martedì 8 agosto 2006

L'espresso speciale call center

Il call center è troppo precario
Basta con i finti co.co.pro. Il ministro Damiano cambia le regole per 20 mila giovani.
Cosa faranno le aziende?

di Marco Ratti

La roulette russa ha iniziato a girare per migliaia di giovani che lavorano nei call center. Entro sei mesi, circa 20 mila addetti che oggi hanno un contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto (i così detti co.co.pro.) potrebbero dire addio a una delle forme più estreme di precariato. Ma non è detto che saranno rose e fiori per tutti: chi non sarà assunto come subordinato, a tempo determinato o indeterminato, rischia di perdere il posto. Di punto fermo ce n'è solo uno: così non sarà più consentito andare avanti.
A stabilirlo è la circolare 17 del 14 giugno che il ministro del Lavoro Cesare Damiano ha indirizzato ai propri ispettori e a quelli di Inps, Inail ed Enpals per fare chiarezza nel settore. Il documento dà un avvertimento: gli ispettori controlleranno che tutti i co.co.pro. abbiano un progetto ben determinato da portare a termine e siano davvero lavoratori autonomi, quindi senza giorni né orari prestabiliti, per esempio. Parole che per gli addetti ai lavori hanno un significato ben preciso: i contratti di collaborazione fatti al personale che presta servizi di assistenza al cliente - dove si lavora in orari prestabiliti e senza un progetto chiaro e limitato nel tempo - dovranno sparire. Conferma il vicedirettore generale delle Attività ispettive del ministero del Lavoro, Paolo Pennesi: "A partire da inizio settembre andremo azienda per azienda a chiarire quali sono le regole, ma dai primi giorni di dicembre potrebbero arrivare gli ispettori per verificare che tutto sia in regola". Dopo l'avvertimento, quindi, chi farà ricorso a contratti co.co.pro. per quel tipo di servizi rischia di pagare la differenza tra quanto dovuto e quanto pagato, più il 60 per cento dei contributi omessi.

Cambiare le regole dei call center significa mettere mano a qualcosa che sta segnando un'intera generazione. In un settore che impiega per lo più giovani e in cui il turn over è elevatissimo, la novità non farà piacere a tutti. C'è chi proprio non sopporta il precariato che spesso caratterizza questo mondo, ma non ne può fare a meno. Ma c'è anche chi, come molti studenti universitari, sfrutta la flessibilità per studiare e, allo stesso tempo, raggranellare qualche euro. Insomma, il dibattito è aperto, come dimostra l'editoria: quest'anno è uscito 'Mi spezzo ma non m'impiego', dove Andrea Bajani parla del pianeta precariato; nel 2005, Claudio Cugusi ha scritto un libro dall'eloquente titolo 'Call center. Gli schiavi elettronici della new economy'.

Oltre che per i lavoratori, la circolare avrà effetti anche sul mercato. "Andava chiarito", dice Pennesi, "quando i contratti a progetto possono essere utilizzati, perché il sistema delle gare d'appalto per l'affidamento di servizi 'inbound' ne era falsato: chi partecipava proponendo prezzi più competitivi perché utilizzava i co.co.pro. ne traeva un vantaggio ingiusto".

Sandro Mascolo, direttore generale della Intouch (gruppo Europassistance), racconta di aver perso un paio di gare proprio per aver partecipato utilizzando dipendenti invece che co.co.pro. (1500 EUR nette qualche anno fa per 8 ore, nota mia) E lo stesso è successo ad Alberto Tripi, presidente di Almaviva, gruppo leader del settore in Italia: "Un paio d'anni fa perdemmo la gara per il call center dell'Inps. Le Poste, utilizzando personale a progetto, offrivano quel servizio a 7 milioni di euro. Noi, con assunzioni a tempo indeterminato, a 15 milioni".

