mercoledì 17 gennaio 2007

18 mesi per...

Il call center senza precariato
di MARINA CASSI

TORINO - Erano un ghetto, additati come le nuove ferriere di un capitalismo selvaggio. I call center hanno impersonato per anni il bad job - con una pletora di co.co.co e part time - in una città abituata a decenni di lavoro buono. Adesso - e lo dice un sindacalista della Slc-Cgil, Renato Rabellino - i call center «sono diventati industria, stabilizzano i dipendenti, cercano di costruire percorsi di crescita professionale». Insomma «danno un lavoro vero». A Torino è accaduto che Slc-Cgil, Fiste-Cisl, Uilcom-Uil e Comdata hanno firmato un accordo che prevede entro l’anno l’assunzione a tempo indeterminato di almeno 350 ragazzi tra la città, nella sede di via Carlo Alberto, e Ivrea; in tutta Italia saranno un po’ meno di 3 mila. Il criterio è che chi lavora in azienda con contratti flessibili da almeno 18 mesi avrà il posto fisso. E saranno rispettate le percentuali previste dal contratto delle Telecomunicazioni - sostituito al meno favorevole contratto del commercio - di 60% di addetti stabili e 40 a termine. Commenta Rabellino: «Nel cambiare il clima conta anche la presa di posizione del ministro Damiano che concede inventivi a chi stabilizza il lavoro». Ma la trasformazione è più generale: «I call center non sono più luoghi dove si risponde a un telefono o si fanno telefonate e basta: le mansioni sono spesso più articolate». E lo spiega anche Gianluigi Scorza, direttore generale della Contacta che compie quest’anno dieci anni e li celebra rivendicando: «Non abbiamo mai avuto co.co.co». Racconta: «La scelta è di fidelizzare i nostri circa mille addetti con contatti che per il 60% siano stabili». E aggiunge: «Ormai siamo oltre il call center perchè per i nostri clienti, tra cui Enel, Lavazza, DeLonghi, Carrefour, compagnie di assicurazioni, svolgiamo compiti complessi molto al di là del vecchio servizio telefonico».

fonte la stampa, 17/1/07

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