi entro la fine di aprile. Per le società di settore è un obbligo: hanno tre mesi di sanatoria per sistemare la questione. "Altrimenti - avverte Faraone - riceveranno la visita degli ispettori". L'invito, dunque, è quello di "venire fuori". "Mettetevi in contatto con noi - dicono i sindacati - scrivete ai nostri indirizzi email, raccontateci in che condizioni lavorate". L'appello, secondo i sindacati, è necessario per contrastare l'ostruzionismo di molti imprenditori di settore che spingerebbero i propri lavoratori a non farsi sentire per evitare grane.

fonte Punto Informatico, 30/1/07

lunedì 29 gennaio 2007

Convocata wind

Wind convocata per i call center

Il Ministero del Lavoro ha convocato per il 23 febbraio il Direttore delle Relazioni Industriali dell'operatore Wind ed i sindacati per affrontare il nodo delle esternalizzazioni. Wind ha infatti precedentemente annunciato nei giorni scorsi l'intenzione di procedere alla riduzione da cinque a quattro call center, con la relativa esternalizzazione di 270 dipendenti addetti al call center di Sesto San Giovanni e che tale decisione ha portato all'annuncio di uno sciopero del personale Wind.

A posteriori abbiamo verificato che praticamente non è servito a nulla...

Nuove norme UNI sui centri di contatto

La norma UNI 11200:2006 ha definito standard di prestazioni e di qualità per il settore della relazione con i clienti, consumatori e cittadini attraverso Contact center, ponendosi dalla parte dell’utilizzatore del servizio evidenziando le prestazioni e le performances risultanti Il valore della relazione si basa sull’efficacia e sulla qualità del servizio offerto e quindi è importante per le organizzazioni che vogliono mostrare chiaramente i loro fattori differenzianti e di qualità, avere un sistema di confronto con un modello esterno e terzo tale da poter essere confrontato e comunicato.

Chi fosse interessato al pdf di sintesi lo chieda al nostro staff oppure direttamente al realizzatore gresarto@hotmail.com

sabato 27 gennaio 2007

TetTIM


Ma...secondo voi, la canalis, oramai non più presente pare sul sito ufficiale tim (vedi foto a sinistra), che bisogno hanno avuto a renderla così allargata rispetto al suo normale seno (foto al centro e a destra)?
Forse che la sua "offerta" è come quelle di tim...che non appena le vai a vedere nel dettaglio si sgonfiano?
Ognuno tragga le sue (s)conclusioni

Un duro commento pubblico

Pensa tu...datato 26.1.07 su it.discussioni.consumatori.tutela

Sta cazzo di datacontact per telecom italia mi telefona almeno 5/10 volte al giorno, cazzo, che posso fare? Per gli elenchi non ho escluso la pubblicazione ma non mi ricordo di aver accettato pubblicita' sono ossessivi, e se gli riattaco il telefono richiamano pure incazzati, ma vaffanculo avevo gia' minacciato di denunciarli, ma in realta' non so fino a che punto posso mandare avanti la protesta. Mi hanno rotto i coglioni!

venerdì 26 gennaio 2007

Campagna per conoscere

Contratti fissi per gli operatori di call center

Gli ottomila operatori telefonici che lavorano con contratto a progetto in uno dei 600 call center operativi in Lombardia possono essere assunti a tempo indeterminato attraverso un accordo sindacale. Lo ricorda la Cgil regionale che fa riferimento a una norma contenuta in Finanziaria con relativi fondi. "È una possibilità che dura tre mesi - avverte Giacinto Botti, segretario Cgil Lombardia - per questo stiamo lanciando una campagna rivolta ai giovani in particolare, per far conoscere loro questa possibilità. Sappiamo che il lavoro co.co.pro. - conclude il sindacalista - è falsamente attribuito perché, in questi casi, si tratta di giovani che svolgono a tutti gli effetti un lavoro dipendente e subordinato".

fonte Apcom, 26/1/07

Manifestazioni per wind (segue)

Manifestazione a Roma contro chiusura struttura milanese

(ANSA) - MILANO, 25 GEN - Cigl, Cisl e Uil hanno proclamato una giornata di sciopero per il 5/2 contro la cessione del call center Wind di Milano Sesto San Giovanni. Annunciata inoltre una manifestazione nazionale a Roma mentre sono allo studio altre agitazioni per i mesi di febbraio e marzo. Il call center impiega 275 giovani. I sindacati si schierano contro la strategia industriale di Wind che mira alla creazione di valore e non alla crescita, riducendo l'occupazione nel gruppo.

martedì 23 gennaio 2007

L'integrazione al nulla

Mentre il medico studia, pure il precariato muore

Cari Italians, ci sono politici, sindacalisti, pensatori, professori e commentatori che stanno ancora cercando di elaborare una strategia sostenibile per gestire il problema del precariato. Si cavilla sull'inbound e sull'outbound ed intanto i call center, dove cercavano di stare a galla centinaia di migliaia di precari, chiudono e/o si spostano in posti più accoglienti. Il caso di Wind/Sesto San Giovanni è all'ordine del giorno e sembra a molti una specie di eresia. Ma come? Anche il lavoro più moderno sparisce? Ma non eravamo protetti dal fatto che la lingua italiana è poco conosciuta e che non era facile spostare un contact center in India? Pare proprio di no. La settimana scorsa ho chiamato il call center di una multinazionale, che sapevo aveva un contact center in Irlanda. Mentre aspettavo, ho chiesto all'operatrice, che parlava un decente italiano, che effetti aveva avuto l'uragano Kyrill dalle loro parti. La poverina non ne sapeva niente perchè lei mi rispondeva da Atene in Grecia. Qualcuno dei sindacalisti, pensatori, comunicatori, digiunatori, professoroni, cardinali e contestatori si è accorto che la tecnologia non è neutrale e che forse bisogna cambiare del tutto l'approccio ai problemi? Sono dieci anni che si gingillano con la previdenza integrativa. Ma integrativa di che? Tutti questi operatori di call center che oggi hanno un lavoro, che da precario è diventato a rischio, avranno mai una pensione da integrare, considerato che forse non avranno più un reddito se qualcuno non crea le condizioni per un lavoro non effimero ed evanescente?

Scritto da Nicole Kelly, nike.kelly@hotmail.it
sul corriere della sera del 23.1.2007

lunedì 22 gennaio 2007

Telegate in dirittura

Telegate, accordo con i sindacati per il call center di Guasticce

Entro l’anno saranno stabilizzati gli oltre 400 lavoratori attualmente occupati
“Sono molto soddisfatto perché questo risultato premia il forte impegno dell’Amministrazione per attrarre investimenti produttivi sul territorio”. Così il presidente della Provincia di Livorno Kutufà ha commentato l’intesa raggiunta tra sindacati e dirigenza Telegate che prevede entro il 2007 la stabilizzazione degli oltre 400 lavoratori attualmente occupati al call center di Guasticce.
Era stato proprio Kutufà che nel 2005, d’intesa con gli altri enti locali, ad attivarsi perché fosse scelta proprio la provincia di Livorno per impiantare la nuova sede di un call center, per l’allora nascente mercato che si apriva con la liberalizzazione del servizio 12. Il fatto che Telegate fosse legata al colosso Seat, dava garanzie sulla serietà del progetto e sui possibili sviluppi. Al momento dell’inaugurazione, nel novembre del 2005, il call center contava 150 dipendenti con contratto di collaborazione, con l’obiettivo di triplicare gli addetti nel giro di pochi anni.
Oggi l’azienda conta oltre 400 dipendenti, l’80% dei quali sarà assunto a tempo indeterminato, l’altro 20% con contratti di due anni rinnovabili. “Questo risultato va oltre ogni più rosea previsione – conclude Kutufà - anche se si è dovuto pagare lo scotto iniziale di una flessibilità eccessiva. D’altra parte ero sicuro che appena il settore fosse stato normato, Telegate avrebbe stabilizzato i posti di lavoro. E questo è uno dei primi casi in Italia”.
Soddisfatto anche l’assessore al Lavoro, Marcello Canovaro, che ha annunciato che la Provincia ha già stanziato 100.000 euro per finanziare attività di formazione specifica. “Con la stabilizzazione del personale – ha detto – si potranno sviluppare ulteriori forme di finanziamento per corsi di formazione”.

Top fatturato

Gruppo Telecom in pole position...
...ma non per quanto riguarda i diritti dell'universo dei commissionari e loro collaboratori!


domenica 21 gennaio 2007

Nel rispetto delle nuove regole


Email inviata ai colleghi interessati (EM, FS, RR). Complimenti alla censura dilagante.

Carissimi colleghi team leader che ricevete i miei periodici aggiornamenti sulla mail aziendale,
vi comunico con questo messaggio che le news della mailing list che mi avete chiesto e/o confermato di voler ricevere finora, (la prima iscrizione tra voi risale al 20/7/2006), verranno sospese.
E' sufficiente far riferimento, a giustificazione di ciò che altrimenti sembrerebbe un mio improvviso ritrarmi, alla comunicazione scritta a voi pervenuta il 19/1 nel primo pomeriggio.
Vi sarete anche accorti, dopo l'ultimo forse dimenticato blocco all'interessante sito intranet della rassegna stampa di gruppo dall'11/7/2005, della nuova irraggiungibilità della intranet generale del Gruppo TI (link omesso sul blog) (la cui maggiorparte dei contenuti erano comunque transitati sul noi.portal a noi interamente bloccato dal 2005) mentre lo rimangono Timcafe (http://timcafe.tim.it/timcafe), nonchè i Portale di Rete (link omessi sul blog) e il Marketing Corporate (link omesso sul blog)
"L’introduzione della posta elettronica, ha letteralmente capovolto le logiche della comunicazione aziendale: le notizie e le opinioni fanno il giro dell’azienda in tempo reale. L'e-mail, per alcuni ancora atto di prevaricazione, non ha più ragion d’essere nell’era della comunicazione elettronica. Internet ed intranet diventano così strumenti efficaci di democrazia aziendale. Del resto, non è altro che la libera propagazione d’informazioni, idee e critiche" (C.I. del 187, 2005 - cassetta delle idee - intranet open)
"Noi siamo pronti ad accettare tutto in fondo e' il ns lavoro e lo facciamo, ma vogliamo almeno sapere a cosa servono tutti questi controlli nel gruppo e sulle persone... e nessuno sa dirci mai cosa in realta' succede dietro questi tartassamenti mentali e psicologici. A noi impiegati restano solole briciole di un'azienda leader nel settore delle telecomunicazioni... e che viene mandata avanti non dai colletti bianchi dirigenti o i tronchetti provera di turno ma proprio da noi con la ns produzione i ns. guasti risolti reclami evasi ecc." (A.C. del 187, 2005 - cassetta delle idee - intranet open)


"Dal marketing al customer care, dalle vendite all’assistenza ai clienti fino all’area tecnologica, ci attende un impegno straordinario di arricchimento e innalzamento delle professionalità che, tra formazione, nuovi mestieri e nuove assunzioni, nei prossimi tre anni coinvolgerà almeno l’80% delle nostre persone" (Marco Tronchetti Provera, 1/2006)
"E' nostro obiettivo tuttavia dare ai nostri operatori strumenti sempre più sofisticati per ottenere in tempo reale tutte le informazioni..." (Riccardo Ruggiero, 2/2006)

"Un senso di ubbidienza è utile nel lavoro, ma nocivo nelle relazioni personali" (Bertrand Russell)

Dopo le prime avvisaglie...

