sabato 17 giugno 2006

Come TELECOM...bino (e noi a ricordare il povero D.Lgs.196/2003)

Dall'Inter a Telecom i 100mila file degli spioni
 
di GIUSEPPE D'AVANZO
 
Ricordate lo spionaggio contro Piero Marrazzo e Alessandra Mussolini? Era soltanto un capitolo della spy story che coinvolge la Telecom e che ora si arricchisce anche di un capitolo calcistico. Ma la vera notizia è che l'intero archivio illegale è stato finalmente trovato e quel che si immagina da tempo diventa purtroppo una realtà che inquieta. Gli spioni privati, ingaggiati e pagati da Pirelli e dalla sua controllata Telecom Italia, hanno raccolto migliaia di "fascicoli" sul conto di politici, uomini di finanza, banchieri e finanche su arbitri e manager di calcio.

I più prudenti e discreti, tra gli interlocutori, sono disposti a dire che "i file raccolti illegalmente sono decine e decine di migliaia". Altre fonti offrono un numero tondo: "I file sono centomila".

Gli uni e le altre concordano che una "schedatura" così ramificata non s'è mai vista dai tempi del Sifar del generale Giovanni De Lorenzo. Ora l'"archivio" è all'esame della procura di Milano. Che, dopo molti tentativi infruttuosi, è riuscita a entrare nella memoria di un computer difeso con dieci livelli di protezione e scovato quasi per caso.
I tecnici dei pubblici ministeri sarebbero forse ancora al lavoro se l'ultima, decisiva password non fosse stata fornita proprio dallo "spione" capo, Emanuele Cipriani, 45 anni, boss di un'importante agenzia d'investigazione, la Polis d'Istinto, da tre lustri al centro di un network d'intelligence messo su da Giuliano Tavaroli, 46 anni, già responsabile della sicurezza di Telecom.

Entrambi sono accusati di "associazione per delinquere finalizzata alla rivelazione del segreto istruttorio" (da una costola di quest'inchiesta sono già saltate fuori le manovre storte contro Piero Marrazzo e Alessandra Mussolini).

Il pasticcio spionistico incrocia anche lo scandalo del calcio. Per quanto racconta Emanuele Cipriani ai magistrati, nei file illegali della Polis d'Istinto ci sono alcuni dossier raccolti, su input dell'Inter di Massimo Moratti e ordine di Marco Tronchetti Provera, contro l'arbitro Massimo De Santis, il direttore sportivo di Messina e Genoa Mariano Fabiani, il direttore sportivo del Catanzaro Luigi Pavarese. La scoperta ha amareggiato (e irritato) molto la Procura di Milano.

Ai pubblici ministeri, tre anni fa, è stata segnalata la confessione che l'arbitro Danilo Nucini affida "in privato" al presidente dell'Inter, Giacinto Facchetti. La "giacca nera" racconta "il metodo Moggi"; le pratiche occulte utilizzate per aggiustare i risultati prima della partita; le modalità e i luoghi degli incontri clandestini del direttore della Juve con gli arbitri "addomesticati". Addirittura indica i numeri di telefono "coperti" utilizzati dalla "banda" per comunicare in sicurezza. Facchetti invita Nucini a incontrare i magistrati. L'arbitro non ne vuole sapere, non se la sente di strappare il velo. Il presidente dell'Inter insiste. Pena un po'. Alla fine, la spunta. Nucini va in procura, ma è un buco nell'acqua. L'arbitro non conferma le sue accuse. Tocca ora a Facchetti. Se la sente di diventare attore della denuncia riferendo ai magistrati le rivelazioni di Nucini, peraltro registrate dal presidente dell'Inter? Facchetti affida la decisione al patron della squadra, Massimo Moratti. Che esclude la testimonianza per non "compromettere" il presidente del club. La storia sembra morta lì. Invece continua per vie oblique (da qui l'irritazione della procura che si sente oggi utilizzata e gabbata dall'Inter).

Il club neroazzurro si rivolge alla rete spionistica di Telecom, alla Polis d'Istinto di Emanuele Cipriani, per venire a capo della presunta corruzione di Massimo De Santis, indicato da Nucini come uno dei protagonisti dei trucchi. Il Corriere della Sera ha già svelato la nota di accompagnamento dell'indagine spionistica: "Con il presente report siamo a riportare quanto emerso dall'attività di intelligence attualmente in corso a carico di Massimo De Santis e della di lui coniuge, sviluppata al fine di individuare eventuali "incongruità" in particolare dal punto di vista finanziario e patrimoniale a carico del soggetto di interesse".

