mercoledì 30 agosto 2006

Corsera 25/8/2006

Storie dal mondo del lavoro
«Al call center per 20 anni. Ora mi assumono?»
Massimo Ornaghi, 42 anni, è ancora lì che cerca di capire come «il sistema della flessibilità» l’abbia trasformato in «precario cronico»

Ricomincia da capo, ogni tre mesi. E ormai sono vent’anni di precario al call center, di scadenze, di progetti dal fiato corto. Dietro la pagina d’agosto, mese di ferie mancate, c’è già l’appunto a matita sul calendario: il 9 settembre «scadenza del contratto». Finisce l’ennesima stagione da collaboratore a progetto. Breve come l’acronimo che liquida il ruolo: co.co.pro. Massimo Ornaghi, 42 anni, è ancora lì che cerca di capire come «il sistema della flessibilità» l’abbia trasformato in «precario cronico». Ripercorre le scelte. Torna al 1987, primo impiego in un call center di via Farini, 150 mila lire per accontentare la curiosità delle tivù commerciali, università sacrificata dopo 13 esami a Scienze politiche. «Pensavo di farcela con la mia testa, con le mie speranze».
Invece, passano vent’anni di telefonate a inseguire clienti e contratti, «e sempre nello stesso settore, perché le offerte non mancano e forse ho avuto paura di cambiare». E ora che il governo si mette a fare ordine, Massimo prova almeno a sorridere: «Mi assumeranno? Ho molti dubbi, forse non ho più l’età». Appartamento signorile di Lissone, venticinque chilometri da Milano. Massimo rientra dopo sei ore di turno a sei euro l’una in una società d’indagine. Lo aspettano i genitori. E non serve ricordargli che «è ora di metter su casa e trovare moglie». La trama da fiction, il figlio, la conosce da sé. È che «i soldi per un appartamento non li ho e anche le donne, dopo un po’, chiedono stabilità. Una parola...». Che, chiarisce, «non è pietismo, ma la marginalità a cui spinge un lavoro sempre incerto».
Si lavora duro nel call center per portare a casa la pagnotta. Perché con otto ore al giorno non si arriva a 900 euro puliti e «bisogna essere alienati per arrivare a 1.000». Negli stessi banchi ci sono liceali, laureati «che non trovano di meglio», cinquantenni «che si riciclano dopo un licenziamento», casalinghe, pensionati. Su postazioni «che cambiano titolare ogni settimana», tanto che è «difficile conoscersi». La chiamano flessibilità, «ma è una situazione che ti rovina psicologicamente. Ancora dieci anni così e mi ricoverano. Ma dato che mi voglio bene...». Massimo ha deciso di darci un taglio. Al call center e al calendario dei progetti a scadenza. Una pagina, e il 9 settembre è lì. Ma c’è l’impegno del ministro e un problema di salute sempre più grave: «Ho deciso di chiedere l’invalidità, non l’ho fatto prima solo perché non mi sembrava dignitoso». Poi vent’anni così, a ricominciare ogni volta da capo, e viene da pensare che «forse è questa precarietà a non essere dignitosa».

di Armando Stella

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