Il presidente della Camera dei deputati in
Belgio. A proposito.
Bertinotti tra la gente di Marcinelle Ieri la miniera, oggi i call center
MARCINELLE - «Mai più il carbone, una merce, una
macchina, valgano più degli uomini; mai più in Europa si ripeta una
tragedia come quella di Marcinelle; mai più la morte intervenga sui
lavoratori!». Siamo al Bois du Cazier, la vecchia miniera dismessa,
dove, 50 anni fa, morirono intrappolati a mille metri di profondità 262
minatori, di cui 136 italiani. Fausto Bertinotti è venuto a portare
una corona di fiori, a parlare a chi è rimasto, agli ultimi superstiti
di quell' epoca, ai parenti, alla comunità tricolore di Charleroi.
Facce antiche di gente che ha conosciuto la fame, che ha patito la
fatica di un lavoro sporco e pericoloso nelle viscere della terra, che
ha sofferto umiliazioni e prevaricazioni, ascoltano in silenzio il
presidente della Camera. Parte un timido Bandiera Rossa che si spegne
quasi subito per bon ton, c' è l' ambasciatore, ci sono i giornalisti.
E' una giornata di sole, di luce e il sito della tragedia, ora museo
permanente, è il luogo ideale, con i suoi cancelli, con i suoi
castelletti di estrazione perfettamente restaurati, con quella sala
piena di fotografie in bianco e nero le immagini dei morti dell' agosto
1956 per parlare di lavoro, di diritti, di dignità. E' stata la Cgil,
il patronato IncaCgil, a organizzare qui la cerimonia del
cinquantenario, a invitare Bertinotti che, assieme a Gugliemo Epifani,
ora si aggira all' interno del comprensorio, circondato da
emozionatissime delegazioni di anziani minatori, arrivati anche da
altre zone del Belgio e della Francia, la tuta da lavoro addosso.
Portano due lanterne a olio, di quelle che servivano là sotto a
illuminare i cunicoli. Un regalo per gli ospiti. Dunque, Marcinelle.
«Quel che è successo qui, il dolore, la sofferenza, la perdita della
vita sul lavoro, che è un carico umanamente e socialmente
insopportabile dice Bertinotti ci deve far riflettere. Pensate alla
situazione dei migranti di oggi, gente che viene in cerca di
occupazione e che certo non vive condizioni pari agli italiani degli
Anni Cinquanta, però le tragedie ci sono lo stesso, gli infortuni, gli
omicidi bianchi e questo è intollerabile». Hanno un sapore diverso le
parole pronunciate in un luogo della memoria, così fortemente
evocativo. «Eravamo schiavi», dice Vittorio Dal Gal, presidente dell'
Associazione ex minatori. Lui ha scavato gallerie dal 1948 al 1975,
«fiero di essere minatore, lo sei un giorno, lo sei per sempre».
Schiavi che vivevano ammassati nelle baracche, «musi neri» che si
ammalavano di silicosi, tossivano, sputavano i polmoni, ma continuavano
ad andare giù, «costretti dalla miseria, dalla voglia di garantire un
futuro diverso ai figli». Italiani arrivati a Charleroi/Marcinelle con
il famoso accordo italobelga del 1946: il Belgio in cambio delle
nostre braccia ci dava carbone. «Ecco perché son successe le tragedie,
la nostra vita valeva meno del carbone», dice un ex minatore a
Bertinotti. E adesso? E adesso c' è ancora molto da fare, in Italia
ogni giorno muoiono nei cantieri, nelle fabbriche, nei luoghi di
produzione, quattro persone. Il presidente della Camera sogna «un'
Europa che sia davvero di tutti», sollecita a sottoscrivere «un nuovo
patto tra paesi, istituzioni e organizzazioni popolari per dare dignità
al lavoro». Nulla è scontato, avverte Gugliemo Epifani: «Le conquiste
di questi anni vanno difese giorno dopo giorno e mai possono ritenersi
un bene acquisito per sempre». Battaglie aperte come quelle contro la
precarietà o la difesa dei redditi da lavoro e da pensione. Se si
abbassa la guardia, «se qualcuno diventa l' anello debole della catena,
poi toccherà a tutti», avverte Bertinotti. Ieri la miniera, oggi i
call center... Il presidente della Camera si ferma a guardare le facce
e le storie dei lavoratori morti 50 anni fa: Rocco Vita, Marco Zinni,
Armando Zanelli, Filippo Sicari... C' è anche l' avvocato che allora
difese le famiglie. Si chiama Jacques Moins, andò in tribunale a
scontrarsi con le potenti lobby del carbone. Sono le otto del mattino
dell' 8 agosto 1956 quando un carrello male agganciato sbatte contro le
pareti della miniera e trancia un cavo elettrico. L' incendio
raggiunge il pozzo d' uscita dell' aria e lo blocca. In 262 conoscono
una lenta agonia. Il 22 agosto, i soccorritori spengono ogni speranza:
«Tutti cadaveri a Bois du Cazier». Sul «Corriere» Dino Buzzati scrive:
«Questo lontano posto che non si era mai sentito nominare, diventa
Italia. L' incendio del pozzo straniero inaspettatamente diventa affare
nostro personale, e nostra angoscia».
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