Vodafone, accordo bocciato

I call center tornano a riscaldarsi dopo l'accordo di dicembre con il gruppo Cos e la pausa natalizia, contrassegnata dalle votazioni nell'azienda di Alberto Tripi. Ieri Atesia è tornata in sciopero (contro il licenziamento di 4 lavoratrici e in polemica con la stabilizzazione dei 6300 cocoprò in part time da 4 ore), la Wind da diversi giorni è in presidio contro l'esternalizzazione del call center di Sesto San Giovanni, e ora scoppia il caso Vodafone: il 60% dei lavoratori ha respinto l'accordo su ferie e diritti sindacali siglato il 14 dicembre scorso, e ieri le segreterie nazionali di Slc, Fistel e Uilcom hanno inviato la lettera di disdetta all'azienda. Un'intesa che fa discutere non solo per i suoi contenuti, ma anche per la polemica che contrappone parte delle Rsu alla segreteria della Slc Cgil. Il nodo del contendere sta nelle ferie, che venivano fissate diversamente rispetto al passato, in un sistema ritenuto peggiorativo dai dipendenti. C'è poi il tema delle assemblee e delle comunicazioni sindacali (a proposito, chi di voi ha visto le famose bacheche sindacali annunciate anche da noi?), ridotte nella loro agibilità. Scontro, infine, anche sui passaggi dei lavoratori part time da 5 a 6 ore, in particolare sul numero degli aventi diritto. Vodafone ha circa 9 mila dipendenti a tempo indeterminato distribuiti in 8 call center (Milano, Ivrea, Padova, Bologna, Roma, Pisa, Napoli e Catania), ma negli ultimi anni ha frenato sulle assunzioni a tempo indeterminato, ricorrendo al lavoro interinale e agli appalti, verso gruppi come Cos o E-care. Le esigenze di picco - ad esempio i periodi natalizi - vengono coperti anche con gli straordinari. Con queste premesse, la richiesta più importante per i lavoratori era quella di vedere passati da 5 a 6 ore tutti i dipendenti che ne avrebbero fatto richiesta, mentre nell'accordo si fissa un numero preciso, ovvero 450. «Non è una cosa da poco - spiega Salvatore Musella, delegato Slc di Napoli - Secondo i nostri calcoli le richieste di passaggio sono di solo qualche decina in più, dunque ritenevamo determinante che non si lasciasse all'azienda la possibilità di scegliere chi accettare e chi no». Anche Sandro Borroni, Rsu Bologna, spiega che «il pilastro politico dell'accordo è proprio scrivere "tutti quelli che ne fanno richiesta" e non un numero, per non escludere nessuno». Al nodo dell'aumento delle ore di part time si aggiunge quello delle ferie: oggi i lavoratori possono fare due settimane consecutive in estate, più una staccata. Secondo l'accordo rigettato, le settimane di ferie estive avrebbero dovuto essere solo due, senza la garanzia di poterle attaccare. Le ferie si sarebbero dovute consumate entro un anno e non più nell'arco di 18 mesi, con l'azienda che avrebbe potuto costringerti a fissarle in un certo periodo per esaurirle. Quanto ai diritti sindacali, si disponeva la possibilità di svolgere assemblee nello stesso giorno per soli due call center in Italia, mentre le email inviate dalle Rsu non avrebbero più avuto una riconoscibilità del mittente, ma una generica intestazione del sistema di posta aziendale, rendendo più difficile al lavoratore il riconoscimento immediato. Per Roberto Di Palma, delegato a Roma, «l'occupazione è importante ma l'aumento di ore non può essere scambiato con i diritti: il sindacato deve capire che quello dei call center è uno dei lavori più stressanti, e un'azienda come Vodafone, che ha margini di utile tra i più alti in Italia, può permettersi di offrire servizi di qualità senza intaccare le tutele». Su questi punti di sostanza, si innesta la polemica con la Slc: secondo i delegati la maggior parte delle Rsu aveva respinto già in sede di accordo l'ipotesi, e dunque non doveva essere firmata. Di diverso parere Emilio Miceli, segretario generale Slc Cgil: «Non sono un kamikaze e non avrei mai firmato se non avessi avuto il sì della maggior parte dei delegati - spiega - Il numero di 450 era concordato con loro, se cambiano idea dopo l'accordo non ci possiamo fare granché. E' chiaro che adesso si dovrà fare un chiarimento con le Rsu».

Antonio Sciotto - Il Manifesto 20 Gennaio 2007

venerdì 19 gennaio 2007

Esternalizzazione call center wind di Sesto S.G.


La grave battaglia dei colleghi di wind... contro i soliti ignorati "codici etici".
"Da noi contano le persone, non i numeri" vi dice nulla?

Tira e molla

Vedi qui uno dei migliori articoli (18 maggio 2006) di Antonio Sciotto sul manifesto.

Pieno di dati e con una riflessione che non è apparsa d'ora in allora da nessun'altra parte:
i numeri complessivi di Atesia (15 mila collaboratori) in contrasto ai numeri (4000 collab) di quanti sarebbero in procinto di essere passati a tempo indeterminato!

E infine...con un così alto numero di collaboratori un fatturato che Datacontact (250 mln di eur) ha raggiunto con molte ma molte meno persone! E i conti son presto fatti.

Atesia risponde a Tiraboschi

«Rapporti a progetto ma stabili»
AlmavivA: «Il meccanismo delle gare ci obbliga all'uso delle collaborazioni»
di Scalia Luciano*
Il Sole 24 Ore, 10.5.2006

L'articolo del professor Michele Tiraboschi apparso sul Sole-24 Ore di sabato ("Call center ostaggio dei dogmi") critica in modo radicale il recente accordo sottoscritto in Atesia tra il Gruppo AlmavivA e Cgil, Cisl, Uil. Lo sconcerto provocato dalla lettura del testo è dovuto non solo alle gravi inesattezze contenute, ma anche al fatto che il professor Tiraboschi non può ignorare che questo accordo altro non è che l'applicazione, notevolmente migliorativa, di quello del 24 maggio 2004 tra TelecomItalia e i sindacati. Allora fu lo stesso professor Tiraboschi, in un suo intervento proprio sul Sole-24 Ore del 12 ottobre 2004, a giudicare quell'intesa fortemente positiva perché avviava un processo di stabilizzazione utilizzando gli strumenti previsti dalla legge Biagi. Il professore sa benissimo che la committenza (anche pubblica) usa fare gare al massimo ribasso rispetto al costo del lavoro e che questa prassi obbliga di fatto all'utilizzo dei lavoratori a progetto. Non è un caso, ad esempio che lo stesso ministero del Welfare in una delle sue ultime gare per un servizio di customer care, abbia utilizzato lo stesso criterio; per non parlare dell'Inps e dell'Inail come di molte aziende municipalizzate. Il Professore non può ignorare che il nostro Gruppo ha più volte chiesto che venisse data una interpretazione autentica sulla possibilità di utilizzo dei lavoratori a progetto nei call center. In questa prospettiva abbiamo salutato come positiva l'estensione di una direttiva che andava proprio in questa direzione e che, purtroppo, non è mai venuta alla luce. Ma venendo all'accordo sottoscritto l'11 aprile ecco i punti distintivi: assunzione come apprendisti per 1.100 lavoratori a progetto inquadrati al 3° livello e non "sottoinquadrati" come permetterebbe la legge; assunzione di 426 collaboratori con contratto di inserimento; prossima assunzione a tempo indeterminato per 170 lavoratori ora con contratto a progetto; trasformazione anticipata a tempo indeterminato per altri 122 lavoratori assunti con contratto di inserimento a ottobre del 2005. Vorremmo anche ricordare che quando nel giugno dello scorso anno AlmavivA acquistò Atesia, questa società aveva circa 90 lavoratori subordinati a tempo indeterminato, mentre a ottobre di quest'anno, grazie all'iniziativa aziendale e all'accordo sindacale, saranno circa 530. Questo non sembra un risultato da poco in una situazione di criticità economica e di mercato precario. È evidente che questo accordo apre la strada alla concreta stabilizzazione del rapporto di lavoro per ulteriori 1.500 lavoratori. Che questo accada nel mercato dei call center utilizzando le possibilità offerte dalla legge Biagi, ci pare un fatto positivo del quale dovrebbe rallegrarsi anche il professor Tiraboschi che di quella legge è stato uno degli estensori.

*Direttore Risorse Umane del Gruppo AlmavivA

L'esperto Tiraboschi aveva scritto...