L'incrocio della storia con lo scandalo del calcio finisce qui e appare tutto sommato marginale nell'imponente schedatura illegale che i magistrati scoprono nel computer "aperto" da Cipriani. "Decine e decine di migliaia di fascicoli" ("centomila"?) svelano un lavoro accuratissimo portato avanti con la collaborazione di pubblici funzionari infedeli capaci di violare le banche dati del Viminale, della Banca d'Italia, degli uffici della pubblica amministrazione.

Le schede hanno un loro preciso canone. Si interrogano le conservatorie dei registri immobiliari, gli archivi notarili, il pubblico registro automobilistico, il registro navale, l'anagrafe tributaria. Si scava negli istituti di credito, nei fondi di investimento, nelle società finanziarie. Si annotano i soggiorni all'estero, la presenza abituale in luoghi di villeggiatura. Quasi sempre, gli accertamenti sono estesi al coniuge o ai figli, alle persone fisiche o giuridiche, società, consorzi, associazioni del cui patrimonio il poveretto "schedato" risulta poter disporre "in tutto o in parte, direttamente o indirettamente". I file si arricchiscono dei tabulati telefonici del maggiore gestore italiano di telefonia - sono documenti che permettono di ricostruire l'intera mappa dei contatti del "soggetto di interesse" - in qualche caso, delle intercettazioni della magistratura perché Giuliano Tavaroli ha controllato, fino a qualche tempo fa, il Centro nazionale autorità giudiziaria (Cnag) dove transitano tutte le richieste d'intercettazione dell'autorità giudiziaria.

In teoria, dunque, le schede degli spioni possono raccogliere anche intercettazioni abusive perché è possibile attivare una "linea di ascolto" senza decreto giudiziario in quanto a priori non c'è alcun controllo (soltanto a posteriori è possibile risalire alla traccia che lascia l'attivazione della linea di intercettazione: sono le tracce che i magistrati ora stanno cercando).
Lo schema d'investigazione appare molto simile, se non identico, alle indagini per mafia o riciclaggio. Anche nel caso delle schedature illegali, infatti, l'obiettivo degli "spioni" è l'accertamento di una sproporzione tra i redditi dichiarati e i beni posseduti.

Con un vantaggio rispetto alle polizie: la Polis d'Istinto appare in grado misteriosamente di compiere senza difficoltà anche accertamenti patrimoniali all'estero.
Ora bisogna chiedersi chi è stato spiato, per conto di chi, che uso è stato fatto dei dossier o se ne voleva fare? Sono domande che spingono su un sentiero molto scivoloso. Tutte le fonti vicine all'inchiesta sono restìe ad azzardare una qualche conclusione, anche se approssimata. L'indagine, dicono, è ancora in corso.
Si sa però che l'archivio illegale raccoglie più o meno i nomi dell'intera classe dirigente - politico, economica, finanziaria - del Paese. Ci sono tutti i protagonisti della scalata di Bpi ad Antonveneta e di Unipol a Bnl, per dire. Gli industriali e i finanzieri che scalarono nel 1999 la Telecom. I politici e gli uomini di governo che guardarono con interesse a quell'operazione.

Emanuele Cipriani sostiene che il suo lavoro è stato regolarmente commissionato, attraverso Giuliano Tavaroli, dal presidente Marco Tronchetti Provera. Ma è vero? O è vero che, confidando nel loro incarico ufficiale, Cipriani e Tavaroli si sono messi, con il tempo, in proprio schedando obiettivi ("soggetti di interesse") selezionati di volta in volta da altri misteriosi "clienti" o così fragili da poter essere ricattati e "condizionati"?

