venerdì 11 agosto 2006

Tesi e antitesi

Tronchetti-De Benedetti: la vera storia
da Libero del 27 luglio 2006, pag. 1
di Oscar Giannino*

Caro direttore, lo avevamo preannunciato ai lettori di Libero, che molto presto il patron di Telecom Marco Tronchetti Provera sarebbe venuto alle mani con l'ingegner Carlo De Benedetti. Ed è puntualmente avvenuto ieri, in una maniera che conferma da sola le molteplici ombre che gravano sull'azienda. Ombre che ai lettori questo giornale cerca onestamente di spiegare, mentre la grande stampa confindustriale si tiene pressoché compattamente in punta di piedi. Dunque prima di parlare della pazzesca esternazione di Tronchetti ieri a tutti i suoi dipendenti - una sorta di discorso di Mussolini al teatro Lirico di Milano, secondo alcuni che l'hanno ascoltato - partiamo dai problemi che, ieri, gli hanno a quel che pare fatto perdere la testa.

C'è un problema finanziario. C'è un problema di monopolio. C'è un problema - il più grave ancora - che riguarda l'ordine pubblico e la sicurezza democratica. Sul primo versante, Tronchetti appare come il trionfante Giovanni Agnelli del 2000, allorché cinque anni fa si mise d'accordo coi bresciani di Hopa e sfilò la Telecom a Colaninno, pagandola una follia - il titolo è al 50% sotto oggi, rispetto ad allora, e scende scende di trimestrale in trimestrale - e per di più senza passare per un'Opa sul mercato, cioè regalando tantissimo agli ex padroni ma non un euro agli azionisti di minoranza. Oggi, invece, Tronchetti è alla guida di un gruppo il cui debito tra Pirelli, Olimpia e Telecom splafona verso la cinquantina di miliardi di euro. Ha dovuto vendere tutto il vendibile, per ricomprarsi dai soci Olimpia le azioni che questi dismettono, lasciandolo solo di volta in volta allo scadere dei patti. Ultima vendita, la Brasil Telecom annunciata due giomi fa. La quotazione in Borsa di Pirelli penumatici, che doveva tirar su qualche altro centinaio di milioni da destinare a valle, per rafforzare un controllo in Olimpia su Telecom sempre più debole, è fallita.

LA GESTIONE
In più, Telecom perde margini dalla gestione ordinaria, il risultato operativo nel primo semestre è sceso del 4,5% e l'azienda lo ha motivato con maggiori investimenti: ma questi pesano semmai sull'utile lordo, non sul risultato di gestione, perché se peggiora questo significa solo che l'azienda è in difficoltà. Il debito è perfettamente sostenibile, se l’azienda fosse solo Telecom: è la quota parte che grava sulla parte alta della catena di controllo, quella che investe Pirelli direttamente, ciò che potrebbe portare Tronchetti a mollare la presa. E sarebbe puntualmente ciò che avverrebbe, se solo fossimo in un Paese di mercato per davvero: perché è ovvio a tutti quelli che di mestiere facciano l'analista finanziario, che in un Paese di mercato la Consob avrebbe dovuto da quel dì decidere il consolidamento in Pirelli di tutta la catena sottostante, fino all'ultimo granello di Telecom e di tutte le sue controllate: decisione che da sempre incombe sulla testa di Tronchetti come una spada minacciosa, e che obbligherebbe Pirelli a un aumento di capitale mostruoso, che non potrebbe mai aver successo.

Una decisione che però, naturalmente, la Consob di Lamberto Cardia non prende mai.
Nonostante che non un solo uomo di rilievo posto alla testa delle funzioni di Telecom Italia da Tronchetti Provera provenga da un’azienda diversa dalla Pirelli, tanto per rimarcarne l'estraneità: ma tant'è, il mantra è che chi tocca la Telecom di Tronchetti vuol male all'Italia, e dunque la Consob dorme. Il problema della posizione dominante sul mercato, in tutti i 18 segmenti tlc vigilati dall'Autorità delle comunicazioni, riempie da solo volumi di istruttorie e decisioni contro l'azienda che ancor oggi presidia il 95% degli accessi della rete fissa, el'85% di quelli per i servizi ad alto valore aggiunto su banda larga. Diciamo che anche in questo caso c'è una spada di Damocle librata su Tronchetti, ma anche questa volta Corrado Calabrò - alla testa dell'Autorità di settore - si guarda bene dall'abbassare la lama.