Call center ostaggio dei dogmi
di Michele Tiraboschi
Il Sole 24 Ore – 6 maggio 2006

Condotta con le armi spuntate della ideologia e del massimalismo, la battaglia sulla legge Biagi conta le prime vittime. Che, guarda caso, sono ancora una volta i lavoratori. Quelli veri e in carne e ossa beninteso.
Sacrificati sull'altare di un programma radicale di politica del lavoro che non solo rifiuta compromessi ma non accetta neppure di fare i conti con la realtà. Un programma intransigente verso le ragioni del riformismo e, per questo motivo, condannato a rifiutare ogni ragionevole soluzione che possa contrastare la vera precarietà.
Dopo la discussa legge della Regione Puglia sul contratto di apprendistato, che ha compromesso l'assunzione di migliaia di giovani, è ora la volta dei call center diventati nel corso degli ultimi anni, e non a torto, l'emblema del lavoro "usa e getta" soprattutto per quanto riguarda giovani e donne. La soluzione prospettata in termini sperimentali dalla legge Biagi, al riguardo, è rimasta nel cassetto. E, pur di non metterla in pratica, il sindacato firma intese non solo fortemente peggiorative per i lavoratori ma che, in taluni casi, si traducono persino in evidenti violazioni di norme di legge da tempo esistenti.
Applicando rigorosamente la legge Biagi risulterebbe infatti vietato il massiccio ricorso nei call center alle collaborazioni coordinate e continuative e al lavoro a progetto. Quantomeno con riferimento alle attività cosiddette inbound, nelle quali cioè l'operatore riceve le telefonate e, senza margini di autonomia, è tenuto a fornire adeguate informazioni al cliente. L'alternativa proposta dalla legge 30, tutta da sperimentare nella pratica, sarebbe il tanto vituperato staff leasing. Che è rifiutato tuttavia dal movimento sindacale perché realizzerebbe una discutibile dissociazione, sul piano dei principi, tra titolare del contratto (una agenzia di somministrazione) ed effettivo utilizzatore della prestazione di lavoro (il proprietario del call center).
Poco importa, a chi ragiona per dogmi e ideologie, se il lavoratore in staff leasing è assunto con un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, con tanto di tutela dell'articolo 18, e risulta in aggiunta assistito da un generoso fondo bilaterale finalizzato a sostenere percorsi di formazione professionale e finanche a garantirne il reddito in caso di fine lavoro. Pur di non applicare la legge Biagi - che sul punto dà rigorosa applicazione al programma dell'Unione secondo cui il lavoro atipico deve costare di più di quello tradizionale - si è disposti a riconfermare l'utilizzo, più che discutibile nei call center, delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità a progetto e immaginare ipotesi inverosimili di contratti di inserimento e a contenuto formativo.
È questa infatti la clamorosa conclusione cui perviene ora un accordo sindacale pilota, firmato lo scorso 11 aprile da Cgil, Cisl e Uil, relativo alla sorte dei quattromila co.co.co. dell'Atesia. Di questi solo 170 verranno assunti con contratto a tempo indeterminato, ma con un orario settimanale di sole 25 ore pari a circa 650 euro lordi al mese. Ad altri 426 viene offerto, in alternativa allo staff leasing, un contratto di inserimento per un periodo massimo di 18 mesi, con sottoinquadramento contrattuale e sempre per un orario settimanale di 25 ore. Lo stesso vale per un gruppo di circa 1.100 lavoratori che si troverà assunto con analogo sottoinquadramento retributivo mediante contratto di apprendistato di durata massima di 36 mesi. Ciò, al di là della dubbia riconducibilità delle attività in oggetto ai contenuti formativi propri dell'apprendistato, ai soli fini di beneficiare dei generosi sconti contributivi previsti per i contratti di formazione, ma in palese violazione della clausola di contingentamento prevista dalla legge Biagi che pone un tetto massimo all'utilizzo di questo contratto.
Per garantirne l'effettiva valenza formativa si prevede infatti un limite nella assunzione degli apprendisti pari al 100% dei dipendenti a tempo indeterminato dell'impresa. Risulta evidente come, in questo caso, il rapporto numerico tra apprendisti e lavoratori a tempo indeterminato sia clamorosamente saltato, rendendo giuridicamente impraticabile l'intera intesa. Il tutto per giungere a una modesta riduzione di circa 900 unità del numero dei co.co.co. dell'azienda.
Con il che si pone una domanda molto semplice: ma qualcuno ha forse mai chiesto ai lavoratori se preferiscono un precariato a vita, in nome di una battaglia di principio contro la legge Biagi, o non piuttosto l'assunzione stabile e ampiamente tutelata che viene loro garantita tramite lo staff leasing?

Punti da ponderare

FISH Philosophy
Un'azienda che comunica con allegria: Sprint Global Connection Services

