giovedì 30 agosto 2007

Poco da ridere

Dall'intervista al regista Paolo Virzì

D: E allora che c'è da ridere?
R: Da ridere poco. Ma c'è da guardare con curiosità questo mondo fiabesco, bizzarro, talmente eccessivo ed esagerato da sembrare avveniristico. È l'avventura di una ragazza colta che deve dissimulare i suo curriculum per essere uguale agli altri. Giovane intellettuale delusa dalla cultura accademica gerontocratica, piena di dinosauri e di giovani assistenti sessantenni, che l'ha respinta. In fondo qui viene accolta. Trova ragazze stupide, innocenti, spensierate, ignorantissime, candide, che sanno a memoria le gesta del Grande Fratello e che si sentono nell'azienda come concorrenti di un reality show. È comunque un viaggio nella contemporaneità. (..) Ho faticato ad annientare la mia storia personale per cercare di mimetizzarmi e guardare la realtà con gli occhi di una ragazza ventiquattrenne, che vede questo call center come un reality, e il reality come una caverna platonica piena di ombre, finché non si rende conto che questo mondo è anche tragico, violento, e che in un posto del genere si sta consumando un'ingiustizia.
Sono le vite di un'Italia senza memoria dove nel call center finiscono un ex ballerina della tv, convinta che tutti i capi siano persone splendide perché si fanno dare del tu e le mandano tutte le mattine sms motivanti che lei considera dolcissimi e li conserva tutti. C'è il boss che dietro la facciata sorridente, dinamica e sempre simpatica è un uomo disperato che un sanguinoso divorzio ha ridotto sul lastrico. C'è Sabrina Ferilli, ex telefonista che come dicono le ragazze 'è diventata quello che è diventata', ovvero capo del call center, e canta l'inno tutte le mattine, anche se devastata dalla solitudine. Insomma c'è l'infelicità, un'apocalisse umana.

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