Fabbriche di animali chiamate «call
center»
di Bruno Ugolini <brunougolini@mclink.it>
È stato un abbaglio e forse ora anche questa rubrica dovrà scomparire. Alludiamo a vere e proprie campagna di stampa sostenute da autorevoli studiosi, come Pietro Ichino e da importanti giornali come «Il Sole 24 ore». Il messaggio in sostanza è questo: la legge 30 non ha cambiato quasi nulla, la flessibilità c’è sempre stata e gli interessati l’accettano volentieri. Perciò il centrosinistra sbaglia nel proporre modifiche, nuove leggi, abrogazioni. Il pretesto è stato dato da un sondaggio tra lavoratori dipendenti privati, organizzato da Ipso-Cise. I risultati, a dire il vero, dovrebbero dar luogo a riflessioni più articolate, rispetto a quelle che abbiamo letto. Solo il 14 per cento degli interpellati, infatti, considera la legge 30 (ribattezzata da «Europa» come legge Maroni) una legge positiva e il 2 per cento molto positiva. Mentre il 18 per cento esprime un parere negativo e il 6 per cento molto negativo. C’è, certo, una maggioranza (il 42 per cento) che si mette tra le due posizioni e sostiene che la legge 30 contiene «elementi positivi e altri negativi». Mentre un altro 18 per cento si astiene, «non sa nulla». Ma bastano questi dati per far dire che la legge Maroni ha fatto del bene al mondo del lavoro?
È molto probabile, ad ogni modo, che se la platea degli interpellati (nel sondaggio Ipso-Cise) fosse stata ristretta ai lavoratori a progetto o agli interinali, il verdetto sulla legge Maroni avrebbe acquisito tinte più fosche. Prendiamo le recentissime, moderne cattedrali dei “call center”, protagoniste di una recente inchiesta promossa da «Unità On line» che ha chiesto pareri a lavoratori e anche ad utenti. Ad un certo punto di questo scambio di E-Mail è apparsa una definizione tremenda. Uno di questi giovani che lavora, appunto, in un call center, lo ha descritto come «una fabbrica di animali». Una tale immagine gli è stata suggerita dopo aver letto, a casa, il libro di uno studioso veterinario, dedicato all’analisi dello stress nei comportamenti delle bestie. E così il nostro lettore, mentre si trovava nel call center, col suo auricolare appeso alle orecchie, dopo l’ennesimo «vada a quel Paese» del cliente inferocito, aveva alzato lo sguardo. E operando in tal modo si era accorto che la piccola massa dei suoi colleghi, muniti di auricolare, sembrava essere in preda proprio agli stessi tic descritti dal veterinario. Call-centristi ridotti come tanti piccoli animali stressati e in gabbia.
È questa la realtà che balza dalle tante testimonianze raccolte. Sono le nuove grandiose officine dove al posto delle linee di montaggio vi sono le linee degli auricolari. Chi di noi non riceve magari una volta il giorno la telefonata da un call center? Sono voci assillanti che per un misero guadagno cercano di convincervi ad abbonarvi a questo o a quel servizio telefonico, o ad acquistare determinati prodotti. Oppure siete voi che fate il fatidico numero verde per essere aiutati nella esatta esecuzione di un programma che dovrebbe far compiere meraviglie al vostro computer, oppure volete pagare una multa o una tassa senza dover far la fila alla posta. Ed ecco tante storie kafkiane che hanno come protagonisti Telecom, Wind, Mediolanum, le poste, le banche... Quella che è apparsa nell’inchiesta è la fotografia di un mondo assordante. Con ragazzi che percepiscono magari sei Euro l’ora e voi pensate alla vostra Colf che costa molto di più.
Sono una parte dei cosiddetti lavori “atipici”, quelli investiti, appunto, dalla cosiddetta legge Maroni. Quando alcuni di questi lavori sono apparsi alla ribalta delle cronache, alcuni anni or sono, molti avevano, in certi casi, giustamente apprezzato quelle che erano considerate forme di “auto-imprenditorialità”. Molti giovani potevano cimentarsi in nuove mansioni, collocate specialmente nella nuova economia, con una propria organizzazione del lavoro, con propri orari, con propri spazi. C’era chi magnificava le sorti di una generazione che non doveva più stare sotto padrone, intenta ogni mattina a timbrare il cartellino. Tutti piccoli capitalisti e tutti intenti a fabbricare una propria forma di comunismo casalingo. Non è andata così, come vediamo bene oggi. Quella realtà ha presto assunto significati diversi, sovente quello di un lavoro nuovo eguale a quello antico, con le stesse modalità ma con molti meno diritti e tutele. Interi settori del mondo del lavoro sono stati, infatti “invasi” da lavori e lavoretti considerati atipici in cui non c'era nulla di questa auto-imprenditorialità. È il caso, appunto, dei call center, moderne fabbriche dove c’è chi si sente come un animale. E vorrebbe uscire dalla gabbia. Anche se i sondaggi magari descrivono una situazione edulcorata...