Sprint Global Connection Services fornisce assistenza agli abbonati telefonici che vogliono effettuare chiamate interurbane e internazionali. Gli oltre 1000 impiegati dei sette call center sparsi per il paese - Sprint ha complessivamente oltre 80.000 dipendenti - forniscono una serie di servizi: assistenza tramite operatore, informazioni, carte telefoniche, carte prepagate, customer service per chi acquista le carte prepagate e assistenza per la consultazione dell'elenco abbonati.
Cinque anni fa Lori Lockhart non si preoccupava dell'andirivieni di Elvis: la sua preoccupazione era il fatto che ad andarsene erano gli operatori telefonici. "Nel nostro settore il turnover era diventato un problema enorme, - e il business delle interurbane è estremamente competitivo", spiega. "Sapevamo che se non avessimo avuto un ambiente di lavoro capace di suscitare interesse nei dipendenti, questi si sarebbero cercati un altro posto."
Così, di primo acchito, l'espressione capace di suscitare interesse sembra poco adatta a qualificare i compiti di un operatore di call center. Per molti questo impiego rappresenta la prima occupazione, l'ingresso nel mondo del lavoro. Gli operatori gestiscono ogni giorno dalle 500 alle 800 chiamate che durano mediamente fra 30 e 35 secondi ciascuna, e hanno davanti a sé, sullo schermo dei computer, tutte le informazioni di cui hanno bisogno per gestire il servizio. "In generale non hanno difficoltà a imparare il lavoro, e dopo breve tempo lo svolgono in modo quasi automatico", spiega Mary Hogan. "Si trovano a rispondere a un'infinità di chiamate tutte uguali, e in queste condizioni è facile che perdano interesse, perché subentra la noia."
Che cosa si può fare per aiutare gli operatori a mantenere la giusta concentrazione per 800 chiamate al giorno? Nel 1997 Sprint pensò di rispondere a questa esigenza istituendo un regolamento rigido e complesso. "Negli ambienti competitivi, dove la pressione della concorrenza è forte, vi è la tendenza a controllare rigidamente i lavoratori, anziché concedere loro libertà d'azione", afferma Lori.
L'azienda aveva così stabilito un codice di regole specifiche per l'abbigliamento. "Abbiamo trascorso infinite ore in riunione per decidere gli indumenti che gli operatori potevano indossare", dice Mary. "Si discuteva di quanto dovessero essere lunghe le magliette, se le donne potevano indossare o meno i fuseaux. Ah, avevamo anche deciso che si potevano indossare i jeans, ma solo a condizione che non fossero di colore blu. "
L'azienda aveva stabilito un codice di regole specifiche per ciò che si poteva leggere. "Sapevamo che, mentre sono in attesa, gli operatori possono tranquillamente leggere qualcosa senza che questo comprometta la loro efficienza nel gestire le chiamate", racconta Mary. "Ma l'unico materiale che era concesso leggere erano le pubblicazioni aziendali. E sapete che cosa succedeva? Che tutti avevano davanti una rivista Sprint, ma dentro a questa infilavano una rivista femminile o di sport."
L'azienda aveva fissato delle norme persino sul modo corretto di sedersi. "Semplice ergonomia", spiega Mary.
"Ci sembrava quasi di esserci trasformati in poliziotti", interviene Lori. "Anziché studiare nuovi mezzi per sviluppare l'attività dell'azienda, ce ne stavamo lì a controllare gli operatori."
E più i manager facevano pressione, più gli operatori si opponevano. Riferisce Lori: "Le riunioni con gli operatori erano diventate una sorta di scontro sui dettagli. Loro chiedevano di poter mettere i piedi sulla sedia, di indossare i jeans anche il martedì oltre che il venerdì... questo genere di cose. Invocavano ogni tipo di concessione che potesse rendere meno stressante l'ambiente di lavoro".
Naturalmente erano stressati anche i manager. "Si lavorava in quel modo da moltissimo tempo", spiega Mary, che era al call center fin dal 1964. "Capivamo che bisognava cambiare qualcosa, ma non sapevamo che cosa. "
Nell'autunno dei 1997 Lori e i manager dei call center parteciparono a una conferenza sulla leadership organizzata dall'azienda. li relatore li sollecitò a individuare le "radiose possibilità" che si nascondono nei singoli operatori. "Noi avevamo sempre cercato di capire per quali motivi gli operatori non svolgevano bene il loro lavoro", spiega Lori, "e l'invito a cercare di individuare invece le nuove possibilità rappresentava effettivamente un'ottica diversa."
In quell'occasione intervenne anche un'esponente della Southwest Airlines che parlò dei principi ispiratori della celebre cultura della sua compagnia: libertà, lavoro in team e rispetto per i singoli dipendenti. Cinque minuti dopo avere iniziato il suo intervento, la donna aveva detto: "Oh, scusatemi, ho dimenticato una cosa".
Si era abbassata dietro il podio e ne era riemersa con indosso un cappello gonfiabile a forma di aeroplano, che tenne in testa fino al termine dell'intervento. A quel punto Lori, Mary e gli altri manager colsero il significato di quel gesto insolito: era ora di liberare l'allegria.
Ci vuole fede
Lori si riunì con i colleghi per cercare di capire come potesse essere un ambiente di lavoro nel quale, mentre si lavorava con impegno, ci si divertiva anche. E dopo lunghe discussioni su questo tema giunsero a definire nel modo che segue la nuova cultura che intendevano diffondere nel call center:
Siamo orgogliosi di essere una comunità basata sulla collaborazione, che opera in un ambiente ricco di feedback, aperto ai cambiamenti e alla diversità dei valori, e che apprende dalle proprie esperienze. La nostra attività si basa su idee creative e innovative che creano valore aggiunto per i clienti, i dipendenti e i soci Sprint. Realizziamo i nostri obiettivi perché ci sentiamo responsabili del contributo che offriamo all'azienda. Vogliamo avere successo tutti insieme e celebrare i risultati positivi che in tal modo conseguiamo.
Erano perfettamente consapevoli del fatto che una simile cultura non la si sarebbe introdotta in due settimane e nemmeno in un anno; ci sarebbero voluti dai tre ai cinque anni.
"Di questa decisione non parlammo con nessuno dei nostri capi", spiega Lori. "L'avevamo presa semplicemente perché ci sembrava la cosa giusta da fare. Confesso tuttavia che avevo molto timore. Avrebbe funzionato? Be', se avesse funzionato, ci avrebbe dato dei risultati concreti."
Anche gli altri erano intimoriti. "Ci dicemmo che ci saremmo presi per mano e avremmo fatto il salto tutti insieme", ricorda Lori. "Si trattava di una svolta nel modo di gestire il lavoro, e per intraprenderla ci voleva fede."
Il team inaugurò la nuova politica nel 1998 annunciando l'introduzione di un nuovo codice di abbigliamento: "Indossate ciò che più vi piace, a condizione che non comporti rischi per la sicurezza sul lavoro". Oltre a questo fu concesso a tutti di leggere ciò che preferivano.
"Dal momento che gli operatori ci avevano sempre rimproverati di trattarli come bambini, volevamo creare un ambiente di lavoro adulto", spiega Mary. "La responsabilità di servire i clienti è vostra. Se non riuscite a fare due cose contemporaneamente, dovete decidere di vostra iniziativa di rinunciare alla lettura. Quasi tutti, comunque, riescono a conciliare le due attività. Questo li aiuta a non annoiarsi nella lunga giornata di lavoro e, di conseguenza, a lavorare meglio."
Gli operatori accolsero con entusiasmo queste novità, ma Mary aveva ancora difficoltà a reperire personale disponibile per i turni della notte e del weekend per i call center di Kansas City e di Lenexa, un centro periferico a breve distanza dalla città. "In quelle occasioni si davano malati", ricorda Mary. "Quindi non riuscivamo a raggiungere gli obiettivi del servizio, che si misurano nel tempo medio di risposta alle chiamate."
L'azienda lanciò allora un programma estivo che si chiamava Managers Attack Service-Level Headaches (MASH), ispirato al celebre film di Altman e alla serie televisiva americana. Una sera Mary e i supervisori si fermarono fino a tardi per decorare i call center come l'ospedale da campo di MASH. Sul lavoro indossavano camicie color cachi e per incentivare gli straordinari offrivano dei prodotti a prezzi speciali. Al soffitto erano appesi, insieme con i moduli degli straordinari, dei flaconi per trasfusioni. I supervisori inviavano dolciumi agli operatori con una jeep telecomandata e organizzavano gare improvvisate.
I dipendenti ricominciarono a sorridere e i call center iniziarono a conseguire gli obiettivi previsti. "Quando iniziai a ricevere commenti scritti dagli operatori, mi resi conto che avevamo fatto centro", dice Mary. "Scrivevano che non avevano mai pensato che potessimo organizzare cose tanto divertenti per loro. Ci ringraziavano e ci invitavano a proseguire su questa strada."
In realtà avevamo intuito quel che ci voleva, ma non avevamo il coraggio di buttarci. Quei commenti ci diedero la forza di andare avanti."
...
Una risposta eloquente
La prima volta che Gary Owens, vicepresidente del customer service Sprint, si recò in visita al call center di Lenexa dopo che Mary aveva fatto installare le sfere da discoteca, le casse acustiche e il grande schermo televisivo, lei lo accolse davanti all'edificio. "Gli dissi: 'Gary, per evitarti un infarto, prima di entrare è forse bene che io ti informi di alcune novità che abbiamo introdotto'. Lui entrò e tutto quello che riuscì a dire fu: 'Mhmm... mhmm_ mhmm..'"
Poi Mary gli mostrò i risultati che il call center aveva raggiunto, e in alcuni casi superato, tutti gli obiettivi di retention, livello del servizio, produttività customer satisfaction e via dicendo. "Se mi avessi chiesto il permesso di installare delle sfere da discoteca ti avrei risposto: 'Non se ne parla neppure'", dichiarò Gary alcuni mesi dopo. "Ma di fronte al successo. non si discute."
Preso atto degli ottimi risultati che erano stati conseguiti, Gary approvò l'adozione di iniziative analoghe a tutti i livelli dell'organizzazione, utilizzando il gruppo di Lori come benchmark interno. Modificò anche la dichiarazione di visione dell'organizzazione, inserendovi questa frase: Lavoriamo con allegria e buonumore per fornirvi la customer experience ideale nel settore delle comunicazioni private.
I risultati iniziarono a migliorare nettamente in tutto il gruppo. Il primo anno superarono l'incremento del 25 per cento della retention che era stato posto come obiettivo, e da allora hanno sempre mantenuto un livello analogo. "Alcuni operatori hanno cercato di ottenere una posizione meglio retribuita all'interno del gruppo, ma poi sono tornati da noi perché qui si trovavano bene", racconta Marv.
Fra il 1997 e il 2001 la produttività, che era già elevata aumentò ancora del 20 per cento e i call center di Sprint hanno vinto diversi premi di customer satisfaction.
Il gruppo si pone di anno in anno obiettivi sempre più ambiziosi. "Li abbiamo raggiunti tutti", dice Mary.
Ma in passato lei valutava i progressi secondo altri parametri. "Prima camminavo per i corridoi e sentivo continuamente lamentele, vedevo sempre gente imbronciata. In queste situazioni si tende a filtrare un poco le cose e a destare meno attenzione di quanto si dovrebbe.
"Ma da quando è cambiata la nostra cultura tutti sono più contenti, più allegri e decisamente meno tesi. Adesso, quando passo per i corridoi e vedo qualcuno imbronciato, oppure ho la sensazione che ci sia qualche problema, sollevo subito le antenne. Adesso so che non è normale che ci siano dei problemi, quindi affronto subito la situazione e in questo modo le cose migliorano."
Mettere in pratica la filosofia
Mentre in passato Mary Hogan si limitava a redigere relazioni, adesso è diventata una sorta di animatrice. "Quando la mattina attraverso il call center ho come l'impressione di salire su un palcoscenico", spiega. "A seconda dello stato d'animo del momento indosso qualcosa di buffo e originale, oppure metto un po' di musica e invito un operatore a ballare con me.
"Lavoro nei call center da trentasette anni e sono la prova vivente che si può davvero cambiare. Il mio stile di management non ha nulla a che fare con quello che praticavo alcuni anni fa. Cambiare mi ha permesso di far conoscere a tutti il mio lato umano. Mi comporto in modo spontaneo e tutti mi vedono per quello che sono veramente. Mi sentono anche, perché spesso mi faccio delle belle risate sonore."
Mary ha avuto numerose possibilità di passare a incarichi di maggiore responsabilità. "Eppure non mi decido ad accettarli. Questi ultimi anni sono stati i più intensi e vitali della mia carriera, adesso lavoro veramente con passione."
"Abbiamo superato così tanti limiti che credo che ormai nulla ci possa più fermare. È evidente, tuttavia, che ogni volta che si intraprendono nuove iniziative ci si avventura su terreni nuovi e inesplorati. E non si tratta tanto di avere l'autorizzazione a sperimentare, perché qui tutti hanno la loro buona dose di autonomia, quanto piuttosto di assumersi dei rischi.
"È un po' come in Star Trek. Abbiamo il coraggio di andare dove nessuno e mai stato prima."

Tratto da "Fish!" Sperling & Kupfer - lettura consigliata dal Gruppo Telecom Italia

giovedì 18 gennaio 2007

Quando si dice che le telco fanno 'cartello'

Come fa fastweb...

Fastweb è l'ISP che "soddisfa di più i clienti"

Fastweb è prima in termini di soddisfazione complessiva dei clienti tra i maggiori fornitori di servizi internet (ISP) a banda larga italiani. E' quanto emerge dai risultati dello studio 2006 Italian Broadband Internet Service Providers Satisfaction StudySM di J.D.Power and Associates. La ricerca evidenzia come un fattore fondamentale per la soddisfazione complessiva sia il servizio clienti e in particolare i tempi di attesa prima di parlare con un addetto al servizio clienti. I partecipanti allo studio hanno tempi medi di attesa di 6,8 minuti.

Davvedo da meditarci su. Servizio clienti e tempi medi di attesa (che non significa però stressare gli operatori a 'troncare' le chiamate ai fatidici tre minuti altrimenti si ingenerano ulteriori e negativi paradossali effetti). Dunque contact center strategici (e non 'ultime ruote del carro' in quanto a capacità decisionali e operative) e maggior numero di operatori (l'unica opzione che permette di soddisfare contemporaneamente tutti gli indici di qualità del servizio).

Nostro micio in profonde pause 626

oltrechè sicuramente fuori tempo massimo (!)...



mercoledì 17 gennaio 2007

Lavoratori di Atesia contrari all'accordo

Il Collettivo Precariatesia contro l'accordo tra Cgil e Atesia
E' il risultato di un referendum tra i lavoratori e le lavoratrici del call center
di Francesca Carè

Il Collettivo Precariatesia lo chiama ricatto: è l’accordo firmato dall’azienda e dai sindacati confederali che trasforma il contratto a progetto in contratto a tempo indeterminato. Ricatto perché l’alternativa alla firma è la perdita del lavoro. Il 21 e 22 dicembre scorsi i lavoratori e le lavoratrici di Atesia, con un referendum che proteggeva l’anonimato e il cui corretto svolgimento è stato controllato direttamente da loro, sono stati chiamati a votare. Hanno scelto il “no” all’accordo. Motivazioni: esso non modifica le condizioni di precarietà perché obbliga all’accettazione di un part-time di quattro ore al giorno per uno stipendio di soli 550 euro, su turnazioni di 24 ore che non permettono a queste persone di fare un altro lavoro (necessario perché con quella cifra nessuno può condurre una vita decente). In più i lavoratori di Atesia dovrebbero firmare una liberatoria con la quale rinuncerebbero a tutti i diritti pregressi. Il Collettivo Precariatesia denuncia, inoltre, l’irregolarità con cui si sono svolte le consultazioni della Cgil negli altri call center, da Napoli a Milano a Palermo e Catania e persino tra i lavoratori dipendenti di Almaviva. L’accordo in queste sedi è passato con una percentuale dell’80% e “le votazioni si sono svolte per alzata di mano subito dopo le assemblee/beffa della Cgil”. Il Collettivo afferma che non può essere un caso che solo nelle condizioni di votazione con anonimato abbia vinto il no. Così i precari di Atesia, ancora una volta, sono costretti ad alzare la voce per far valere i loro diritti di fronte all’azienda e ai sindacati confederali.

