
http://www.beppegrillo.it/2006/04/gli_schiavi_mod_3.html http://www.beppegrillo.it/2007/06/lo_schiavo_outbound.html#comments http://www.arcier.it/UserFiles/ar24_10_06n_36.pdf
(foto di lutherblisset71)
Ancora nulla sul fronte delle assunzioni per chi è stato “spostato” in outbound.
Ancora si crede che un accordo-beffa con un sindacato di comodo (l’UGL) possa giustificare l’esistenza di un progetto che non esiste?
Il progetto quale sarebbe? Eseguire a comando centinaia di telefonate per la promozione di servizi a pagamento o per raccogliere dati personali?
Chi ha sottoscritto un tale progetto con il committente? Forse l’operatore?
Cosa c’è di progettuale nel chiamare una persona a casa o sul cellulare per vendere qualcosa?
Dove starebbe l’indispensabile “apporto personale ad alto contenuto specialistico” richiesto dalla realizzazione di un progetto che si rispetti?
Forse l’operatore viene selezionato in base alle sue doti interlocutorie (vedi l’alta percentuale di laureati o laureandi), ma questo rientra nelle “tecniche di vendita”, non nelle peculiari abilità e competenze che portano un “libero professionista a ideare, creare, pianificare e gestire con mezzi propri” un progetto complesso come quello della vendita mirata di un prodotto ad un preciso gruppo di utenti, possibili acquirenti.
Mi vengono in mente le numerose campagne outbound nelle quali il prodotto da vendere e la lista dei clienti da contattare sono individuati e “skillati” ad hoc dal committente, non certo dall’operatore.
Ecco un esempio di ciò che si trova in un call-center come tanti altri.
E il pensiero corre agli ambienti quasi sempre illuminati artificialmente (tranne che d’estate) dei fields dei piani superiori.
Cristian Manno, realizzatore del corto la Fabbrica dei Polli, ha risolto il problema affidando la telecamera a un’amica, telefonista del call center Data Contact di Lecce, che ha realizzato le riprese per lui. L'idea era quella di «rappresentare luoghi chiusi, continuamente illuminati a neon anche di giorno». Ispirandosi al regista Weissman, che riuscì a rubare immagini dai manicomi statunitensi degli anni ‘60, Cristian ha realizzato questo video come tesi di laurea in antropologia filmica. «Un occhio meccanico che filma un campo chiuso, dove la telecamera diventa discreta, quasi impercettibile ai telefonisti che meccanicamente pronunciano quelle formulette magiche per strappare un contratto ai clienti», racconta Cristian. Ma che tipo di persone avete incontrato? Le percezioni dei due registi sono diverse. «Il mito dell'uomo che si fa da solo, radicato nel ricco Nord-Est» dice Pellarin «non esiste più. La gente che ho incontrato, ma anche quella che si è negata alle mie interviste, si vergognava di dire la propria occupazione. È un modo come un altro di ammettere la propria sconfitta. Ma quello che traspariva era un senso di solitudine, di non riuscire a comunicare con gli altri sulla propria condizione». Cristian nel call center, da ‘antropologo’, ci trova una comunità, «gente che cerca di coltivare relazioni amorose con le proprie colleghe. Tra un box e un altro dei telefonisti, si creano vere e proprie arene del gossip. Ma poi, se si parla di lavoro ecco che escono i ruoli rigidi», conclude Cristian. Chi è team leader si fa serio, chi è telefonista si fa depresso.
Ancora si crede che un accordo-beffa con un sindacato di comodo (l’UGL) possa giustificare l’esistenza di un progetto che non esiste?
Il progetto quale sarebbe? Eseguire a comando centinaia di telefonate per la promozione di servizi a pagamento o per raccogliere dati personali?
Chi ha sottoscritto un tale progetto con il committente? Forse l’operatore?
Cosa c’è di progettuale nel chiamare una persona a casa o sul cellulare per vendere qualcosa?
Dove starebbe l’indispensabile “apporto personale ad alto contenuto specialistico” richiesto dalla realizzazione di un progetto che si rispetti?
Forse l’operatore viene selezionato in base alle sue doti interlocutorie (vedi l’alta percentuale di laureati o laureandi), ma questo rientra nelle “tecniche di vendita”, non nelle peculiari abilità e competenze che portano un “libero professionista a ideare, creare, pianificare e gestire con mezzi propri” un progetto complesso come quello della vendita mirata di un prodotto ad un preciso gruppo di utenti, possibili acquirenti.
Mi vengono in mente le numerose campagne outbound nelle quali il prodotto da vendere e la lista dei clienti da contattare sono individuati e “skillati” ad hoc dal committente, non certo dall’operatore.
Ecco un esempio di ciò che si trova in un call-center come tanti altri.
E il pensiero corre agli ambienti quasi sempre illuminati artificialmente (tranne che d’estate) dei fields dei piani superiori.
Cristian Manno, realizzatore del corto la Fabbrica dei Polli, ha risolto il problema affidando la telecamera a un’amica, telefonista del call center Data Contact di Lecce, che ha realizzato le riprese per lui. L'idea era quella di «rappresentare luoghi chiusi, continuamente illuminati a neon anche di giorno». Ispirandosi al regista Weissman, che riuscì a rubare immagini dai manicomi statunitensi degli anni ‘60, Cristian ha realizzato questo video come tesi di laurea in antropologia filmica. «Un occhio meccanico che filma un campo chiuso, dove la telecamera diventa discreta, quasi impercettibile ai telefonisti che meccanicamente pronunciano quelle formulette magiche per strappare un contratto ai clienti», racconta Cristian. Ma che tipo di persone avete incontrato? Le percezioni dei due registi sono diverse. «Il mito dell'uomo che si fa da solo, radicato nel ricco Nord-Est» dice Pellarin «non esiste più. La gente che ho incontrato, ma anche quella che si è negata alle mie interviste, si vergognava di dire la propria occupazione. È un modo come un altro di ammettere la propria sconfitta. Ma quello che traspariva era un senso di solitudine, di non riuscire a comunicare con gli altri sulla propria condizione». Cristian nel call center, da ‘antropologo’, ci trova una comunità, «gente che cerca di coltivare relazioni amorose con le proprie colleghe. Tra un box e un altro dei telefonisti, si creano vere e proprie arene del gossip. Ma poi, se si parla di lavoro ecco che escono i ruoli rigidi», conclude Cristian. Chi è team leader si fa serio, chi è telefonista si fa depresso.
1 commento:
boh, magari hai scovato la fonte che non conoscevo del video che avevo segnalato nel post http://datachecisiamo.blogspot.com/2007/06/tutta-la-vita-davanti.html
Posta un commento