Vita da atipici, anche in Puglia l'emergenza per il lavoro
di LINO DE MATTEIS
In fondo all'articolo anche il caso Datacontact Lecce. Ringraziamo il collega G. per la segnalazione.
Vita da precario. Crescono anche in Puglia i contratti a termine e atipici. Nel corso del 2006 la loro incidenza in Italia è aumentata del 13% sul totale dell’occupazione dipendente. E’ quanto emerge dalla ricerca dell’Istat, mentre, secondo i sindacati, la percentuale nel Mezzogiorno è molto più alta, almeno del 16-17%. Secondo una ricerca dell’Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali), affiancata dalla “Sapienza” di Roma, i lavoratori parasubordinati attivi, iscritti nel 2005 alla gestione separata dell’Inps, sono 1.475.111, a cui bisogna aggiungere 209.960 lavoratori con partita Iva individuale, sempre iscritti alla gestione separata dell’Inps. Insomma un esercito di lavoratori precari di 1.685.071, il 90% dei quali ha un unico committente e un reddito annuo non superiore a 10mila euro. Un’infinità di forme di lavoro atipico che crea una giungla normativa dietro la quale, di sovente, si cela una realtà di precariato, di sfruttamento, di camuffamento di lavoro subordinato a tutti gli effetti, ma a basso costo e senza vincoli per il datore di lavoro. Le testimonianze raccolte in questa pagina danno un quadro eloquente di questa realtà anche in Puglia. In questa regione, come tutto il Mezzogiorno, al lavoro atipico - che ormai non interessa solo le aziende private, ma diventa sempre di più una realtà anche negli enti pubblici, scuola, sanità, amministrazioni elettive, ecc. -, bisogna aggiungere quello sommerso e in nero. Un bracciante su quattro in Puglia è irregolare, secondo la Direzione regionale del lavoro, mentre l’assessore all’Occupazione, Marco Barbieri, ha annunciato una mappa del lavoro atipico, soprattutto nel call center. «Si spaccia per lavoro autonomo quello che con ogni evidenza autonomo non è», ha detto Barbieri.Una vera e propria emergenza lo sfruttamento del lavoro in Puglia, che in Capitanata ha assunto forme di neo schiavismo, come ha denunciato di recente il settimanale “L’Espresso”, e che ha portato Cgil, Cisl e Uil a organizzare proprio a Foggia una manifestazione contro il lavoro nero e lo sfruttamento. Nutrita anche la delegazione pugliese che sabato scorso ha partecipato alla manifestazione dei precari a Roma, mentre il sindacato cerca di inventarsi ogni azione di lotta per contrastare questa tendenza. La Cgil di Bari è arrivata perfino ad invitare al boicottaggio l’Hotel Excelsior, dove ci sarebbe un alto tasso di precarietà e lavoro nero.Secondo la Cgia di Mestre in Italia è di 100 miliardi il giro d’affari dell’economia in nero. In Puglia la stima dell’imponibile evasa a causa del lavoro irregolare è di 8.618 milioni di euro e l’evasione di imposta di 4.168 milioni.