A disposizione la mail precariatesia@yahoo.it

18 mesi per...

Il call center senza precariato
di MARINA CASSI

TORINO - Erano un ghetto, additati come le nuove ferriere di un capitalismo selvaggio. I call center hanno impersonato per anni il bad job - con una pletora di co.co.co e part time - in una città abituata a decenni di lavoro buono. Adesso - e lo dice un sindacalista della Slc-Cgil, Renato Rabellino - i call center «sono diventati industria, stabilizzano i dipendenti, cercano di costruire percorsi di crescita professionale». Insomma «danno un lavoro vero». A Torino è accaduto che Slc-Cgil, Fiste-Cisl, Uilcom-Uil e Comdata hanno firmato un accordo che prevede entro l’anno l’assunzione a tempo indeterminato di almeno 350 ragazzi tra la città, nella sede di via Carlo Alberto, e Ivrea; in tutta Italia saranno un po’ meno di 3 mila. Il criterio è che chi lavora in azienda con contratti flessibili da almeno 18 mesi avrà il posto fisso. E saranno rispettate le percentuali previste dal contratto delle Telecomunicazioni - sostituito al meno favorevole contratto del commercio - di 60% di addetti stabili e 40 a termine. Commenta Rabellino: «Nel cambiare il clima conta anche la presa di posizione del ministro Damiano che concede inventivi a chi stabilizza il lavoro». Ma la trasformazione è più generale: «I call center non sono più luoghi dove si risponde a un telefono o si fanno telefonate e basta: le mansioni sono spesso più articolate». E lo spiega anche Gianluigi Scorza, direttore generale della Contacta che compie quest’anno dieci anni e li celebra rivendicando: «Non abbiamo mai avuto co.co.co». Racconta: «La scelta è di fidelizzare i nostri circa mille addetti con contatti che per il 60% siano stabili». E aggiunge: «Ormai siamo oltre il call center perchè per i nostri clienti, tra cui Enel, Lavazza, DeLonghi, Carrefour, compagnie di assicurazioni, svolgiamo compiti complessi molto al di là del vecchio servizio telefonico».

fonte la stampa, 17/1/07

lunedì 15 gennaio 2007

Recuperiamo (qualche soldo)

Matera: Fondi per recupero turistico dei Sassi
di Onofrio Bruno

Un finanziamento di 100 mila euro e' stato stanziato dalla Regione Basilicata per i Sassi di Matera, gli antichi rioni in tufo patrimonio dell'Unesco, per rimuovere le principali situazioni di degrado presenti. I fondi sono stati assegnati al Comune con una delibera della giunta regionale.
Il finanziamento e' a carico del Por Basilicata 2000/2006, alla misura IV.6 (Valorizzazione e promozione turistica), Azione C (Valorizzazione turistica). Prevede, nell'ambito del finanziamento di infrastrutture e strutture per la fruibilita' corretta e non distruttiva delle risorse turistiche, anche interventi di recupero dal degrado di aree turistiche, come la rimozione di rifiuti.
''Si tratta – afferma Salvatore – di un sostegno rivolto a rafforzare e non vanificare gli interventi di valorizzazione turistica gia' eseguiti nella citta' dei Sassi e le azioni di promozione turistica e marketing strategico programmati a valere sul Por Basilicata 2000–2006. Con questo finanziamento si consentira' la realizzazione di interventi di rimozione di situazioni di degrado, pregiudizievoli alla immagine della localita' turistica e il potenziamento di servizi indispensabili a rendere piu' gradevole il soggiorno migliorando l'immagine e la gradevolezza dei luoghi''.

L'emergenza sociale parte dalle singole storie

Vita da atipici, anche in Puglia l'emergenza per il lavoro
di LINO DE MATTEIS

In fondo all'articolo anche il caso Datacontact Lecce. Ringraziamo il collega G. per la segnalazione.

Vita da precario. Crescono anche in Puglia i contratti a termine e atipici. Nel corso del 2006 la loro incidenza in Italia è aumentata del 13% sul totale dell’occupazione dipendente. E’ quanto emerge dalla ricerca dell’Istat, mentre, secondo i sindacati, la percentuale nel Mezzogiorno è molto più alta, almeno del 16-17%. Secondo una ricerca dell’Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali), affiancata dalla “Sapienza” di Roma, i lavoratori parasubordinati attivi, iscritti nel 2005 alla gestione separata dell’Inps, sono 1.475.111, a cui bisogna aggiungere 209.960 lavoratori con partita Iva individuale, sempre iscritti alla gestione separata dell’Inps. Insomma un esercito di lavoratori precari di 1.685.071, il 90% dei quali ha un unico committente e un reddito annuo non superiore a 10mila euro. Un’infinità di forme di lavoro atipico che crea una giungla normativa dietro la quale, di sovente, si cela una realtà di precariato, di sfruttamento, di camuffamento di lavoro subordinato a tutti gli effetti, ma a basso costo e senza vincoli per il datore di lavoro. Le testimonianze raccolte in questa pagina danno un quadro eloquente di questa realtà anche in Puglia. In questa regione, come tutto il Mezzogiorno, al lavoro atipico - che ormai non interessa solo le aziende private, ma diventa sempre di più una realtà anche negli enti pubblici, scuola, sanità, amministrazioni elettive, ecc. -, bisogna aggiungere quello sommerso e in nero. Un bracciante su quattro in Puglia è irregolare, secondo la Direzione regionale del lavoro, mentre l’assessore all’Occupazione, Marco Barbieri, ha annunciato una mappa del lavoro atipico, soprattutto nel call center. «Si spaccia per lavoro autonomo quello che con ogni evidenza autonomo non è», ha detto Barbieri.Una vera e propria emergenza lo sfruttamento del lavoro in Puglia, che in Capitanata ha assunto forme di neo schiavismo, come ha denunciato di recente il settimanale “L’Espresso”, e che ha portato Cgil, Cisl e Uil a organizzare proprio a Foggia una manifestazione contro il lavoro nero e lo sfruttamento. Nutrita anche la delegazione pugliese che sabato scorso ha partecipato alla manifestazione dei precari a Roma, mentre il sindacato cerca di inventarsi ogni azione di lotta per contrastare questa tendenza. La Cgil di Bari è arrivata perfino ad invitare al boicottaggio l’Hotel Excelsior, dove ci sarebbe un alto tasso di precarietà e lavoro nero.Secondo la Cgia di Mestre in Italia è di 100 miliardi il giro d’affari dell’economia in nero. In Puglia la stima dell’imponibile evasa a causa del lavoro irregolare è di 8.618 milioni di euro e l’evasione di imposta di 4.168 milioni.

"Dietro i contratti atipici si camuffa lavoro dipendente a tutti gli effetti"
«Più che cambiare la legge Biagi bisognerebbe abrogarla e riscrivere nuovamente le regole», dice Giovanni D’Arcangelo, responsabile Nidil (Nuove identità di lavoro) della Cgil di Taranto. «Sono favorevole alla flessibilità d’ingresso - dice -, ma che sia un ingresso che permetta al lavoratore di formarsi e di stablizzarsi. Non si possono avere contratti di collaborazione precari, formati da tantissimi tempi determinati, perchè alla fine diventa una precarietà a tempo indeterminato». Per Angelo Leo, responsabile Nidil di Brindisi, «i precari sono lavoratori privati di diritti universali comune alla malattia, alle ferie, al riposo, alla maternità, al trattamento di fine rapporto, all’indennità di disoccupazione, al reintergo nel posto di lavoro. Non parliamo poi delle pensioni: un lavoratore che per tutta la vita fa il precario avrà diritto ad una pensione di 250-300 euro al mese». Questa situazione per Leo «sta rendendo la vita delle persone, non solo precaria da un punto di vista sociale e materiale, ma anche da un punto di vista psicologico perchè porta a stati di depressione e di perdita di identità, di mancanza di prospettiva per il futuro». Leo non condivide gli attacchi fatti al ministro Damiano da parte dei Cobas nella manifestazione di sabato scorso, «ma ero in piazza a Roma con migliaia e migliaia di giovani e non più giovani che vogliono vedere un segnale diverso dal governo di centrosinistra sulla questione-precariato».Per il segretario della Cgil di Lecce, Biagio Malorgio, «c’è stata una diminuzione della disoccupazione dovuta all’aumento abnorme del lavoro atipico, che determina una non tutela e una non esigibilità di diritti delle persone. In questo modo la tipicità del lavoro atipico è proprio il camuffamento di un vero e proprio rapporto di lavoro dipendente a basso costo, con un livello salariale che si aggira intorno ai 500-600 euro al mese. Il tutto è condito da una pressione del sistema delle imprese, in particolare dei servizi e anche nel settore pubblico, centrato sui bassi costi e quindi sulla compressione delle tutele e dei diritti del lavoro dipendente. A farne le spese è soprattutto il Mezzogionro, le donne e le professionalità medio-alte». «Ci vuole una profonda revisione della legge 30 e del decreto legislativo 276 - conclude Malorgio - il rapporto di lavoro classico deve essere il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, dopo di che proponiamo anche una riforma del codice civile che demarchi la differenza tra lavoro autonomo e lavoro dipendente. Su questo quadro individuare due-tre rapporti di lavoro flessibile che in qualche modo preparino, anche attraverso la formazione, la trasformazione del lavoro a tempo indeterminato».