di Bruno Ugolini <brunougolini@mclink.it>
È stato un abbaglio e forse ora anche questa rubrica dovrà scomparire. Alludiamo a vere e proprie campagna di stampa sostenute da autorevoli studiosi, come Pietro Ichino e da importanti giornali come «Il Sole 24 ore». Il messaggio in sostanza è questo: la legge 30 non ha cambiato quasi nulla, la flessibilità c’è sempre stata e gli interessati l’accettano volentieri. Perciò il centrosinistra sbaglia nel proporre modifiche, nuove leggi, abrogazioni. Il pretesto è stato dato da un sondaggio tra lavoratori dipendenti privati, organizzato da Ipso-Cise. I risultati, a dire il vero, dovrebbero dar luogo a riflessioni più articolate, rispetto a quelle che abbiamo letto. Solo il 14 per cento degli interpellati, infatti, considera la legge 30 (ribattezzata da «Europa» come legge Maroni) una legge positiva e il 2 per cento molto positiva. Mentre il 18 per cento esprime un parere negativo e il 6 per cento molto negativo. C’è, certo, una maggioranza (il 42 per cento) che si mette tra le due posizioni e sostiene che la legge 30 contiene «elementi positivi e altri negativi». Mentre un altro 18 per cento si astiene, «non sa nulla». Ma bastano questi dati per far dire che la legge Maroni ha fatto del bene al mondo del lavoro?
È molto probabile, ad ogni modo, che se la platea degli interpellati (nel sondaggio Ipso-Cise) fosse stata ristretta ai lavoratori a progetto o agli interinali, il verdetto sulla legge Maroni avrebbe acquisito tinte più fosche. Prendiamo le recentissime, moderne cattedrali dei “call center”, protagoniste di una recente inchiesta promossa da «Unità On line» che ha chiesto pareri a lavoratori e anche ad utenti. Ad un certo punto di questo scambio di E-Mail è apparsa una definizione tremenda. Uno di questi giovani che lavora, appunto, in un call center, lo ha descritto come «una fabbrica di animali». Una tale immagine gli è stata suggerita dopo aver letto, a casa, il libro di uno studioso veterinario, dedicato all’analisi dello stress nei comportamenti delle bestie. E così il nostro lettore, mentre si trovava nel call center, col suo auricolare appeso alle orecchie, dopo l’ennesimo «vada a quel Paese» del cliente inferocito, aveva alzato lo sguardo. E operando in tal modo si era accorto che la piccola massa dei suoi colleghi, muniti di auricolare, sembrava essere in preda proprio agli stessi tic descritti dal veterinario. Call-centristi ridotti come tanti piccoli animali stressati e in gabbia.
È questa la realtà che balza dalle tante testimonianze raccolte. Sono le nuove grandiose officine dove al posto delle linee di montaggio vi sono le linee degli auricolari. Chi di noi non riceve magari una volta il giorno la telefonata da un call center? Sono voci assillanti che per un misero guadagno cercano di convincervi ad abbonarvi a questo o a quel servizio telefonico, o ad acquistare determinati prodotti. Oppure siete voi che fate il fatidico numero verde per essere aiutati nella esatta esecuzione di un programma che dovrebbe far compiere meraviglie al vostro computer, oppure volete pagare una multa o una tassa senza dover far la fila alla posta. Ed ecco tante storie kafkiane che hanno come protagonisti Telecom, Wind, Mediolanum, le poste, le banche... Quella che è apparsa nell’inchiesta è la fotografia di un mondo assordante. Con ragazzi che percepiscono magari sei Euro l’ora e voi pensate alla vostra Colf che costa molto di più.
Sono una parte dei cosiddetti lavori “atipici”, quelli investiti, appunto, dalla cosiddetta legge Maroni. Quando alcuni di questi lavori sono apparsi alla ribalta delle cronache, alcuni anni or sono, molti avevano, in certi casi, giustamente apprezzato quelle che erano considerate forme di “auto-imprenditorialità”. Molti giovani potevano cimentarsi in nuove mansioni, collocate specialmente nella nuova economia, con una propria organizzazione del lavoro, con propri orari, con propri spazi. C’era chi magnificava le sorti di una generazione che non doveva più stare sotto padrone, intenta ogni mattina a timbrare il cartellino. Tutti piccoli capitalisti e tutti intenti a fabbricare una propria forma di comunismo casalingo. Non è andata così, come vediamo bene oggi. Quella realtà ha presto assunto significati diversi, sovente quello di un lavoro nuovo eguale a quello antico, con le stesse modalità ma con molti meno diritti e tutele. Interi settori del mondo del lavoro sono stati, infatti “invasi” da lavori e lavoretti considerati atipici in cui non c'era nulla di questa auto-imprenditorialità. È il caso, appunto, dei call center, moderne fabbriche dove c’è chi si sente come un animale. E vorrebbe uscire dalla gabbia. Anche se i sondaggi magari descrivono una situazione edulcorata...
Fonte: rubrica ATIPICIACHI de
l'Unità, 06 Febbraio 2006