Emanuele Cipriani rintuzza i dubbi mostrando le fatture regolarmente emesse da Pirelli-Telecom, anche se per prestazioni definite negli archivi delle società in modo molto generico. Più o meno quattordici milioni di euro, anche se Cipriani preferisce farsi pagare in sterline e a Londra. Da dove curiosamente il denaro comincia a muoversi come in un vortice. Montecarlo. Svizzera. Infine, l'approdo in un conto della Deutsche Bank del Lussemburgo, intestato alla Plus venture management, società off shore con base nel paradiso fiscale delle Isole Vergini britanniche. Che necessità c'è di far fare a quel denaro, compenso di regolare contratto di consulenza/collaborazione, il giro del mondo? Per quel che se ne sa, non è la sola domanda che non trova ancora una risposta. Ce n'è un'altra, forse più importante. Se è Marco Tronchetti Provera a commissionare quei dossier, perché alcuni fascicoli riguardano lo stesso Tronchetti e gli affari di sua moglie Afef? Anche loro, i "padroni" della Telecom, potevano essere sottoposti a pressioni? In questo caso, chi davvero muoveva la mano degli spioni. Soltanto l'avidità personale o altri "clienti" desiderosi di indirizzare le mosse del presidente di Pirelli/Telecom? La storia del grande archivio spionistico e illegale della Seconda Repubblica è ancora tutta da scrivere.

Fonte: Repubblica 23 maggio 2006 http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/cronaca/spionaggio-calcio/spionaggio-calcio/spionaggio-calcio.html
 
 
"Telecom schedava gli ex clienti che cambiavano operatore"
 La corte di appello di Milano "Violate norme sulla concorrenza"
di CARLO BONINI

ROMA - Telecom Italia ha schedato migliaia di ex clienti passati ad altri operatori telefonici. Ha acquisito e utilizzato informazioni privilegiate che li riguardavano (profili anagrafici, domicili, utenze, consumi telefonici, propensioni alla spesa) "in violazione di precisi obblighi legali e regolamentari". Lo ha fatto "con pratiche abusive", "in violazione delle norme sulla concorrenza" e "con mezzi non obiettivamente giustificabili".

Così sono andate le cose nella più grande azienda telefonica del Paese. Quantomeno a fini commerciali. Per spezzare l'offensiva di un aggressivo concorrente, Fastweb. Lo scrive nella sua ordinanza, firmata il 2 maggio scorso e depositata il 16, Filippo Lamanna, giudice della prima sezione della Corte di appello civile di Milano. Quarantaquattro pagine che documentano un abuso ai danni di migliaia di consumatori. Ne ordinano "l'immediata cessazione". Fissano una sanzione di 500 euro per ogni singolo illecito che dovesse ripetersi. Avvisano Telecom del possibile approdo dell'affare: "Poiché il trattamento illecito di dati riservati è fonte di molteplici fattispecie di reato, punibili anche con la reclusione, ci si riserva la decisione di comunicare o meno quanto emerso alla competente autorità di indagine penale".

Vale a dire alla Procura di Milano che - come ha rivelato "Repubblica" il 23 maggio scorso - dell'uso di informazioni riservate e violazione della privacy si sta già occupando nell'indagine a carico di Emanuele Cipriani, investigatore privato a contratto liquidato da Telecom con 14 milioni di euro su conti esteri e nei cui computer sono saltati fuori migliaia di dossier abusivi sull'intera classe dirigente italiana. Ma veniamo dunque a quanto documentato nell'ordinanza di Lamanna.

Tra il dicembre 2005 e il marzo di quest'anno, Fastweb e Telecom Italia finiscono in tribunale. I due operatori telefonici si accusano a vicenda di concorrenza sleale e di abuso di posizione dominante nel mercato della telefonia fissa. All'apparenza è materia per addetti che ha a che fare con il dumping sulle tariffe tra i due maggiori concorrenti sul mercato. In realtà, al nocciolo della storia c'è dell'altro.

Il giudice Lamanna acquisisce un'intervista rilasciata nella primavera 2004 da Leonardo Mangiavacchi, responsabile del "Customer insight Management" di Telecom, a "Insight", periodico on-line di "Business intelligence". Il manager spiega: "Telecom ha avviato un'attività diretta a ottenere segmentazioni estremamente spinte della clientela. Siamo arrivati a ragionare su "cluster" molto piccoli incrociando un enorme numero di informazioni. La nostra prima attività è stata la razionalizzazione dei processi informativi, in particolare relativi al traffico telefonico".