Le storie/1
Cameriera a tempo pieno per 650 euro
Dagli aperitivi speciali alla disponibilità totale
La prima condizione che pone la brindisina A.N. per parlare col cronista è che «non deve comparire il mio nome, non deve uscire niente perchè a Brindisi, si sa, quando escono i nomi non ti fanno lavorare più. L’intervista deve essere anonima. A.N., 32 anni, ha la licenza di scuola media, vive ancora con la famiglia e ha sempre lavorato fin da piccola, «perchè dovevo portare soldi a casa», nel mondo della ristorazione, pizzerie, pub, bar, «sempre in nero e sempre poco pagata». La sua è una storia tipica di ordinaria precarietà, come lavoratrice atipica, che diventa ordinario sfruttamento. «Nel bar di un autogril in cui lavoravo - racconta - mi avevano promesso all’inizio che tutto sarebbe stato in regola. Mi hanno assunta con un contratto di collaborazione a progetto per preparare aperitivi speciali. È finita che facevo di tutto, banconista, cassiera, preparazione di primi piatti, pulizie. Lavoravo otto-nove ore al giorno per 650 euro al mese». «Un bel giorno mi sono ammalata, avevo problemi di allergia alle mani per i prodotti che maneggiavo al lavoro. Mi sono resa conto allora che non mi toccava nè paga nè malattia, niente di niente. Mi sono rivolta al sindacato e sono stata licenziata. Pensi che il mio datore di lavoro mi ha accusata anche di aver fatto le ferie: ma quando mai, dove stanno queste ferie?». Ma A.N. ha anche un’altra storia da raccontare. «Questa estate - dice - ho lavorato in un altro bar. Abbiamo cominciato con sei ore, poi pian piano siamo andati a finire che ne facevo 9 e anche 10. Ma quel che è peggio è che volevano gestire anche il mio tempo libero, nel senso che venivo chiamata all’improvviso, in qualsiasi ora, mi dicevano “sbrigati che tra un’ora devi venire a lavorare”. Dovevo essere sempre disponibile a sostituire qualcuno, dovevo dare una sorta di reperibilità 24 ore su 24, oppure mi cambiavano i turni che avevamo stabilito come volevano loro sulla base delle loro esigenze, senza tenere in alcun conto le mie. Me ne sono andata». Ora è in attesa di lavorare in un nuovo bar, ma «questa volta mi hanno promesso un regolare contratto. Speriamo».

Le storie/2
Al telefono 200 chiamate al giorno
"Una beffa sentirsi dire trovati un lavoro"
Dopo un anno al call center della Doxa di Milano, «un lavoro interessante anche se precario», Luisa Pede, 28 anni di Lecce, laureata in giurisprudenza, è tornata a Lecce «perchè mi avevano promesso un lavoro stabile in una società che si occupa di formazione, ma poi hanno preferito un computer a me: “visto che dobbiamo investire preferiamo farlo sul software che sulle risorse umane”, mi è stato detto». Per sbarcare il lunario ha lavorato sei mesi, con contratto a progetto rinnovato ogni due, nel call center Transcom Europe di Surbo. «Dopo un corso di formazione di una settimana - racconta - mi hanno messo davanti al computer. Dovevo vendere pacchetti di prodotto di TeleDue, un’azienda seria per la verità che ci invitava ad essere corretti e seri con i clienti, a 5 euro lordi l’ora più circa un euro e mezzo in base ad una media di contatti calcolati tra quelli fatti, quelli andati a vuoto, quelli che superavano un certo tempo, quelli il cui contratto veniva sottoscritto e il tempo di lavoro complessivo. Alla fine del mese riuscivo a prendere circa 600 euro». «Duecento chiamate al giorno sono stressanti - dice - fatte con l’ansia di convincere il cliente, di non farti mandare subito a quel paese, di avere il computer che registra tutto e con il tuo lavoro che sarà sottoposto all’analisi dell’azienda. Ma la cosa più deprimente è quando ti senti rispondere al telefono ”ma trovati un lavoro”, come se quello che stai facendo non lo fosse, un colpo duro alla propria autostima. Si poteva scegliere se lavorare 4, 6 o 8 ore. All’inizio ho scelto 6, ma poi ho ridotto a 4 perchè proprio non ce la facevo, mi stava venendo l’esaurimento nervoso. Al terzo rinnovo ho detto basta». «Alla fine ho deciso di mettermi in proprio - dice - e con altri due amici stiamo mettendo su una società di amministrazione di condominio. Cosa vuoi? Con questi chiari di luna, il lavoro bisogna proprio inventarselo».

Le storie/3
Un impiegato del comune di Ori
Da Lsu a Co.Co.Co. per poi essere licenziato
Il precariato non è solo una questione che riguarda i giovani. Angelo Dell’Aquila, 45 anni di Oria, dal 31 luglio scorso si ritrova disoccupato, con moglie e tre figli, «per fortuna che il più grande si è arruolato al “San Marco”, almeno si mantiene da solo». A suo carico la moglie casalinga e gli altri due figli di 18 e 7 anni.Angelo lavorava come muratore edile, la sua ditta di Brindisi fallì. «Dopo una periodo di mobilità - racconta - dal 1995 al 2001 ho lavorato come Lsu (lavoratori socialmente utili) nell’ufficio gestione personale del comune di Oria. Dal 2002 ho continuato a lavorare nello stesso ufficio ma con un contratto di collaboratore Co.Co.Co. Da questa estate non mi hanno più rinnovato il contratto». «Per i primi tre anni di Co.Co.Co. - continua - ho lavorato per 20 ore settimanali, suddivise in quattro giorni, prendendo sui 750 euro mensili, ma senza percepire assegni familiari, senza ferie, senza il diritto di potermi ammalare».«All’inizio - aggiunge - nell’ufficio del personale c’erano tre dipendenti effettivi del comune, poi man mano non è rimasto più nessuno, dal 2002 a luglio 2006 sono restato di fatto solo a portare avanti l’ufficio, tanto che mi hanno aumentato il monte ore a 25, arrivando a prendere quanto prende un sesto livello, 1.150 euro mensili».«Senza quella entrata - dice Dell’Aquila - abbiamo grosse difficoltà ad arrivare alla fine del mese. Mi sono messo a fare produzione e post produzione video, riprese di matrimoni e altre cerimonie, pubblicità per qualche azienda. Ma è sempre un modo di arrangiarsi, alla mia età è difficile trovare lavoro, essere assunto per un impiego stabile».

Le storie/4
Magazziniere in un centro commerciale
"Con 570 euro al mese non posso vivere"
Il precariato investe anche chi uno stipendio apparentemente l’ha. E’ il caso di chi si ritrova con un contratto part-time senza alcuna possibilità di trasformarlo in full-time, a tempo pieno. E’ il caso concreto di un lettore che ha scritto al nostro giornale per segnalare la sua situazione. Roberto D’Elia, 33 anni di Fasano, da sette anni lavora come magazziniere presso il centro commerciale Emmezeta. E’ impiegato con un contratto a tempo indeterminato part-time, di 20 ore settimanali, con uno stipendio di 570 euro mensili. Da scapolo, bene o male, è riuscito a tirare avanti, ma da giugno scorso si è sposato e lo stipendio non basta più. Il suo cruccio è quello di non poter garantire un futuro dignitoso alla sua giovane signora Vicovan Florina Alina, ventiduenne romena.«Come farò a pagare l’affitto con 570 euro mensili?», si chiede D’Elia, «alla mia età nessuno mi prende più a lavorare. Cosa darò a mia moglie da mangiare? E se avrò un figlio come farò a crescerlo? Lo manderò in Parlamento a cibarsi?».D’Elia si rivolge a deputati e senatori, «sono loro che devono cambiare le leggi. I politici durante le votazioni si fanno in quattro per essere votati, poi al momento del bisogno anzichè fare giustizia con le leggi, voltano le spalle alla povera gente».E rivolge loro una preghiera: «Signori onorevoli e senatori vi prego di dare una mano a chi ha bisogno al fine di potersi realizzare sia come persona che per potersi fare una famiglia, altrimenti la gente potrebbe vedersi costretta ad andare a rubare, perchè un contratto a tempo indeterminato part-time, come il mio, e uno stipendio di 570 euro mensili non potrà mai e poi mai mantenere una famiglia e far fronte a tutto l’occorrente».Insomma una persona non può lavorare in eterno a metà tempo. Dopo sette anni di purgatorio Roberto D’Elia ritiene giusto che possa lavorare a tempo pieno per garantire un futuro alla sua famiglia e chiede aiuto ai politici.

Le storie/5
Con una ditta appaltatrice dell'Aqpù
In giro per contratti ma a proprie spese
Diplomato in ragioneria all’istituto Leopardi di Lecce, Daniele Caprioli, 32 anni di Lecce, a sposarsi non ci pensa proprio, «e come faccio con quello che guadagno non mi sarebbe proprio possibile». Da tre anni, Caprioli lavora per l’Aquedotto pugliese come letturista dei contatori dell’acqua. «Ma non sono alle dipendenze dell’Acquedotto - spiega - sono alle dipendenze delle ditte esterne che prendono l’appalto dall’Aqp per svolgere questo tipo di lavoro. Ho cambiato varie ditte in questi tre anni, perchè non è sempre la stessa che riesce a prendere l’appalto. La ditta presso cui lavoro adesso è la Integra di La Spezia. Sono tutte di fuori regione, un’altra per cui ho lavorato era di Rovigo».Da dipendente a cottimista. «I primi mesi - racconta Caprioli - ho lavorato con un normale contratto di metalmeccanico a 800 euro al mese. Poi ho cominciato a lavorare con un contratto a progetto, che in realtà è a cottimo poichè non ho un fisso ma un tanto a lettura di contatore. Mi danno 3000 letture da fare ad ogni campagna di letturazione e poi in base a quelle che faccio guadagno: sono 55 centisimi lordi (45 netti) a lettura». Caprioli è giovane e lavora sodo. «La mia media è di 90-30 al giorno - dice - e quindi finisco molto prima. Qualche volta, quando le finisco prima, me ne danno qualcun’altra da fare». «La società prende l’appalto per un anno - continua -, ma noi lavoriamo per periodi di due mesi, due mesi e mezzo. In un anno lavoriamo in media quattro volte della durata di due mesi l’una». Le condizioni sono quelle tipiche di un atipico. «Niente ferie - dice - e per spostarmi nei paesi della provincia le spese sono tutte a carico mio. Dei 6-700 euro che riesco a prendere al mese, bisogna togliere le spese del trasporto. Spese che diventano salate quando si rompe la macchina e bisogna ripararla per poter lavorare».

