
06 aprile 2007
Addio ai dipendenti più produttivi, ma che guadagnano di più
Usa: sei bravo? Ora ti licenzio
La ricetta pericolosa del capitalismo americano: il caso dei licenziamenti nella catena di negozi Circuit City
Addio ai dipendenti più produttivi, ma che guadagnano di più
Usa: sei bravo? Ora ti licenzio
La ricetta pericolosa del capitalismo americano: il caso dei licenziamenti nella catena di negozi Circuit City
di Massimo Gaggi
Le ristrutturazioni imposte dalla crisi dell'auto Usa stanno facendo scomparire 70 mila posti di lavoro nell'area di Detroit. L'era della fotografia digitale costringe la Kodak a tagliare 30 mila addetti. Altri 10 mila posti svaniscono alla Pfizer (farmaci), mente Citibank annuncia 15 mila esuberi. Eppure da diversi giorni a catturare l'attenzione dei giornali americani è un'altra vicenda, apparentemente minore: quella di Circuit City — una catena di negozi di elettronica — che ha deciso di liberarsi di 3400 dipendenti, l'8% della sua forza lavoro. O meglio: la società ha deciso di licenziare i dipendenti più esperti e meglio pagati per riassumerne altri, magari meno preparati, che riceveranno un salario molto più basso. È proprio questo che fa discutere: per la prima volta una società dice chiaramente che non licenzia perché deve ridimensionare gli organici o perché non è soddisfatta dei suoi dipendenti. Anzi, licenzia proprio quelli che rendono di più ma che, avendo ricevuto aumenti retributivi per merito o anzianità, sono diventati troppo costosi. (...)
E vari economisti sottolineano come proprio questa estrema libertà di licenziare spinga poi le imprese americane anche ad assumere con grande facilità. Tanto che, anche in un periodo di profonde ristrutturazioni, la disoccupazione Usa rimane a livelli bassissimi: il 4,5%. In parte è vero, ma il meccanismo messo in moto da Circuit City rappresenta oggi soprattutto una minaccia per la stabilità del capitalismo americano nel quale in genere è il datore di lavoro a fornire al dipendente pensione e assistenza sanitaria. E che già soffre del «tarlo» della polarizzazione dei redditi, con lo schiacciamento dei ceti che un tempo vivevano in un'agiatezza da classe media. Fenomeni che erodono il consenso sociale e che in genere vengono considerati un effetto della globalizzazione: aziende, soprattutto manifatturiere, obbligate a tagliare occupati e stipendi per poter competere con i Paesi emergenti.
Invece Circuit City non è un'azienda manifatturiera ma di servizi e il suo concorrente non sta in Asia, ma dall'altra parte della strada: ed è americano come lei. Da quando i democratici hanno ripreso il controllo del Congresso, la politica Usa sta rivedendo le sue posizioni su globalizzazione e libero scambio. Tanto più che l'economista Alan Blinder, un liberista convinto che negli anni '90 spinse Bill Clinton sulla strada del free trade, ha presentato uno studio dal quale emerge che nei prossimi anni 40 milioni di posti di lavoro americani rischiano di «emigrare» all'estero. Il caso di Circuit City dimostra che le minacce alla stabilità vengono anche dall'interno. Oltre che dai lavoratori, la decisione di licenziare chi guadagna 51 centesimi di dollaro all'ora più della paga giudicata ottimale dalla direzione aziendale, è stata aspramente criticata anche da consulenti aziendali e da analisti come quelli di Merrill Lynch per i quali l'eliminazione del personale più esperto peggiorerà il servizio offerto ai clienti e finirà per demotivare il personale.
Le ristrutturazioni imposte dalla crisi dell'auto Usa stanno facendo scomparire 70 mila posti di lavoro nell'area di Detroit. L'era della fotografia digitale costringe la Kodak a tagliare 30 mila addetti. Altri 10 mila posti svaniscono alla Pfizer (farmaci), mente Citibank annuncia 15 mila esuberi. Eppure da diversi giorni a catturare l'attenzione dei giornali americani è un'altra vicenda, apparentemente minore: quella di Circuit City — una catena di negozi di elettronica — che ha deciso di liberarsi di 3400 dipendenti, l'8% della sua forza lavoro. O meglio: la società ha deciso di licenziare i dipendenti più esperti e meglio pagati per riassumerne altri, magari meno preparati, che riceveranno un salario molto più basso. È proprio questo che fa discutere: per la prima volta una società dice chiaramente che non licenzia perché deve ridimensionare gli organici o perché non è soddisfatta dei suoi dipendenti. Anzi, licenzia proprio quelli che rendono di più ma che, avendo ricevuto aumenti retributivi per merito o anzianità, sono diventati troppo costosi. (...)
E vari economisti sottolineano come proprio questa estrema libertà di licenziare spinga poi le imprese americane anche ad assumere con grande facilità. Tanto che, anche in un periodo di profonde ristrutturazioni, la disoccupazione Usa rimane a livelli bassissimi: il 4,5%. In parte è vero, ma il meccanismo messo in moto da Circuit City rappresenta oggi soprattutto una minaccia per la stabilità del capitalismo americano nel quale in genere è il datore di lavoro a fornire al dipendente pensione e assistenza sanitaria. E che già soffre del «tarlo» della polarizzazione dei redditi, con lo schiacciamento dei ceti che un tempo vivevano in un'agiatezza da classe media. Fenomeni che erodono il consenso sociale e che in genere vengono considerati un effetto della globalizzazione: aziende, soprattutto manifatturiere, obbligate a tagliare occupati e stipendi per poter competere con i Paesi emergenti.
Invece Circuit City non è un'azienda manifatturiera ma di servizi e il suo concorrente non sta in Asia, ma dall'altra parte della strada: ed è americano come lei. Da quando i democratici hanno ripreso il controllo del Congresso, la politica Usa sta rivedendo le sue posizioni su globalizzazione e libero scambio. Tanto più che l'economista Alan Blinder, un liberista convinto che negli anni '90 spinse Bill Clinton sulla strada del free trade, ha presentato uno studio dal quale emerge che nei prossimi anni 40 milioni di posti di lavoro americani rischiano di «emigrare» all'estero. Il caso di Circuit City dimostra che le minacce alla stabilità vengono anche dall'interno. Oltre che dai lavoratori, la decisione di licenziare chi guadagna 51 centesimi di dollaro all'ora più della paga giudicata ottimale dalla direzione aziendale, è stata aspramente criticata anche da consulenti aziendali e da analisti come quelli di Merrill Lynch per i quali l'eliminazione del personale più esperto peggiorerà il servizio offerto ai clienti e finirà per demotivare il personale.
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