Le coordinate indicate dal dirigente Telecom, nello svelare una strategia aziendale per il recupero di quote di mercato fotografano quel che in concreto, da mesi, avviene nelle case di migliaia di consumatori che hanno disdetto il loro contratto con Telecom e sono passati a Fastweb. Ricevono telefonate dai call center Telecom con l'invito a tornare al vecchio operatore. Per convincerli, i venditori Telecom offrono tariffe che calzano come un guanto sulle loro esigenze. Chi chiama da quei call center - documenta l'ordinanza - dimostra di conoscere perfettamente oltre ai nominativi, "i consumi pregressi e i profili di propensione alla spesa dei clienti passati alla concorrenza". Di loro, gli uomini del "recupero clienti" Telecom sanno tutto. Quanto telefonano, verso quali apparecchi, in quale zona d'Italia. Se utilizzano o meno la banda larga internet. Conoscono, soprattutto, a quale nuovo operatore si sono affidati.
Come è possibile?

Il giudice Lamanna si fa curioso. Scrive: "Un cliente Fastweb cessa di avere rapporti con il gestore di provenienza, Telecom. Infatti, sia la linea, quanto il traffico, sono gestiti ex novo dal nuovo operatore, che ha realizzato una propria infrastruttura. Nuova ed autonoma, di cui fa parte anche il "doppino in rame" del cosiddetto ultimo miglio. Telecom non dovrebbe dunque sapere che quel doppino è attivo con un altro operatore". E invece lo sa. Perché? "Se lo sa - scrive il giudice - sta abusando di un'informazione acquisita altrimenti".

Dove?
Telecom sostiene di aver attinto ad "archivi pubblici": "le Pagine Bianche" e "l'elenco dei clienti Fastweb su internet". Il giudice Lamanna accerta le due circostanze come false. Scrive: "Le Pagine Bianche non contengono alcuna informazione sulle caratteristiche dei clienti e sulla loro propensione al consumo o sull'uso della banda larga". Aggiunge: "Il sito Fastweb ha consentito fino alla primavera 2005 di trovare il numero di un abbonato, ma soltanto conoscendone già il nome". E dunque e ancora: dove ha pescato le sue informazioni Telecom?

Se ne era già in possesso, la legge gli avrebbe imposto di distruggerle a contratto rescisso. Se non le aveva, deve averle pescate nella "Base Dati Unica", che raccoglie i dati sui consumatori così come comunicati da tutti gli operatori con licenza di rete fissa o mobile. Ma a quell'archivio si può accedere "esclusivamente per finalità di sicurezza e gestione". Se è qui che Telecom ha attinto, la violazione diventa doppia.

Delle conclusioni di Lamanna abbiamo detto. La replica di Telecom arriva nella serata di ieri. In mattinata, Repubblica aveva formulato quattro domande: "Quali sono le regole per la trattazione dei dati sensibili?" "Le informazioni sugli ex clienti vengono distrutte e in questo caso con quale cadenza temporale?" "Quali uffici aziendali hanno accesso a queste informazioni?" "I responsabili della sicurezza Telecom hanno accesso alla Base Dati Unica?". Ecco la risposta: "Si sta valutando l'eventuale impugnazione dell'ordinanza e dunque non abbiamo altro da aggiungere a quanto già comunicato il 16 maggio. Non sono mai stati utilizzati i dati degli ex clienti e l'azienda non ha promosso alcuna campagna riservata all'attuale clientela Fastweb".

Una sola annotazione di fatto. Agli atti del processo di Milano, figurano due documenti riservati della Divisione commerciale Telecom: "Lista di marketing su 7732 clienti residenziali romani Fastweb"; "Lista di marketing su clienti business platinum". I clienti sono classificati in "fasce". Per volume di traffico telefonico, spesa e, naturalmente, gestore cui si sono rivolti. Fastweb, appunto.

Fonte: Repubblica 25 maggio 2006 http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/cronaca/spionaggio-calcio/telecom-fastweb/telecom-fastweb.html
 
 
Il silenzio sulle schedature Telecom
di GIUSEPPE D'AVANZO
"È sufficientemente provato che Telecom ha posto in essere pratiche abusive attraverso l'impiego sistematico di informazioni privilegiate, acquisite in violazione di precisi obblighi". Lo scrive in un'ordinanza la Corte d'Appello di Milano, appena venti giorni fa. Accade questo. Il vecchio monopolista delle comunicazioni controlla ancora in modo esclusivo la Base Dati Unica, l'archivio informatico che custodisce le informazioni su tutti i clienti di telefonia fissa e mobile del Paese. In teoria, l'accesso alla banca dati è legittimo soltanto "per finalità di sicurezza e gestione". Telecom, al contrario, cede alla tentazione del passo storto. Ci mette le mani per difendere i suoi affari.