"Dietro i contratti atipici si camuffa lavoro dipendente a tutti gli effetti"
«Più che cambiare la legge Biagi bisognerebbe abrogarla e riscrivere nuovamente le regole», dice Giovanni D’Arcangelo, responsabile Nidil (Nuove identità di lavoro) della Cgil di Taranto. «Sono favorevole alla flessibilità d’ingresso - dice -, ma che sia un ingresso che permetta al lavoratore di formarsi e di stablizzarsi. Non si possono avere contratti di collaborazione precari, formati da tantissimi tempi determinati, perchè alla fine diventa una precarietà a tempo indeterminato». Per Angelo Leo, responsabile Nidil di Brindisi, «i precari sono lavoratori privati di diritti universali comune alla malattia, alle ferie, al riposo, alla maternità, al trattamento di fine rapporto, all’indennità di disoccupazione, al reintergo nel posto di lavoro. Non parliamo poi delle pensioni: un lavoratore che per tutta la vita fa il precario avrà diritto ad una pensione di 250-300 euro al mese». Questa situazione per Leo «sta rendendo la vita delle persone, non solo precaria da un punto di vista sociale e materiale, ma anche da un punto di vista psicologico perchè porta a stati di depressione e di perdita di identità, di mancanza di prospettiva per il futuro». Leo non condivide gli attacchi fatti al ministro Damiano da parte dei Cobas nella manifestazione di sabato scorso, «ma ero in piazza a Roma con migliaia e migliaia di giovani e non più giovani che vogliono vedere un segnale diverso dal governo di centrosinistra sulla questione-precariato».Per il segretario della Cgil di Lecce, Biagio Malorgio, «c’è stata una diminuzione della disoccupazione dovuta all’aumento abnorme del lavoro atipico, che determina una non tutela e una non esigibilità di diritti delle persone. In questo modo la tipicità del lavoro atipico è proprio il camuffamento di un vero e proprio rapporto di lavoro dipendente a basso costo, con un livello salariale che si aggira intorno ai 500-600 euro al mese. Il tutto è condito da una pressione del sistema delle imprese, in particolare dei servizi e anche nel settore pubblico, centrato sui bassi costi e quindi sulla compressione delle tutele e dei diritti del lavoro dipendente. A farne le spese è soprattutto il Mezzogionro, le donne e le professionalità medio-alte». «Ci vuole una profonda revisione della legge 30 e del decreto legislativo 276 - conclude Malorgio - il rapporto di lavoro classico deve essere il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, dopo di che proponiamo anche una riforma del codice civile che demarchi la differenza tra lavoro autonomo e lavoro dipendente. Su questo quadro individuare due-tre rapporti di lavoro flessibile che in qualche modo preparino, anche attraverso la formazione, la trasformazione del lavoro a tempo indeterminato».
Le storie/1
Cameriera a tempo pieno per 650 euro
Dagli aperitivi speciali alla disponibilità totale
La prima condizione che pone la brindisina A.N. per parlare col cronista è che «non deve comparire il mio nome, non deve uscire niente perchè a Brindisi, si sa, quando escono i nomi non ti fanno lavorare più. L’intervista deve essere anonima. A.N., 32 anni, ha la licenza di scuola media, vive ancora con la famiglia e ha sempre lavorato fin da piccola, «perchè dovevo portare soldi a casa», nel mondo della ristorazione, pizzerie, pub, bar, «sempre in nero e sempre poco pagata». La sua è una storia tipica di ordinaria precarietà, come lavoratrice atipica, che diventa ordinario sfruttamento. «Nel bar di un autogril in cui lavoravo - racconta - mi avevano promesso all’inizio che tutto sarebbe stato in regola. Mi hanno assunta con un contratto di collaborazione a progetto per preparare aperitivi speciali. È finita che facevo di tutto, banconista, cassiera, preparazione di primi piatti, pulizie. Lavoravo otto-nove ore al giorno per 650 euro al mese». «Un bel giorno mi sono ammalata, avevo problemi di allergia alle mani per i prodotti che maneggiavo al lavoro. Mi sono resa conto allora che non mi toccava nè paga nè malattia, niente di niente. Mi sono rivolta al sindacato e sono stata licenziata. Pensi che il mio datore di lavoro mi ha accusata anche di aver fatto le ferie: ma quando mai, dove stanno queste ferie?». Ma A.N. ha anche un’altra storia da raccontare. «Questa estate - dice - ho lavorato in un altro bar. Abbiamo cominciato con sei ore, poi pian piano siamo andati a finire che ne facevo 9 e anche 10. Ma quel che è peggio è che volevano gestire anche il mio tempo libero, nel senso che venivo chiamata all’improvviso, in qualsiasi ora, mi dicevano “sbrigati che tra un’ora devi venire a lavorare”. Dovevo essere sempre disponibile a sostituire qualcuno, dovevo dare una sorta di reperibilità 24 ore su 24, oppure mi cambiavano i turni che avevamo stabilito come volevano loro sulla base delle loro esigenze, senza tenere in alcun conto le mie. Me ne sono andata». Ora è in attesa di lavorare in un nuovo bar, ma «questa volta mi hanno promesso un regolare contratto. Speriamo».
