Se l'azienda limita (o punisce) la navigazione personale
I LICENZIATI DI INTERNET
di Beppe Severgnini
Un lettore del Corriere on line racconta di essere stato punito dall' azienda in cui lavora perche' sorpreso a scrivere e mail alla rubrica Italians (www.corriere.it/severgnini). Particolare curioso: il lettore dice che non gliene importa niente (in un posto del genere, scrive, non ci vuol restare). Dettaglio interessante: l'azienda in questione e' una nota multinazionale nel campo elettronico. Finale imprevedibile: molti hanno scritto per dire che quel dipendente ha torto. Esistono accordi aziendali in materia; e, se non esistono, bisogna concluderli in fretta.
Un altro lettore, impiegato in una societa' americana con sede a Londra, ha raccontato di "decine di licenziamenti in tronco causa Internet", e ha descritto l' interrogatorio cui e' stato sottoposto dopo essere stato pescato a visitare un sito porno. Il giorno dopo, molti hanno fornito indicazioni tecniche per navigare senza farsi pescare.
La questione - sarete d' accordo - e' fascinosa. Internet e' uno strumento nuovo, e occorre ragionarci sopra. I problemi sembrano due. Il primo: l'uso della posta elettronica aziendale, che non e' un problema di costi (a differenza del telefono), ma di opportunita'. Molte societa' non gradiscono che il proprio nome venga associato alle opinioni personali di un dipendente; altre non se ne curano. Diciamo che le prime sono comprensibili (non aiuta l' immagine aziendale apparire sul sito nazifanatici.com); le seconde, libertarie. Una soluzione, tuttavia, esiste. Il dipendente puo' usare uno degli indirizzi gratuiti sparsi sulla rete, oppure far si' che il proprio indirizzo di lavoro non appaia. Piu' complessa la questione della navigazione su Internet. Si puo' fare, non si puo' fare, quanto si puo' fare? Si puo' impedire? E, soprattutto, perche' si deve impedire? All'estero, alcune aziende lasciano liberta' di navigazione, e si affidano al buon senso dei dipendenti. Altre non chiedono moderazione: la impongono, spesso per iscritto. Altre ancora addebitano agli impiegati il tempo trascorso in rete. Quasi tutte - esistono eccezioni, per fortuna - vedono con allarme il fenomeno. Mi chiedo, a questo punto, se Internet non stia diventando cio' che era il fumetto sotto il banco dello studente, il giornale dietro la cattedra del professore, il cruciverba sulla scrivania del burocrate, il "giochino" sul computer dello yuppie bretelluto negli anni Ottanta. Una distrazione, e una perdita di tempo. Fosse cosi' , aspettiamoci l' introduzione di una "cyber - security" che piomba alle spalle del lavoratore e controlla i suoi movimenti in rete. George Orwell e Aldous Huxley, nel cielo dei profeti laici, rideranno di gusto. Ma come: Internet non era un' idea creativa, libera e anticonformista? E ora e' motivo di licenziamento? Siamo messi bene. E poi: un conto e' trascorrere le giornate a contare le lentiggini di Pamela Anderson; un altro dare un' occhiata a quanto succede nel mondo (le nuove aziende, avevo sentito dire, incoraggiano la crescita intellettuale dei dipendenti. Evidentemente, mi ero sbagliato). Mi chiedo, e vi chiedo: per molte professioni, non e' ora di chiudere questa contabilita' un po' meschina, e giudicare la gente dai risultati? Internet e Cartellino mi sembrano due concetti incompatibili. La cosa affascinante, ripeto, e' che la maggioranza di chi mi ha scritto - trentenni con uso di mondo, pare di capire - non la pensa cosi' , e si dice favorevole alla linea dura. "Ma dove vive?", ha chiesto un lettore. "Lei magari non possiede un' azienda, ma sicuramente ha una domestica. Cosa farebbe se, tornando a casa all' improvviso, la trovasse al computer che scrive a Italians, mentre il suo letto e' ancora da rifare?" Gli ho risposto: le proporrei un aumento, visto che e' in grado di farmi da segretaria
fonte: corriere della sera, 03/11/1999
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