La decisione sarebbe quella di separare la rete fissa di Telecom dal resto dell'azienda, come in Gran Bretagna è stato disposto nei confrunti di British Telecom. Ma Tronchetti non ne vuol sentir parlare, malgrado atti come la recente sentenza ordinanza della Corte d’Appello di Milano in cui si sostiene che sono "penalmente rilevanti" i comportamenti assunti da Telecom contro i suoi concorrenti, attraverso offerte ai clienti non appena la lasciano per un altro operatore, offerte che vengono fatte passando alla divisione commerciale dati riservati del traffico svolto dagli ex clienti: in altre parole, mostrando una certa disinvoltura nel trattare dati che dovrebbero essere coperti da assoluta tutela.

Ed eccoci al terzo problema, quello che ai lettori di Libero abbiamo spiegato in lungo e in largo. Telecom non usava solo per le proprie offerte commerciali dati riservati. Da anni e anni - secondo le indagini aperte a Milano dal pm Napoleone - uomini di assoluta fiducia di Tronchetti come Giuliano Tavaroli avevano messo in piedi una vera e propria rete di ascolto illegittima, fuori da ogni richiesta e autorizzazioni delle Procure. Una rete che è finita al centro delle indagini non solo del pm Napoleone e che riguardano in pieno Telecom, ma che ha finito per investire l'inchiesta della stessa Procura sul sequestro di Abu Omar prima, e sulle presunte deviazioni del Sismi poi. Ma l'indagine su Telecom, come le decisioni di Cardia e Calabrò, è finita naturalmente in guanti bianchi nel congelatore. Quelle sul Sismi e sulla Cia hanno invece il sopravvento. Tronchetti da mesi e mesi minimizza sui rapporti strettissimi che ha avuto per anni col Tavaroli. Ha fatto affidare prima agli amministratori indipendenti de Telecom un’indagine di approfondimento, come se non spettasse a chi guida l'azienda dire come stavano le cose, e poi a una società esterna di consulenza, la KPMG, il compito di dire se e che cosa per anni è andato oltre la legge.

Nella memoria anche ieri distribuita alla stampa, a corredo dell'esternazione di Tronchetti, si leggono passaggi esilaranti, a proposito delle intercettazioni illecite. Del tipo: «in occasione dell'ispezione disposta nel maggio 2006 da parte dei funzionari del Garante della Privacy è stata acquisita consapevolezza dell'esistenza di un'applicazione informatica denominata Radar, con caratteristiche non allineate agli standard aziendali di sicurezza».

E proprio il sistema attraverso il quale manager di Telecom addetti al "lavoro sporco" accedevano ai tabulati senza lasciar traccia. Ma Telecom sostiene di «averne acquisito consapevolezza» solo grazie ai prodigiosi ispettori del Garante, due mesi fa. Tranne poi aggiungere, nella frase successiva: «tale applicazione, utilizzata dal 1999 in Tim..» Ma allora, caro Tronchetti, il RADAR c'era e veniva usato da prima, oppure non ne sapevate niente e lo avete scoperto solo due mesi fa? Tavaroli nei vostri documenti risulta quasi un tipo che a Pirelli e Telecom c'è stato per caso e nessuno sapeva che cosa facesse nel suo ufficetto, poi scrivete che in ogni caso le indagini interne al gruppo non hanno evidenziato alcuna sua appropriazione indebita o fattispecie di reato. E poi dite in un inciso che certo, «di alcune spese riguardanti servizi asseritamente resi da società del gruppo Polis d'Istinto non si è trovata adeguata giustificazione». Ora la Polis d'Istinto è di un altro amico stretto di Tavaroli, Emanuele Cipriani: ma come si fa a definire "alcune spese" una cifra che ammonta a 14 milioni di euro? Che cosa bisogna pensare, della contabilità di Telecom relativa alle intercettazioni? Quando, qualche giorno fa, da una cavalcavia sopra via Cilea a Napoli vola giù un altro dirigente clou della sicurezza Telecom, Adamo Bove, la strategia dell'insabbio non funziona più. Bove da anni si era dovuto moltiplicare per salvare faccia e sedere alla Telecom, era stato praticamente messo a disposizione di tutte le Procure che indagano sui diversi filoni con l'ordine di accontentare in tutto e per tutto i magistrati, facendo sparire ogni prova del coinvolgimento diretto dell'azienda, come se Tavaroli e compagni fossero stati uomini-ombra al servizio di potenze occulte ed estranee al vertice aziendale. La tesi difensiva di sempre, di Tronchetti. Ed ecco che, di fronte alla morte misteriosa, ieri scatta come una molla la controffensiva del patron della telefonia. Un videomessaggio a tutti i dipendenti, che apparentemente è di grande orgoglio, in cui li sprona a sentirsi orgogliosi di appartenere a uno dei più grandi gruppi italiani.