Le storie/2
Al telefono 200 chiamate al giorno
"Una beffa sentirsi dire trovati un lavoro"
Dopo un anno al call center della Doxa di Milano, «un lavoro interessante anche se precario», Luisa Pede, 28 anni di Lecce, laureata in giurisprudenza, è tornata a Lecce «perchè mi avevano promesso un lavoro stabile in una società che si occupa di formazione, ma poi hanno preferito un computer a me: “visto che dobbiamo investire preferiamo farlo sul software che sulle risorse umane”, mi è stato detto». Per sbarcare il lunario ha lavorato sei mesi, con contratto a progetto rinnovato ogni due, nel call center Transcom Europe di Surbo. «Dopo un corso di formazione di una settimana - racconta - mi hanno messo davanti al computer. Dovevo vendere pacchetti di prodotto di TeleDue, un’azienda seria per la verità che ci invitava ad essere corretti e seri con i clienti, a 5 euro lordi l’ora più circa un euro e mezzo in base ad una media di contatti calcolati tra quelli fatti, quelli andati a vuoto, quelli che superavano un certo tempo, quelli il cui contratto veniva sottoscritto e il tempo di lavoro complessivo. Alla fine del mese riuscivo a prendere circa 600 euro». «Duecento chiamate al giorno sono stressanti - dice - fatte con l’ansia di convincere il cliente, di non farti mandare subito a quel paese, di avere il computer che registra tutto e con il tuo lavoro che sarà sottoposto all’analisi dell’azienda. Ma la cosa più deprimente è quando ti senti rispondere al telefono ”ma trovati un lavoro”, come se quello che stai facendo non lo fosse, un colpo duro alla propria autostima. Si poteva scegliere se lavorare 4, 6 o 8 ore. All’inizio ho scelto 6, ma poi ho ridotto a 4 perchè proprio non ce la facevo, mi stava venendo l’esaurimento nervoso. Al terzo rinnovo ho detto basta». «Alla fine ho deciso di mettermi in proprio - dice - e con altri due amici stiamo mettendo su una società di amministrazione di condominio. Cosa vuoi? Con questi chiari di luna, il lavoro bisogna proprio inventarselo».
Le storie/3
Un impiegato del comune di Ori
Da Lsu a Co.Co.Co. per poi essere licenziato
Il precariato non è solo una questione che riguarda i giovani. Angelo Dell’Aquila, 45 anni di Oria, dal 31 luglio scorso si ritrova disoccupato, con moglie e tre figli, «per fortuna che il più grande si è arruolato al “San Marco”, almeno si mantiene da solo». A suo carico la moglie casalinga e gli altri due figli di 18 e 7 anni.Angelo lavorava come muratore edile, la sua ditta di Brindisi fallì. «Dopo una periodo di mobilità - racconta - dal 1995 al 2001 ho lavorato come Lsu (lavoratori socialmente utili) nell’ufficio gestione personale del comune di Oria. Dal 2002 ho continuato a lavorare nello stesso ufficio ma con un contratto di collaboratore Co.Co.Co. Da questa estate non mi hanno più rinnovato il contratto». «Per i primi tre anni di Co.Co.Co. - continua - ho lavorato per 20 ore settimanali, suddivise in quattro giorni, prendendo sui 750 euro mensili, ma senza percepire assegni familiari, senza ferie, senza il diritto di potermi ammalare».«All’inizio - aggiunge - nell’ufficio del personale c’erano tre dipendenti effettivi del comune, poi man mano non è rimasto più nessuno, dal 2002 a luglio 2006 sono restato di fatto solo a portare avanti l’ufficio, tanto che mi hanno aumentato il monte ore a 25, arrivando a prendere quanto prende un sesto livello, 1.150 euro mensili».«Senza quella entrata - dice Dell’Aquila - abbiamo grosse difficoltà ad arrivare alla fine del mese. Mi sono messo a fare produzione e post produzione video, riprese di matrimoni e altre cerimonie, pubblicità per qualche azienda. Ma è sempre un modo di arrangiarsi, alla mia età è difficile trovare lavoro, essere assunto per un impiego stabile».