Le storie/6
Un operatore presso un call center
Controllati a vista da un "Grande fratello"
Come operatore della Teleperformance di Taranto lavora per la comittenza Enel. G.T., 30 anni di Taranto, è uno dei 1700 Co.Co.Pro., contratti a progetto a tre mesi, impiegati nel call center per 4 euro e 64 centesimi in media all’ora. Qualche premio viene riservato per i contratti portati a termine ma se fatti in numero elevato. «Si lavora in media 6-7 ore per riuscire a prendere 400-500 euro al mese», dice, sottolineando che lavora per più di un anno «con contratti che ogni due mesi vengono rinnovati automaticamente. In pratica sono a tempo continuato da quasi un anno e mezzo. Ci sono tutti i parametri per la subordinazione, in quanto viene rispettato l’orario di entrata e di uscita».Ma ciò che ha particolarmente colpito G.T. è il “controllo”. «Vi sono richiami e controlli sia sul comportamento - spiega - che controlli qualitativi nell’ambito lavorativo. Si attaccano al tuo sistema mentri lavori. Tu non li vedi ma loro guardano quello che fai, sentono quello che dici. Una sorta di “grande fratello” che sta nella tua cuffia. Sembra un acquario, ma tu non vedi chi ti ascolta. Non è proprio una bella cosa».«Una vita avvilente - continua - che va aggiunta al fatto che non ci sono ferie, non ci sono malattie. Il lavoro non ti dà certo alcuna soddisfazione e il guadagno è così limitato da non avere nessun stimolo. Non solo ti ascoltano e ti controllano senza che tu lo possa sapere, ma si parla anche con persone che non conosci e non conoscerai mai. Per l’Enel rispondiamo anche a chi vuole mettersi in contatto con l’ente elettrico e ha qualche problema da porre. Ma lavoriamo anche per Sky e altre società che vogliono vendere i loro pacchetti di prodotti».

Le storie/7
Assunti per cinque euro lordi all'ora, pagati 35 centesimi a chiamata
"Dal fisso, siamo passati al cottimo"
Una vita da precario atipico. Anche C.M., 31 anni di Lecce, chiede l’anonimato «per poter continuare a cercare lavoro. Sto cercando un altro posto presso un nuovo call center e se leggessero quello che dico potrebbero non prendermi. Me lo scordo di lavorare». Laureato in scienze della formazione all’università di Lecce, C.M. ha fatto molti mestieri, ha lavorato come pony express a Milano e ha messo bobine in un cinema a Bologna, «ho lavorato saltuariamente, consentiva di pagarmi gli studi universitari». Poi è rientrato nella sua città, dove ha lavorato per tre mesi, con un contratto a progetto, nel call center Data Contact di Lecce. La sua storia di telefonista è simile a quella di tanti altri. «Non solo il guadagno era modesto, ma ci hanno cambiato le condizioni all’improvviso - racconta -: dal pagamento con un fisso ad orario di 5 euro lordi all’ora, ci hanno all’improvviso cambiato retribuzione, passando al cottimo, pagandoci a contatto utile, 35 centesimi lordi a chiamata, netti sarebbero sui 20 centesimi. Più 5 euro ogni contratto portato a termine». «Una cosa da matti - dice perchè in un’ora dovevi fare 10 chiamate, se arrivavi all’undicesima i 35 centesimi lordi venivano ad essere ridotti, scalavano a 20 centesimi circa. Ci siamo sentiti presi in giro, anche perchè è successo da un momento all’altro senza che ci avessero avvisato. Sono venuti una sera e ci hanno detto “vi abbiamo cambiato modalità, così è, se non vi piace ve ne potete andare”». «In base ad una loro statistica - continua - bisognava fare dieci chiamate, se ne fai di più vuol dire che hai parlato poco con la gente, e quindi ti abbassano la tariffa. Molti, che non avevano ben chiaro questo meccanismo, cercavano di fare quante più telefonate possibile, pensando di guadagnare di più e invece guadagnavano di meno. C’è stata una ragazza che in otto ore di lavoro ha fatto solo tre euro, non sto scherzando era disperata. Ma anche se fai poche telefonate, ti dicono che parli troppo con i clienti e allora non sai mai bene che cosa fare». Ma sono anche le modalità del lavoro ad averlo impressionato: «E’ il computer che ti passa le chiamate, tu devi rispondere “buon giorno, famiglia Rossi, sono tizio, ti chiamo per questo, ecc”. Dovevamo vendere pacchetti Telecom, cercando magari di sottrarre clienti a TeleDue».Ha lavorato tre mesi, poi è andato a finire in un altro call center, che fa indagini e ricerche di mercato per varie aziende farmaceutiche e non. «Adesso sono disoccupato, perchè anche per avere un posto in call center devi avere la raccomandazione. Scrivi anche questo».

sabato 13 gennaio 2007

Principi di corretto management

Direttamente dalla Harvard Business Review una lezione:

1) Promettere meno e mantenere di più
2) Cura nelle attribuzioni delle mansioni e aspetti motivazionali
3) Follow-up non solo come necessità aziendali ma come sfide professionali
4) Incontri diretti con i board
5) I veri talenti non sono mercenari (oltre una certa soglia minima, s'intende)
6) La triade della soddisfazione va sempre tenuta in piedi: clienti-azienda-personale

da corriere della sera, pag.42 del 1.12.2006

Curri...culum

Calcolando che nei call center la media di presenza femminile è del 65%, io direi che questo candidato sarebbe proprio da assumere.

venerdì 12 gennaio 2007

Mercati morti, di nicchia o loculi?

Una strana richiesta

Mio padre muore il 6 ottobre. Il 13 ottobre cesso la linea Telecom. Ora ricevo una fattura dove Telecom, ancora, richiede a mio padre di pagare un "anticipo conversazioni". Evidentemente il nostro ex monopolista si accinge ad esplorare un nuovo mercato...

Maurizio Beretta, pierino@fastwebnet.it
da una lettera al corsera

Dall'Utile all'Inutile

Sindacati: protesta contro esternalizzazione 270 addetti

(ANSA) - ROMA, 12 GEN - Annunciato uno sciopero per il personale della Wind contro l'esternalizzazione di 270 addetti al call center di Milano Sesto San Giovanni. Lo riferisce il segretario nazionale della Uilcom Giorgio Serao. 'Lunedi' - dice - apriamo le procedure per lo sciopero. La societa' (circa 7.400 i dipendenti) e' in utile ed e' incomprensibile questa riduzione di organico'. Protesta indetta da Cgil, Cisl e Uil.

giovedì 11 gennaio 2007

Cariche e Ricariche

Abolire i privilegi

Ho accolto con piacere la notizia che il governo intende abolire i costi per la ricarica dei telefonini; ora mi aspetto che il governo annunci la riduzione dei costi per i privilegi di cui gode la classe politica.

di Francesco Duina, francescoduina@nwins.it
lettera al corsera del 7.1.07

mercoledì 10 gennaio 2007

Recente indagine. Lavoro finale

Molti spunti utili per migliorare la nostra situazione nelle linee guida.
A titolo di esempio alcuni mali, che vi riporto in tabella, di cui anche noi soffriamo e di cui discutiamo spesso. Il documento riporta alla fine una 'check-list' molto ben fatta e a mio parere ben più pregnante e indicativa delle nostre 'indagini di clima':
- Cause principali di stress: tempi troppo ristretti per rispondere, fretta eccessiva con conseguente calo della "qualità" (80%) (pag.5)
- Uno studio italiano del 2003 rivela il 64,4% di lavoratori con esplicito disagio psicologico e di risultati preoccupanti "per le molteplici forme di disagio psicologico riscontrato e per il peso dello stesso nella struttura lavorativa" (pag.6)
- Gli operatori di call center presentano i livelli più elevati di ansia lavoro-correlata con eccezione dei 'managers', mentre hanno i livelli più elevati in assoluto di depressione lavoro-correlata (pag.7)
- Un lavoro che viene giudicato molto ripetitivo (82%) e scarsamente in grado di valorizzare le risorse individuali (pag. 9)
- Il 65% dà una valutazione negativa del rumore ambientale lamentando difficoltà di concentrazione e distubri nelle conversazioni telefoniche (pag.9)
- Conflitto di ruolo: i manager dei call center ammettono che la qualità del servizio ai clienti è la priorità prevalente, però poi vengono monitorati gli indicatori di produttività e non quelli di qualità (pag.14)
- Una gestione attiva del lavoro comporterebbe meno stress (definizione dei propri compiti, ecc) (pag. 12)
- E' necessario che il sistema telefonico preveda pause tra una telefonata e l'altra (pag.18)
- Il controllo delle telefonate attraverso il loro ascolto deve avere l'obiettivo di verificare il grado di soddisfazione del cliente (pag.20), ascolto che dovrebbe prevedere modalità chiare a tutti e condivise
- Valutazione delle prestazioni condotte da persone addestrate all'utilizzo oggettivo, appropriato e corretto della valutazione e del suo feedback (pag.21)

