Non ci sono più i call center di una volta. Tu che chiami, che aspetti,
che presto o tardi trovi qualcuno, dall’altra parte del filo, con cui
litigare. Ora la tua banca, la società della luce, quella del cellulare
ti fanno scaricare la app, ti danno appuntamento su Facebook o al
massimo in chat. Siamo nell’era dell’assistenza
social.
Se
abbiamo un problema, la soluzione è su Internet, su Twitter o Facebook,
più che al telefono con il fornitore che ci stacca la corrente. Il
Garante Tlc si è accorto del fenomeno ed ora avverte: «Detteremo le
nostre regole su queste forme nuove, e delicate, di relazione con il
cliente».
Per mesi le aziende ci hanno osservati, in
silenzio. E si sono accorte che interpelliamo la Rete neanche fosse
l’oracolo di Delfi. In Internet uno sconosciuto — in una chat o su
Facebook — ci segnala tante volte la strada della salvezza. Se migliaia
di italiani se la cavano così, se questa caccia al tesoro piace, perché
non replicarla nel rapporto tra cliente e impresa? Così le aziende si
sono attrezzate. Oggi hanno tutte una pagina colorata su Facebook e
Twitter dove parlare agli utenti con tono scanzonato, da
ragazzo a ragazzo. Dove suggerire soluzioni e nuove offerte
commerciali. Dove pubblicità occulta, supporto al cliente e scherzi da
caserma si uniscono in una miscela finora inedita.
Poi
hanno creato le app, i bollini colorati che si scaricano sullo
smartphone. Oggi vostro figlio neanche si sogna di chiamare un call
center per chiedere il credito residuo della sua sim card, per ricordare
il piano tariffario. Le app, queste informazioni di base, le danno
appena le acquisisci, appena ti registri come cliente.
Certo,
ci sono servizi e servizi. C’è la sostanza e il folclore. Nel suo
saggio sul “Call center management”, Brad Cleveland cita con emozione il
caso della Usaa. L’austera banca dei militari statunitensi è stata tra
le prime al mondo a permettere — grazie alla app — l’impensabile. Prendi
l’assegno del tuo inquilino; lo fotografi con il cellulare;
quindi lo spedisci alla Usaa, che te lo accredita sul conto. Non sono
tanti gli istituti italiani che si spingono a tanto. Ma la nostra Abi
può comunque vantare «oltre 2 milioni di scambi tra cliente e filiali
nel 2102», attraverso chat ed e-mail.
Il Garante Tlc, dunque, si prepara a dire la sua. Primo dubbio. Il nuovo
call center è un’invenzione perfetta per giovani e adulti digitali.
Molto meno per gli anziani. Un certo pezzo d’Italia ha ancora bisogno di
un numero di telefono e di persona alla quale affidarsi. Qui le aziende
diventano indisponibili. Spesso chiami il numero per l’assistenza e non
puoi parlare subito con l’operatore. Sei costretto a una
prenotazione.
Sarà poi il call center, quando è comodo, a richiamare. Al Garante
raccontano, ancora: «Un utente riceve una bolletta gonfiata. Va in
Internet, entra in chat con l’operatore, quindi invia un messaggio che
ha la bolletta contestata, come allegato. Da quel momento, diciamo noi,
il cliente formalizza la contestazione. La società, dunque, non potrà dire di non aver ricevuto alcun reclamo. Perché questo valga, serve la tracciabilità della conversazione».
La
tracciabilità non rappresenta un problema per le aziende, che non
cancellano i dialoghi con i loro clienti. Al contrario, conservano e
studiano ormai questa enorme massa di dati, perché utili al lancio di
nuovi prodotti. Per studiare questi dati servono software adeguati. Come
“Idol”, della società inglese Autonomy. Che scandaglia i blog, i social
network, i forum. Che interpreta le parole; e comprende anche il
dialetto. Inclusi gli insulti, da buona sentinella digitale.
Aldo Fontanarosa su La Repubblica del 23/08/2013
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