Le storie/4
Magazziniere in un centro commerciale
"Con 570 euro al mese non posso vivere"
Il precariato investe anche chi uno stipendio apparentemente l’ha. E’ il caso di chi si ritrova con un contratto part-time senza alcuna possibilità di trasformarlo in full-time, a tempo pieno. E’ il caso concreto di un lettore che ha scritto al nostro giornale per segnalare la sua situazione. Roberto D’Elia, 33 anni di Fasano, da sette anni lavora come magazziniere presso il centro commerciale Emmezeta. E’ impiegato con un contratto a tempo indeterminato part-time, di 20 ore settimanali, con uno stipendio di 570 euro mensili. Da scapolo, bene o male, è riuscito a tirare avanti, ma da giugno scorso si è sposato e lo stipendio non basta più. Il suo cruccio è quello di non poter garantire un futuro dignitoso alla sua giovane signora Vicovan Florina Alina, ventiduenne romena.«Come farò a pagare l’affitto con 570 euro mensili?», si chiede D’Elia, «alla mia età nessuno mi prende più a lavorare. Cosa darò a mia moglie da mangiare? E se avrò un figlio come farò a crescerlo? Lo manderò in Parlamento a cibarsi?».D’Elia si rivolge a deputati e senatori, «sono loro che devono cambiare le leggi. I politici durante le votazioni si fanno in quattro per essere votati, poi al momento del bisogno anzichè fare giustizia con le leggi, voltano le spalle alla povera gente».E rivolge loro una preghiera: «Signori onorevoli e senatori vi prego di dare una mano a chi ha bisogno al fine di potersi realizzare sia come persona che per potersi fare una famiglia, altrimenti la gente potrebbe vedersi costretta ad andare a rubare, perchè un contratto a tempo indeterminato part-time, come il mio, e uno stipendio di 570 euro mensili non potrà mai e poi mai mantenere una famiglia e far fronte a tutto l’occorrente».Insomma una persona non può lavorare in eterno a metà tempo. Dopo sette anni di purgatorio Roberto D’Elia ritiene giusto che possa lavorare a tempo pieno per garantire un futuro alla sua famiglia e chiede aiuto ai politici.
Le storie/5
Con una ditta appaltatrice dell'Aqpù
In giro per contratti ma a proprie spese
Diplomato in ragioneria all’istituto Leopardi di Lecce, Daniele Caprioli, 32 anni di Lecce, a sposarsi non ci pensa proprio, «e come faccio con quello che guadagno non mi sarebbe proprio possibile». Da tre anni, Caprioli lavora per l’Aquedotto pugliese come letturista dei contatori dell’acqua. «Ma non sono alle dipendenze dell’Acquedotto - spiega - sono alle dipendenze delle ditte esterne che prendono l’appalto dall’Aqp per svolgere questo tipo di lavoro. Ho cambiato varie ditte in questi tre anni, perchè non è sempre la stessa che riesce a prendere l’appalto. La ditta presso cui lavoro adesso è la Integra di La Spezia. Sono tutte di fuori regione, un’altra per cui ho lavorato era di Rovigo».Da dipendente a cottimista. «I primi mesi - racconta Caprioli - ho lavorato con un normale contratto di metalmeccanico a 800 euro al mese. Poi ho cominciato a lavorare con un contratto a progetto, che in realtà è a cottimo poichè non ho un fisso ma un tanto a lettura di contatore. Mi danno 3000 letture da fare ad ogni campagna di letturazione e poi in base a quelle che faccio guadagno: sono 55 centisimi lordi (45 netti) a lettura». Caprioli è giovane e lavora sodo. «La mia media è di 90-30 al giorno - dice - e quindi finisco molto prima. Qualche volta, quando le finisco prima, me ne danno qualcun’altra da fare». «La società prende l’appalto per un anno - continua -, ma noi lavoriamo per periodi di due mesi, due mesi e mezzo. In un anno lavoriamo in media quattro volte della durata di due mesi l’una». Le condizioni sono quelle tipiche di un atipico. «Niente ferie - dice - e per spostarmi nei paesi della provincia le spese sono tutte a carico mio. Dei 6-700 euro che riesco a prendere al mese, bisogna togliere le spese del trasporto. Spese che diventano salate quando si rompe la macchina e bisogna ripararla per poter lavorare».