Nell’ambito del Progetto Regionale “Stress e attività lavorativa”, previsto dal Piano Triennale in materia di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, il Servizio PSAL della ASL Città di Milano ha avviato un’ indagine presso un campione di call-center presenti nel territorio del Comune di Milano. L’indagine è stata mirata all’acquisizione delle modalità di lavoro svolte in questi ambiti e conseguentemente alla conoscenza delle problematiche ad esse correlate.
Nell’ introduzione del dr. Giancarlo Cattaneo, medico del lavoro del Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro della ASL Città di Milano, vengono descritti l’ambito dell’intervento e le modalità di gestione; sono riportati i dati relativi al numero di addetti nei call-center presenti su tutto il territorio nazionale, a partire dal 1993 fino ad arrivare al 2004, con relative stime di crescita dell’ occupazione nel comparto e confronto con la realtà europea; vengono esaminati i fattori di rischio lavorativi facilmente percepibili e quelli più latenti, non mancando di rifarsi anche ad una letteratura straniera. La valutazione finale elaborata dal gruppo di lavoro, in concomitanza con quanto riportato in altre ricerche straniere, ha confermato l’importanza dello stress come fattore di rischio principale presente in questi ambiti lavorativi; fattore a sua volta “costruito” su altri fattori specifici di disturbo presenti negli ambienti di lavoro ( si veda ad esempio la costrittività che impedisce la gestione, da parte del lavoratore, dei tempi e delle modalità di lavoro).
L’indagine è stata realizzata tramite la somministrazione di questionari ai lavoratori in un primo momento su un campione di aziende call-center (cosiddetti in house) con operatori assunti prevalentemente a tempo indeterminato; successivamente, valutato che il campione indagato poteva ritenersi parziale vista la realtà lavorativa attuale, è stato deciso di ampliare il progetto anche alle aziende call-center che svolgono servizi per conto terzi (outsourcing). Queste aziende, infatti, costituiscono una larga fetta di mercato che va espandendosi, con una popolazione lavorativa è sicuramente diversa dalla precedente, se non altro da un punto di vista contrattuale.
Nelle tabelle allegate alla relazione è possibile leggere l’analisi dei dati recuperati durante l’indagine. Sono state analizzate le caratteristiche del lavoro, l’ambiente di lavoro, il posto di lavoro e i disturbi ad esso correlati. Sono state effettuate correlazioni e confronti tra lavoratrici e lavoratori in merito all’anzianità lavorativa, alle caratteristiche del lavoro e ai disturbi insorti ed espressi dalle due parti.
Data la significatività del campione rispetto all’universo dei call-center, e valutati i limiti di un risultato che nasce da questionari individuali che registrano la soggettività dei lavoratori, è possibile trarre indicazioni conclusive che mostrano con grande evidenza il disagio profondo che i lavoratori del call-center hanno espresso. Disagio che si esprime in varie forme e nasce da alcune caratteristiche peculiari del lavoro nei call-center.
A conclusione dell’indagine svolta è stato organizzato dal Servizio PSAL della ASL Città di Milano un convegno a tema “Salute nei call-center: idee per un cambiamento”, tenutosi il 22/09/2006, durante il quale sono state presentate le Linee Guida per il lavoro nei call-center predisposte dal gruppo di lavoro. Tali Linee Guida sono state proposte come strumento per la valutazione del rischio e l’individuazione delle misure di prevenzione, così come previsto dall’art. 4 comma 1-2 del D.Lgs. 626/94.

fonte ASL Milano

martedì 9 gennaio 2007

Sapevate di questo volantino su Lecce?

La situazione di precarietà e di sfruttamento sui luoghi di lavoro è un tema oramai all'ordine del giorno ma nessuno sembra abbia la volontà di denunciare questo scempio.Manca sicuramente la volontà politica, manca la cultura della ribellione all'interno dei posti di lavoro dove l'alto livello di ricattabilità nei confronti dei lavoratori, precari, spinge questi in uno stato di subordinazione e di dipendenza dalle decisioni dei padroni.Uno degli esempi reali è quello dei call centers e qui a Lecce, purtroppo, ne abbiamo la prova. In questi ultimi giorni "decisioni dell'azienda" impongono ai lavoratori di Data Contact di occuparsi degli strumenti di lavoro, di custodirli e, nel caso di malfunzionamento, sono costretti anche a risarcire i danni, così una cuffietta rotta potrebbe costare al dipendente 150 €!Questo nuovo grave episodio spinge il Tavolo Permanente Contro la Precarietà (nel quale i giovani comunisti sono parte attiva) ad intervenie con azioni dirette all'interno del Call Center ed è per questo che si è deciso di organizzare un VOLANTINAGGIO PER MERCOLEDì 22 NOVEMBRE ALLE ORE 16:30 PRESSO DATA CONTACT, IN VIALE CALASSO, ALLE SPALLE DELLA FERMATA DEI BUS.

L'allegato è stato prelevato da qui

lunedì 8 gennaio 2007

Registrazioni per trasparenza verso il cliente

Tlc, nuovo giro di vite sui call center.
Saranno chiusi quelli che effettuano chiamate di disturbo

Entrerà in vigore alla fine del mese il nuovo regolamento varato dall’Autorità per le Telecomunicazioni per porre fine all’odiosa abitudine degli operatori telefonici di affibbiare agli utenti servizi mai richiesti ma che pesano, e parecchio, sulla bolletta.
Il nuovo regolamento segue la delibera emanata a fine novembre, per mezzo della quale l’Agcom ha letteralmente dichiarato guerra a queste pratiche abusive, denunciate all’Authority e al Garante privacy da migliaia di utenti al limite della loro capacità di sopportazione.
Una situazione talmente sfuggita dal controllo delle autorità e degli operatori, che il Presidente dell'Autorità Garante per la Protezione dei dati personali, Francesco Pizzetti, è arrivato ad affermare che si potrebbe addirittura procedere alla chiusura di quei call center “che effettuano chiamate di disturbo” nei confronti degli utenti.
Chiamate che spesso si concludono con l’attivazione, mai effettivamente richiesta dall’utente, di servizi e prodotti - linee veloci Internet, segreterie telefoniche, tariffe particolari, instradamento automatico della linea verso altro operatore - che vanno poi a gravare sul già salato conto bimestrale del telefono.
Nel 2005 sono stati più di mille gli esposti dei clienti contro le attivazioni mai sollecitate o contro le continue intromissioni negli orari più improbabili dei call center che tentano di convincere ad aderire a questo o quel servizio con un vero e proprio pressing commerciale.
“Nei prossimi mesi – ha proseguito Pizzetti - inizieremo a fare ispezioni sui call center. Se constateremo, come moltissime volte capita, che il cittadino non ha mai dato il consenso ad essere disturbato, potremmo anche arrivare a chiudere i call center. Una decisione dura – ha concluso - ma il fenomeno va stroncato ad ogni costo e in ogni modo”.
La delibera emanata a novembre dall’Agcom definiva le linee guida che i call center devono seguire quando effettuano una chiamata promozionale ai clienti. Diversi i punti su cui si è concentrata l’azione dell’Authority, che ha previsto innanzitutto l’obbligo di fornire al potenziale cliente, in caso di proposta telefonica, precise informazioni riguardo al proponente, alla società per conto della quale avviene il contatto telefonico, allo scopo del contatto telefonico nonché, in caso di in equivoca volontà di adesione alla proposta manifestata, il numero assegnato alla relativa pratica.
Secondo il provvedimento dell’Agcom, gli operatori non potranno in alcun caso sospendere il servizio telefonico in caso di pendenza di dispute o di insolvenza relativa ai servizi addizionali e dovranno adottare forme di fatturazione completamente separate fra telefonia di base e servizi aggiuntivi.
Per porre fine alle attivazioni selvagge, inoltre, l’Agcom ha disposto la registrazione integrale della conversazione telefonica, e l’invio al recapito indicato dall’utente di uno specifico modulo di conferma, non oltre lo stesso giorno in cui il contratto inizia a esplicare i suoi effetti, nonché il divieto di fornire beni o servizi di comunicazione elettronica diversi da quelli espressamente concordati.
Nel caso ciò avvenga, gli operatori dovranno provvedere a loro spese al ripristino delle condizioni preesistenti, mentre nessun corrispettivo potrà essere addebitato al cliente.
Il mancato rispetto di queste disposizioni regolamentari costerà alle società multe da un minimo di 58.000 a un massimo di 2.500.000 euro.
Secondo i dati di Adusbef sono oltre 2 milioni i consumatori che ogni anno sono costretti a pagare servizi non richiesti, per un volume d’affare di oltre 300 milioni di euro e un costo pro-capite pari a 150 euro ad utente.
I profitti legati a queste politiche di marketing abusive se non a vere e proprie scelte aziendali - al netto dei reclami e delle restituzioni delle somme a quei cittadini più attenti, che una volta accortisi del bidone non si stancano di reclamare la restituzione delle somme – sono pari a circa 200 milioni di euro, calcola Adusbef.
A fine dicembre, è intervenuto sulla questione anche il Garante Privacy che ha disposto l’applicazione di sanzioni amministrative, ulteriori ispezioni e, nei casi di infrazione più gravi, anche il divieto di continuare a trattare i dati personali dei potenziali clienti, dopo che – è stato accertato - il provvedimento in materia, emanato a marzo dello scorso anno, non ha sortito gli effetti sperati.
A marzo del 2006, il Garante aveva deciso di obbligare gli operatori ad adottare, entro il mese di maggio, misure specifiche per contrastare il fenomeno delle attivazione abusive.
I gestori telefonici e i call center, in base a queste disposizioni, avrebbero dovuto contattare soltanto le persone che avessero manifestato un preventivo consenso a ricevere chiamate e comunicazioni promozionali (indicato da appositi simboli sugli elenchi telefonici), nonché spiegare sempre e comunque agli interessati da dove fossero stati reperiti i dati personali che li riguardano e rispettare la volontà degli utenti di non essere più disturbati con offerte promozionali. Agli utenti, la possibilità di esigere di far cancellare i loro dati dal data base del call center nel quale siano stati indebitamente inseriti.
Nonostante la severità di queste norme, il fenomeno non ha subito alcuna riduzione, spingendo il Garante ad adottare nuove misure che vanno dalle sanzioni amministrative agli accertamenti ispettivi in collaborazione con la Guardia di Finanza.

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*© 2006 Key4biz (08 gennaio 2007, notizia 179131)