Quando un concorrente si fa troppo intraprendente, i tecnici di Telecom fanno qualche ricerca abusiva nella banca dati. Estraggono dati anagrafici e patrimoniali. Li selezionano per volume di traffico e propensione al consumo. Selezionano in "microfasce" i consumatori più preziosi che hanno rinunciato ai servizi della società. Partono alla riconquista. In possesso di informazioni e dati che non dovrebbe avere, la rete di vendita contatta il cliente trasmigrato e propone servizi a condizione di favore. I giudici hanno ordinato ora alla Telecom di astenersi da questi "comportamenti abusivi".

In attesa di valutare i possibili reati penali, la decisione della magistratura protegge, per il momento, solo la corretta concorrenza ma propone anche altre più gravi questioni. In ragione di qualche fatto.

E' possibile per la Telecom una sorveglianza, per campione, su vasta scala o generale, delle telecomunicazioni dei cittadini e il controllo delle tracce tecnologiche che lasciamo nel corso delle nostre giornate (telefono fisso, cellulare, internet, e-mail) quindi di consumi, trasferimenti e contatti. L'accesso a questi dati dovrebbe essere possibile soltanto per "finalità di sicurezza". Ma non è chiaro (soprattutto con l'abuso che si è fatto in questi anni delle "ragioni di sicurezza") chi decide e chi controlla che siano rispettate le condizioni indispensabili affinché l'accesso sia legittimo.

L'ordinanza della magistratura ci dice che se ne è abusato per fini commerciali. Domanda ragionevole: se ne può abusare e se ne abusa per altri fini? Come è chiaro, sono questioni di interesse vitale per libertà, diritti e democrazia, ma Telecom Italia non sembra darsene per inteso. Quando il 16 maggio diffonde una nota per dar conto delle severe conclusioni del giudice, nega l'evidenza e scrive: "Sulle strategie applicate da Telecom Italia, la società precisa che non sono mai stati utilizzati i dati di ex-clienti...". E' l'esatto contrario di quanto si legge nell'ordinanza del giudice milanese. E', diciamo, una variazione falsaria.
Dunque, si deve concludere che conviene diffidare delle prese di posizione di Telecom (ieri sono state necessarie quasi dieci ore per avere nessuna risposta a qualche domandina di routine). La società controllata dalla Pirelli pare mettere insieme i difetti dell'impresa pubblica e le debolezze dell'impresa privata. Della prima conserva l'arroganza del monopolista che non deve rendere conto di quel che fa. Della seconda, l'autoreferenzialità del proprio interesse.

La stessa trama si scorge quando salta fuori che un'agenzia d'investigazione (la Polis d'Istinto), per lunghi anni al servizio ben retribuito di Telecom , ha raccolto illegalmente decine di migliaia di files (forse addirittura centomila). La reazione di Telecom è stravagante. Minacciando azioni legali "inflessibili" invita i media a non riprendere "le illazioni", formula farfallina per definire la notizia che c'è un'inchiesta in corso e che la magistratura sta cercando di capire chi ha ordinato e pagato e per quale fine le schedature abusive (finanche di gente del calcio). Telecom conclude "auspicando che l'autorità giudiziaria possa fare quanto prima la dovuta chiarezza". Altra stravaganza. Ci si sarebbe potuto aspettare che Telecom rivelasse la sua attiva e attuale collaborazione all'indagine o l'impegno pubblico a iniziarla, al più presto e con efficacia. In fondo, la Polis d'Istinto è stato un "fornitore" Telecom. Per di più, infedele perché nel tempo ha schedato anche gli affari di famiglia della moglie del presidente Marco Tronchetti Provera. Invece, niente di tutto questo. Soltanto quel ditino minaccioso nell'aria che ottiene lo scopo. Del pasticcio, la stampa italiana non se ne occupa (se si esclude il comitato di redazione della "7"). Ci si potrebbe attendere almeno l'interesse del ceto politico e l'avvio di una discussione pubblica.