Le storie/6
Un operatore presso un call center
Controllati a vista da un "Grande fratello"
Come operatore della Teleperformance di Taranto lavora per la comittenza Enel. G.T., 30 anni di Taranto, è uno dei 1700 Co.Co.Pro., contratti a progetto a tre mesi, impiegati nel call center per 4 euro e 64 centesimi in media all’ora. Qualche premio viene riservato per i contratti portati a termine ma se fatti in numero elevato. «Si lavora in media 6-7 ore per riuscire a prendere 400-500 euro al mese», dice, sottolineando che lavora per più di un anno «con contratti che ogni due mesi vengono rinnovati automaticamente. In pratica sono a tempo continuato da quasi un anno e mezzo. Ci sono tutti i parametri per la subordinazione, in quanto viene rispettato l’orario di entrata e di uscita».Ma ciò che ha particolarmente colpito G.T. è il “controllo”. «Vi sono richiami e controlli sia sul comportamento - spiega - che controlli qualitativi nell’ambito lavorativo. Si attaccano al tuo sistema mentri lavori. Tu non li vedi ma loro guardano quello che fai, sentono quello che dici. Una sorta di “grande fratello” che sta nella tua cuffia. Sembra un acquario, ma tu non vedi chi ti ascolta. Non è proprio una bella cosa».«Una vita avvilente - continua - che va aggiunta al fatto che non ci sono ferie, non ci sono malattie. Il lavoro non ti dà certo alcuna soddisfazione e il guadagno è così limitato da non avere nessun stimolo. Non solo ti ascoltano e ti controllano senza che tu lo possa sapere, ma si parla anche con persone che non conosci e non conoscerai mai. Per l’Enel rispondiamo anche a chi vuole mettersi in contatto con l’ente elettrico e ha qualche problema da porre. Ma lavoriamo anche per Sky e altre società che vogliono vendere i loro pacchetti di prodotti».
Le storie/7
Assunti per cinque euro lordi all'ora, pagati 35 centesimi a chiamata
"Dal fisso, siamo passati al cottimo"
Una vita da precario atipico. Anche C.M., 31 anni di Lecce, chiede l’anonimato «per poter continuare a cercare lavoro. Sto cercando un altro posto presso un nuovo call center e se leggessero quello che dico potrebbero non prendermi. Me lo scordo di lavorare». Laureato in scienze della formazione all’università di Lecce, C.M. ha fatto molti mestieri, ha lavorato come pony express a Milano e ha messo bobine in un cinema a Bologna, «ho lavorato saltuariamente, consentiva di pagarmi gli studi universitari». Poi è rientrato nella sua città, dove ha lavorato per tre mesi, con un contratto a progetto, nel call center Data Contact di Lecce. La sua storia di telefonista è simile a quella di tanti altri. «Non solo il guadagno era modesto, ma ci hanno cambiato le condizioni all’improvviso - racconta -: dal pagamento con un fisso ad orario di 5 euro lordi all’ora, ci hanno all’improvviso cambiato retribuzione, passando al cottimo, pagandoci a contatto utile, 35 centesimi lordi a chiamata, netti sarebbero sui 20 centesimi. Più 5 euro ogni contratto portato a termine». «Una cosa da matti - dice perchè in un’ora dovevi fare 10 chiamate, se arrivavi all’undicesima i 35 centesimi lordi venivano ad essere ridotti, scalavano a 20 centesimi circa. Ci siamo sentiti presi in giro, anche perchè è successo da un momento all’altro senza che ci avessero avvisato. Sono venuti una sera e ci hanno detto “vi abbiamo cambiato modalità, così è, se non vi piace ve ne potete andare”». «In base ad una loro statistica - continua - bisognava fare dieci chiamate, se ne fai di più vuol dire che hai parlato poco con la gente, e quindi ti abbassano la tariffa. Molti, che non avevano ben chiaro questo meccanismo, cercavano di fare quante più telefonate possibile, pensando di guadagnare di più e invece guadagnavano di meno. C’è stata una ragazza che in otto ore di lavoro ha fatto solo tre euro, non sto scherzando era disperata. Ma anche se fai poche telefonate, ti dicono che parli troppo con i clienti e allora non sai mai bene che cosa fare». Ma sono anche le modalità del lavoro ad averlo impressionato: «E’ il computer che ti passa le chiamate, tu devi rispondere “buon giorno, famiglia Rossi, sono tizio, ti chiamo per questo, ecc”. Dovevamo vendere pacchetti Telecom, cercando magari di sottrarre clienti a TeleDue».Ha lavorato tre mesi, poi è andato a finire in un altro call center, che fa indagini e ricerche di mercato per varie aziende farmaceutiche e non. «Adesso sono disoccupato, perchè anche per avere un posto in call center devi avere la raccomandazione. Scrivi anche questo».