Ma con una terrificante accusa esplicita, e cioè che praticamente il responsabile del fatto che ad Adamo Bove siano saltati i nervi - facciamo finta di crederci - sia l'”editore senza scrupoli", come ieri lo ha chiamato, e cioè Carlo De Bendetti, il padrone di Repubblica, il giornale che da mesi e mesi con la coppia D'Avanzo-Bonini sulle indagini Sismi e intercettazioni, e con Giovanni Pons nelle pagine finanziarie, picchia come un maglio sui guai sempre più foschi del gigante telefonico.

GIORNALISTI LIBERI
D'Avanzo-Bonini, a dire la verità, hanno a Repubblica campo assolutamente libero, non rispondono neanche al direttore Ezio Mauro, dacché riuscirono a farsi dar ragione proprio dall'Ingegnere proprietario quando il direttore tentò di tirare un po' le redini. E nelle loro inchieste giornalistiche a totale rimorchio della Procura milanese, sono assai più interessati a sbaraccare il Sismi di Pollari che la Telecom di Tronchetti, tanto che essi stessi adombrano talora la tesi secondo la quale Tavaroli e banda avrebbero raggirato per primo il padrone della Telecom, al servizio della Cia e degli spioni italiani troppo filoamericani. Ma tant’è, ieri Tronchetti ha abbassato la testa come un toro. Puntando il dito contro chi sui telefoni ha da sempre il nervo scoperto, visto che De Benedetti inventò la Omnitel ma fu poi costretto a vederla venduta ai tedeschi di Mannesmann, per far cassa necessaria alla tragedia Olivetti. E poi fu nemico acerrimo della maxi opa di Colaninno, un manager che considerava carne della propria carne e di cui mal sopportò l'ascesa in proprio. De Benedetti non ha i muscoli finanziari né la voglia di imbarcarsi in un'opa su Telecom, ci mancherebbe. Ma all'editoriale Espresso le due reti tv di Telecom, 1a7 e Mtv, farebbero gola come la fanno a tutti i maggiori gruppi editoriali italiani esclusi sinora dalla tv. Ed è sull'integrazione tra tv, telefonia e contenuti per i nuovi media come la tv via Internet, che Tronchetti sta trattando con la Sky di Murdoch e con altri gruppi stranieri. E' per concorrere alla stessa gara, che oggi i soci Rcs che hanno appena cacciato dal ponte di comando Vittono Colao e gli sostituiscono Antonello Perricone cercheranno anch’essi di farsi sotto, e di strappare un'intesa a Tronchetti, un accordo che gli apra le porte dei nuovi media e della tv. Tronchetti non ha di fronte a sé competitor molto forti. La Wind è stata consegnata a un proprietario egiziano che di Italia sa poco o nulla, apposta perché Telecom vada avanti più tranquilla. Degli altri, l'unico gruppo ad aver investito nuove tecnologie su rete fissa è Fastweb, e non a caso la Telecom gli riserva la guerra in ogni Tribunale. Di conseguenza, quando Tronchetti attacca ieri gli avvoltoi senza scrupoli di Repubblica, evoca la sempiterna guerra che in Italia fa perdere la testa alla politica: quella per la tv. Tronchetti sa che nell'Unione i cuori battono per lui, non per editori stranieri come Murdoch.

L'AFFONDO
E quanto a De Benedetti, l'ingegnere lamenta che la sinistra con lui è sempre stata avara, dopo tutto quello che ha fatto per darle una mano: in effetti, dalle privatizzazioni ha preso assai poco. Senonché, a parlare con i dirigenti Telecom dopo il telemessaggio di ieri, la lettura è anche un'altra. Non fidatevi. Tronchetti l'ha fatto apposta, a sacramentare contro De Benedetti: sa perfettamente che così tutti i titoli dei giornali saranno sulla guerra tra i due mostri sacri. Ma chi ha ascoltato in azienda l'intervento di Tronchetti, riporta un'atmosfera diversa. Non è sfuggito a nessuno, tra dirigenti e funzionari, che Tronchetti ha cupamente insistito contro "le melemarce" interne all'azienda, contro chi«non vuole bene a Telecom e all'Italia o per appartenze esterne, o perché dall'interno alimenta notizie distorcenti la realtà che danneggiano l'azienda». È l'appello contro la quinta colonna, quello che il Duce al tramonto lancia al Lirico quando promette che la guerra sarà comunque vinta, grazie alle armi segrete del Fuhrer. Ma attenzione: in quel dito puntato contro i traditori interni, c'è un'esplicita minaccia. Ora che il garante e le diverse Procure dovranno sentire decine di dirigenti Telecom, per comprovare l'asserita tesi della estraneità aziendale a qualunque maneggio improprio e violazione di legge, ciascuno è stato avvisato. O regge il gioco, come ha tentato di fare Bove. Oppure, se parla, attenti al cavalcavia perché si può volar di sotto.

*Direttore di Finanza&Mercati

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