sabato 24 agosto 2013

Il nuovo ca-social center

Non ci sono più i call center di una volta. Tu che chiami, che aspetti, che presto o tardi trovi qualcuno, dall’altra parte del filo, con cui litigare. Ora la tua banca, la società della luce, quella del cellulare ti fanno scaricare la app, ti danno appuntamento su Facebook o al massimo in chat. Siamo nell’era dell’assistenza
social.
Se abbiamo un problema, la soluzione è su Internet, su Twitter o Facebook, più che al telefono con il fornitore che ci stacca la corrente. Il Garante Tlc si è accorto del fenomeno ed ora avverte: «Detteremo le nostre regole su queste forme nuove, e delicate, di relazione con il cliente».
Per mesi le aziende ci hanno osservati, in silenzio. E si sono accorte che interpelliamo la Rete neanche fosse l’oracolo di Delfi. In Internet uno sconosciuto — in una chat o su Facebook — ci segnala tante volte la strada della salvezza. Se migliaia di italiani se la cavano così, se questa caccia al tesoro piace, perché non replicarla nel rapporto tra cliente e impresa? Così le aziende si sono attrezzate. Oggi hanno tutte una pagina colorata su Facebook e Twitter dove parlare agli utenti con tono scanzonato, da ragazzo a ragazzo. Dove suggerire soluzioni e nuove offerte commerciali. Dove pubblicità occulta, supporto al cliente e scherzi da caserma si uniscono in una miscela finora inedita.
Poi hanno creato le app, i bollini colorati che si scaricano sullo smartphone. Oggi vostro figlio neanche si sogna di chiamare un call center per chiedere il credito residuo della sua sim card, per ricordare il piano tariffario. Le app, queste informazioni di base, le danno appena le acquisisci, appena ti registri come cliente.
Certo, ci sono servizi e servizi. C’è la sostanza e il folclore. Nel suo saggio sul “Call center management”, Brad Cleveland cita con emozione il caso della Usaa. L’austera banca dei militari statunitensi è stata tra le prime al mondo a permettere — grazie alla app — l’impensabile. Prendi l’assegno del tuo inquilino; lo fotografi con il cellulare; quindi lo spedisci alla Usaa, che te lo accredita sul conto. Non sono tanti gli istituti italiani che si spingono a tanto. Ma la nostra Abi può comunque vantare «oltre 2 milioni di scambi tra cliente e filiali nel 2102», attraverso chat ed e-mail.
Il Garante Tlc, dunque, si prepara a dire la sua. Primo dubbio. Il nuovo call center è un’invenzione perfetta per giovani e adulti digitali. Molto meno per gli anziani. Un certo pezzo d’Italia ha ancora bisogno di un numero di telefono e di persona alla quale affidarsi. Qui le aziende diventano indisponibili. Spesso chiami il numero per l’assistenza e non puoi parlare subito con l’operatore. Sei costretto a una
prenotazione. Sarà poi il call center, quando è comodo, a richiamare. Al Garante raccontano, ancora: «Un utente riceve una bolletta gonfiata. Va in Internet, entra in chat con l’operatore, quindi invia un messaggio che ha la bolletta contestata, come allegato. Da quel momento, diciamo noi, il cliente formalizza la contestazione. La società, dunque, non potrà dire di non aver ricevuto alcun reclamo. Perché questo valga, serve la tracciabilità della conversazione».
La tracciabilità non rappresenta un problema per le aziende, che non cancellano i dialoghi con i loro clienti. Al contrario, conservano e studiano ormai questa enorme massa di dati, perché utili al lancio di nuovi prodotti. Per studiare questi dati servono software adeguati. Come “Idol”, della società inglese Autonomy. Che scandaglia i blog, i social network, i forum. Che interpreta le parole; e comprende anche il dialetto. Inclusi gli insulti, da buona sentinella digitale.


Aldo Fontanarosa su La Repubblica del 23/08/2013

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