Niente anche da questa parte. Encefalogramma piatto. Abituali chiacchieroni scelgono il silenzio. Chi apre la bocca, come il ministro Clemente Mastella, lo fa soltanto per dirsi dispiaciuto di quanto è accaduto "alla sua amica Afef" (che sarebbe poi la moglie del presidente di Pirelli/Telecom). E le altre vittime? E i prossimi "obiettivi" degli spioni? E il controllo o l'autoregolamentazione del "sistema"? La politica italiana non sembra interessata a comprendere come possono cambiare (e come si possono proteggere) i comportamenti individuali e collettivi sottoposti allo sguardo onnipresente della tecnologia. Come si possono mettere in sicurezza i nostri spazi di libertà assediati dalla sorveglianza continua. Da queste colonne Stefano Rodotà lo ripete da anni, la deriva tecnologica trasforma non soltanto le forme dell'organizzazione sociale, ma incide sul sistema delle libertà e dei diritti e dunque sulla qualità della democrazia. Non è il caso di avere su questi temi - e a partire da una conoscenza meno manipolata di quanto è accaduto e accade - una discussione pubblica, politica e istituzionale? O il ceto politico crede che davvero ogni cosa andrà al posto giusto per le dinamiche di mercato e con qualche delega a volenterose autorità di garanzia? O si crede di poter affidare ogni controllo di legalità, salvo poi lamentarsene, a una magistratura che interviene quando il danno è già stato combinato e patito?

Fonte: Repubblica 25 maggio 2006 http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/cronaca/spionaggio-calcio/silenzio-su-schedature/silenzio-su-schedature.html
 
 
Politici e imprenditori spiati
Dimesso l'ex capo sicurezza Telecom
 
ROMA - L'indagine della Procura di Milano sull'attività di schedatura illegale dell'intera classe dirigente del Paese (decine di migliaia di file sul conto di manager, uomini politici, imprenditori) arriva al cuore di Telecom Italia. E l'uomo che di questa indagine è il fulcro, Giuliano Tavaroli, rassegna le proprie irrevocabili dimissioni dal gruppo. Già responsabile della sicurezza aziendale e di quella personale del suo presidente Marco Tronchetti Provera, Giuliano Tavaroli è oggi indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l'acquisizione di informazioni coperte dalla privacy. Un reato più grave di quello per il quale, 12 mesi fa, era stato iscritto una prima volta nel registro degli indagati della Procura di Milano (concorso in appropriazione indebita).

L'accusa gli viene contestata in ragione del lavoro che in questi anni ha svolto per la più grande azienda telefonica del Paese. Dunque, del libero accesso che ha avuto, in qualità di direttore della struttura, al "Cnag", il centro di ascolto Telecom sulle utenze intercettate per ordine dell'autorità giudiziaria. Del suo rapporto diretto con la "Polis d'Istinto" di Emanuele Cipriani, società di investigazioni private cui la Telecom ha appaltato negli ultimi anni attività di indagine e sicurezza per almeno 14 milioni di euro, cui la Telecom deve ancora del denaro e che, si è scoperto ora, custodiva in un dvd un archivio clandestino: decine di migliaia di file per altrettanti dossier raccolti illegalmente. Un materiale immenso, che la Procura di Milano ha appena cominciato a riversare su carta e che, al momento, somma 35 mila fogli.

Il Presidente di Telecom, Marco Tronchetti Provera, ha voluto Tavaroli al suo fianco fino alla fine. Lo aveva formalmente parcheggiato da qualche tempo in "Pirelli", in un angolo poco esposto. A far nulla, ufficialmente. Se non attendere di vedere quale verso avrebbe preso l'inchiesta e, soprattutto, che ne sarebbe stato degli accertamenti sulla "Polis d'Istinto" di Emanuele Cipriani, porta d'accesso a Telecom. In realtà, Tavaroli conservava il suo ufficio in piazza degli Affari, continuava a intervenire sui temi della security nei corsi di formazione dei dirigenti. Sapeva di non dovere spiegazioni e di poter dunque ancora rispondere con un'alzata di spalle e più di un'omissione alle domande di qualche ficcanaso.

È storia del marzo scorso. Sono i giorni dello svelamento dell'attività di spionaggio in danno di Piero Marrazzo, candidato dell'Unione alle elezioni regionali del Lazio, e di Giovanna Melandri (oggi ministro). Il nome di Emanuele Cipriani e della sua "Polis d'Istinto" fiorisce negli atti di quell'inchiesta e il "Sole 24 Ore" (21 marzo) decide di bussare alla porta dell'amico più importante di Cipriani. Tavaroli, appunto. "Non mi occupo più di questioni legate alla sicurezza - dice lui - perché purtroppo, da quasi un anno, sono fuori da Telecom e mi occupo di pneumatici in Romania". "Sono stupito dal modo in cui si fa giornalismo in Italia - ammonisce - E non capisco perché il "Sole 24 ore", che sin qui si è distinto per non essersi occupato della vicenda "Polis d'Istinto", non continui a non occuparsene vista la banalità del soggetto".