A essere interessate dal provvedimento saranno soprattutto le imprese che offrono servizi di call center a terzi, visto che gli altri operatori, quelli 'in house', solitamente non utilizzano contratti a progetto per questo tipo di attività. L'intero settore comprende circa 250 mila addetti, di cui 80 mila occupati in società di outsourcing (che fatturano complessivamente 500 milioni di euro l'anno). Togliendo da questa cifra chi lavora in servizi 'outbound' - come promozioni e vendite via telefono, dove continuano a essere consentite le collaborazioni a progetto - si arriva a 15-20 mila lavoratori, che oggi prestano servizi di assistenza al cliente come co.co.pro., ma che domani dovranno avere un contratto di lavoro subordinato (sempre che le aziende decidano di confermarli). Questi dati sono forniti dall'Associazione italiana del contact center (Assocontact), che aderisce a Confindustria e registra tra i suoi iscritti un centinaio di aziende, che valgono circa l'80 per cento del totale. Il presidente di Assocontact, Umberto Costamagna, dà un giudizio positivo sulla circolare del mese scorso, perché consente di dare regole certe al settore. Ma non è ancora abbastanza. "Imprenditori e sindacati devono sedersi a un tavolo per accordarsi su un contratto valido per tutti gli operatori del settore", commenta Costamagna. Anche per Mario Massone, presidente di Customer management multimedia call center (Cmmc), un club che raggruppa circa 150 aziende della filiera, "serve una tipologia contrattuale specifica per il settore, così da portare il salario degli operatori a livelli più dignitosi". Come conferma la controparte sindacale. "La circolare è solo un primo passo", dice il sergretario Uil per le politiche del lavoro, Carlo Fabio Carapa, "ma ora dobbiamo arrivare a un istituto contrattuale specifico. Credo che la collaborazione a progetto non vada mai bene nei call center. Piuttosto andrebbe meglio lo staff leasing".
Anche per il segretario generale di Cgil-Nidil, Rossella Ceramelli, "questo settore richiede un accompagnamento verso una soluzione più complessiva", visto che gli interventi fatti finora "non incidono sulla condizione materiale di vita del lavoratore". E per Eros Pizzi, responsabile telecomunicazioni Cisl, bisogna "rivedere il sistema sedendoci a un tavolo". Tutti d'accordo, quindi. Ma nel frattempo, che cosa succede?

Sul passaggio da co.co.pro a lavoro subordinato il presidente di Assocontact è chiaro: "Significherà un raddoppio dei costi per le società", dice, "e quindi non si può negare che ci potrebbe essere un rischio occupazionale". In altre parole, se le compagnie di outsourcing non si potranno permettere di assumere chi oggi lavora in un call center con un contratto a progetto perché i committenti non accetteranno di sborsare più soldi, saranno costrette a lasciare a casa queste persone. Un'ipotesi che invece Costamagna non ritiene probabile: "L'operatore di call center gestisce la relazione con il cliente, che è la cosa più importante per l'azienda. Per questo credo che i committenti saranno disposti a pagare un prezzo maggiore per questo servizio. E per una qualità che sicuramente crescerà".

I progetti della maggiore azienda del settore sembrano dare ragione a questo ottimismo. "Nella nostra società lavorano 8 mila collaboratori a progetto", dice il presidente di Almaviva, Alberto Tripi, "e di questi circa la metà si occupa di servizi 'inbound'. Entro la fine dell'anno ci adegueremo, e questi co.co.pro. diventeranno lavoratori subordinati. Sempre che le aziende cui offriamo il lavoro accettino i maggiori costi. Ma non credo che abbiano scelta".

Qualche azienda potrebbe avere grossi problemi a rispettare la tabella di marcia prevista dal ministero. Secondo Costamagna i tempi sono troppo stretti. E c'è chi è ancora più esplicito. Come Mario Massone, di Cmmc: "È un processo che deve avvenire con gradualità, perché altrimenti si rischia di mettere in crisi tutta la filiera dell'outsourcing". Oltre ai tempi, il presidente di Cmmc critica altri aspetti della circolare: "La fase di verifica degli ispettori potrebbe riguardare anche il passato. Questo metterebbe a rischio la vita delle aziende".

Polemiche a parte, Massone propone un vero e proprio cambiamento di mentalità a chi commissiona servizi di call center. "Bisogna passare dal modello di outsourcing a uno di co-sourcing, investendo in tecnologia, nella qualificazione delle risorse umane e nella loro organizzazione". Coinvolgere i committenti dei servizi nel miglioramento dei servizi stessi, in effetti, potrebbe essere un modo per convincerli a pagare di più a partire da fine anno.

Ma che la nuova circolare porti a 15-20 mila passaggi da collaborazioni ad assunzioni è ancora tutto da dimostrare. Anche perché le risorse umane pesano per il 70 per cento sui costi operativi di queste società. La roulette russa continuerà a girare fino a dicembre.

fonte http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Il%20call%20center%20è%20troppo%20precario/1339069

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