Di banale non c'è proprio nulla nella storia e nelle attività della "Polis d'Istinto", nei rapporti della società con Telecom Italia e nel legame tra Emanuele Cipriani e Giuliano Tavaroli. Perché in quei giorni di marzo, non c'è un solo protagonista di questa storia che non sappia cosa bolle in pentola. La Procura di Milano ne ha la prova quando sequestra in casa di un collaboratore di Cipriani un dvd protetto da una password, che Cipriani offre volontariamente ai pubblici ministeri che lo interrogano. Ne salta fuori l'archivio dell'intera attività di intelligence clandestina che Cipriani ha svolto con la sua "Polis d'Istinto" e con almeno altre due società di investigazione privata con sede all'estero. Una miniera di nomi e di file di cui si è detto. Un pozzo senza fondo di informazioni sensibili (personali e patrimoniali) attinte da banche dati che dovrebbero custodire la segretezza della vita privata e di relazione di ciascun cittadino (le persone con cui si parla al telefono, con cui si fanno affari, cui si è legati da rapporti di amicizia o frequentazione).

L'investigatore privato viene interrogato tre volte e per tre volte i suoi verbali vengono secretati. Quali risposte dia alle contestazioni specifiche dei pubblici ministeri sul contenuto del suo mastodontico archivio non è dunque dato sapere. Ma se ne conosce la sostanza. Cipriani indica il committente di quel lavoro: Telecom Italia. Fa il nome del suo referente in quell'azienda: Giuliano Tavaroli, responsabile della sicurezza aziendale. I pubblici ministeri informano l'investigatore che il reato per cui procedono nei suoi confronti si fa più grave: associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l'acquisizione di notizie coperte dalla privacy. Che l'indagine penale conoscerà un'ulteriore proroga di sei mesi. E non è una buona notizia né per Cipriani, né per Tavaroli né per gli altri sospettati del reato di associazione a delinquere di cui oggi non si conosce l'identità ma sui cui nomi i due amici potrebbero avere qualche idea.

In Telecom sono giorni terribili. Ma, forse, non soltanto lì. L'inevitabile e definitivo addio di Giuliano Tavaroli, la disponibilità di Cipriani a rispondere alle domande dei pubblici ministeri di Milano, si incastrano se non altro cronologicamente con il destino di un terzo uomo, che ai primi due è legato da vincoli di antica amicizia e frequentazione. Il 15 maggio, mentre il governo Berlusconi sta chiudendo gli scatoloni a Palazzo Chigi, il direttore del controspionaggio del Sismi, Marco Mancini, accompagnato dal suo direttore Nicolò Pollari, ha un colloquio con il sottosegretario Gianni Letta. Quando ne esce, comunica un periodo di congedo di 30 giorni per ragioni di salute. Raccontano di una discussione difficile. Di una richiesta rivolta a Mancini e da Mancini rifiutata di abbandonare la direzione del controspionaggio. Perché? C'entra forse qualcosa il precipizio che si è aperto di fronte a Cipriani e Tavaroli? C'entrano qualcosa le relazioni d'ufficio che l'intelligence politico-militare aveva con Tavaroli in qualità di direttore del "Cnag"? O, ancora, c'entra qualcosa il rapporto simbiotico che Mancini aveva con Tavaroli (negli anni '80, i due hanno cominciato la loro carriera nel nucleo anticrimine dei carabinieri di Milano, dove venivano chiamati "i gemelli")?

Il tempo aiuterà forse a sciogliere queste domande. Intanto, una circostanza può essere annotata. Nel luglio del 2005, quando già da due mesi la Procura di Milano indagava sul suo conto, un ordine di servizio Telecom incaricava Giuliano Tavaroli di "responsabile della gestione e prevenzione delle eventuali crisi collegate ai rischi di terrorismo internazionale".


Fonte: Repubblica, 26 maggio 2006 http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/cronaca/spionaggio-calcio/dimissioni-capo-sicur/dimissioni-capo-sicur.html

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